IL SILENZIO DEL SABATO SANTO
Il Sabato
Santo, incastonato tra il dolore della Croce e la gioia della Pasqua, si
colloca al centro della nostra fede. È un giorno denso di sofferenza, di attesa
e di speranza; segnato da un profondo silenzio.
I
discepoli hanno ancora nel cuore le immagini dolorose della morte di Gesù che
segna la fine dei loro sogni messianici. In quel giorno sperimentano il
silenzio di Dio, la pesantezza della sua apparente sconfitta, la disperazione
dovuta all’assenza del Maestro prigioniero della morte.
C’è stato,
a partire dalla cena pasquale, un succedersi vorticoso di fatti imprevedibili,
che li ha sorpresi e ammutoliti. Le anticipazioni sulla sua passione più volte
fatte da Gesù, i segni rassicuranti e miracolosi che le avevano sostenute,
l’amore mostrato nell’Ultima Cena... tutto, in questo giorno, sembra svanito.
I
discepoli hanno l’impressione che Dio sia divenuto muto e che non suggerisca
più linee interpretative della storia.
A ciò si
aggiunge la vergogna d’essere fuggiti e d’aver rinnegato il Signore: si sentono
traditori, incapaci di far fronte al presente e senza prospettiva di futuro,
non vedono come uscire da una situazione di crollo delle illusioni, mancando
ancora quei segni che incominceranno a scuoterli a partire dal mattino della
Domenica con il racconto del sepolcro vuoto e le apparizioni del Risorto.
Tuttavia,
i discepoli, proprio attraverso la porta del Sabato Santo, ci aiutano a
riflettere sul senso del nostro tempo e a leggere il passaggio dei nostri
giorni, riconoscendo nel loro disorientamento, le nostalgie e le paure che
caratterizzano la nostra vita di credenti
La
presenza di Maria
Ma questo
giorno è anche il Sabato di Maria. Ella lo vive nelle lacrime unite alla forza
della fede. Veglia nell’attesa fiduciosa e paziente; sa che le promesse di Dio
si avverano per la potenza divina che risuscita i morti. Così Maria con la sua
forza d’animo sorregge la fragile speranza dei discepoli amareggiati e delusi.
Con la Madonna
del Sabato Santo, anche noi leggeremo la nostra attesa e le nostre speranze, la
fede vissuta come continuo e faticoso cammino verso il mistero, per rispondere
con verità, speranza ed amore alle domande che ci portiamo dentro: “Chi siamo e
dove siamo diretti? Dove va il cristianesimo e la Chiesa che amiamo?”.
Anche nel
sabato del tempo in cui ci troviamo è necessario riscoprire l’importanza
dell’attesa. L’assenza di speranza è forse la malattia mortale delle coscienze
di oggi.
Siamo
nel sabato del tempo, è vero, un sabato che indica quasi assenza di direzione,
tempo sospeso ma pur sempre un tempo santificato dall’azione di Dio, anche se
un Dio silente, che tace e si nasconde.
Verrà quindi per tutti il giorno
ottavo, il giorno del ritorno del Signore Gesù, non fuori, ma dentro le
contraddizioni della storia. Per questo, dobbiamo lasciarci ispirare dalla
Pasqua e riflettere sulla gioia degli apostoli quando incontrano Gesù vivente e
risorto: “E i discepoli gioirono al vedere il Signore”.
All’indifferenza,
alla frustrazione e alla delusione senza attese di futuro, deve opporsi come
antidoto soltanto la speranza, non quella fondata su calcoli, ma sull’unico
fondamento della promessa di Dio.
La Madonna del Sabato Santo getta
luce sul compito che ci aspetta e che ci è reso possibile dal dono dello
Spirito del Risorto. Si tratta di irradiare attorno a noi, con gli atti
semplici della vita quotidiana, e senza forzature, la gioia interiore e la
pace, frutti della consolazione dello Spirito. Perché credere in Cristo, morto
e risorto, per noi significa essere testimoni, con la parola e con la vita,
della speranza che non muore.
Corrado Bruno SDB
Una
meditazione sul Sabato Santo del Card Ratzinger.
Se un
bambino si dovesse avventurare da solo nella notte buia attraverso un bosco,
avrebbe paura anche se gli si dimostrasse centinaia di volte che non ci sarebbe
alcun pericolo. Egli non ha paura di qualcosa di determinato, a cui si può dare
un nome, ma nel buio sperimenta l'insicurezza, la condizione di orfano, il
carattere sinistro dell'esistenza in sé. Solo una voce umana potrebbe
consolarlo, solo la mano di una persona cara potrebbe
cacciare via
come un brutto sogno l'angoscia. Si dà un'angoscia - quella vera, annidata
nelle profondità delle nostre solitudini - che non può essere superata mediante
la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama.
Quest'angoscia
infatti non ha un oggetto a cui si possa dare un nome, ma è solo l'espressione
terribile della nostra solitudine ultima. Chi non ha sentito la sensazione
spaventosa di questa condizione di abbandono? Chi non avvertirebbe il miracolo
santo e consolatore suscitato in questi frangenti da una parola di affetto?
Laddove però si ha una solitudine tale che non può
essere più
raggiunta dalla parola trasformatrice dell'amore, allora noi parliamo di
inferno. E noi sappiamo che non pochi uomini del nostro tempo, apparentemente
così ottimistico, sono dell'avviso che ogni incontro rimane in superficie, che
nessun uomo ha accesso all'ultima e vera profondità dell'altro e che quindi nel
fondo ultimo di ogni esistenza giace la disperazione, anzi l'inferno. Jean-Paul
Sartre ha espresso questo praticamente in un suo dramma e nello stesso tempo ha
esposto il nucleo
della
sua dottrina sull'uomo. Una cosa è certa: si dà una notte nel cui buio non
penetra alcuna parola di conforto, una porta che noi dobbiamo oltrepassare in
solitudine assoluta: la porta della morte. Tutta l'angoscia di questo mondo è
in ultima analisi l'angoscia provocata da questa solitudine. Per questo motivo
nel Vecchio Testamento il termine per indicare il regno dei morti era identico
a quello con cui si indicava l'inferno:
sheol. La morte infatti è solitudine
assoluta. Ma quella solitudine che non può essere più illuminata dall'amore,
che è talmente profonda che l'amore non può più accedere ad essa, è l'inferno.
"Disceso
all'inferno" - questa confessione del Sabato santo sta a
significare che
Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, che è disceso nel fondo
irraggiungibile ed insuperabile della nostra condizione di solitudine. Questo
sta a significare però che anche nella notte estrema nella quale non penetra
alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via,
piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce.
La solitudine insuperabile dell'uomo è stata superata dal momento che Egli si è
trovato in essa. L'inferno è stato vinto dal momento in cui l'amore è anche
entrato nella regione della morte e la terra di nessuno della solitudine è
stata abitata da Lui: nella sua profondità l'uomo non vive di pane, ma
nell'autenticità del suo essere egli vive per il fatto che è amato e gli è
permesso di amare.
Nessuno
può misurare in ultima analisi la portata di queste parole: "disceso
all'inferno". Ma se qualche volta ci è dato di avvicinarci all'ora della
nostra solitudine ultima, ci sarà permesso di comprendere qualcosa della grande
chiarezza di questo mistero buio. Nella certezza sperante che in quell'ora di
estrema solitudine non saremo soli, possiamo già adesso
presagire
qualcosa di quello che avverrà. Ed in mezzo alla nostra protesta contro il buio
della morte di Dio cominciamo a diventare grati per la luce che viene a noi
proprio da questo buio.
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