LETTURA SPIRITUALE
Ecco come uno dei più
antichi biografi, Tommaso da Celano, narra di San Francesco d’Assisi quando
realizzò il primo presepe del mondo. E’ una scena che si è svolta a a
Greccio (Umbria – Italia), nella notte del 25 dicembre 1223.
"C'era in quella
contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed
era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato
nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne.
Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come
spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a
Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei
rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli
occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose
necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul
fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio
amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto
l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo.
E giunge il giorno
della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati
molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della
regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per
illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che
illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è
predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si
accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello.
In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la
povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
Questa notte è chiara
come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si
allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva
risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano
scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il Santo è li estatico
di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile.
Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso
assapora una consolazione mai gustata prima.
Francesco si è
rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora
il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in
desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il
neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva
nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino
di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi
la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato
di pecora. E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, passava la
lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle
parole.
Vi si manifestano con
abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una
mirabile visione. Gli sembra che il Bambinello giaccia privo di vita nella
mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno
profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti
del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che
l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente
nella loro
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