SCUOLA
DELLA FEDE (2)
Metti Gesù nella tua vita, e vivrai una vita vera
3
Peccato e redenzione
Seminario, 20 novembre 2013
Metti Gesù nella tua vita, e vivrai una vita vera
3
Peccato e redenzione
Seminario, 20 novembre 2013
Devo
iniziare questa catechesi con un grande "MA" avversativo, grande come
il Monte Bianco. In che senso?
La
scorsa catechesi ci ha mostrato la nostra splendida regalità, MA guardando più
in profondità in noi stessi, scopriamo che è una regalità decaduta. Perché? In
che senso?
1.
[Il peccato come male morale]. Sono sicuro che tutti ci ritroviamo nel
detto di Ovidio: "video meliora proboque, et deteriora sequor [vedo il bene e lo
approvo, e faccio il male]". Anche S. Paolo narra la stessa esperienza.
"Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che
voglio faccio, ma quello che detesto" [Rom 7, 14].
Vediamo
di analizzare accuratamente questo fatto, che accade spesso dentro di noi;
semplifico un poco.
Nella
catechesi scorsa abbiamo visto che la nostra ragione, soprattutto se illuminata
dalla fede, conosce la verità circa il bene e il male. [Vedo il bene, dice
Ovidio]. Pietro posto nel dilemma di tradire l’amicizia con Gesù o rischiare la
vita, vede chiaramente quale è il bene e quale è il male. Lo vede, non perché
c’è qualcuno che glielo insegna, ma è la sua ragione che glielo mostra e la sua
coscienza che personalizza questa verità: "tu non devi tradire Gesù".
Possiamo dire la stessa cosa anche nel modo seguente: è Pietro che si sente
legato, ob-ligato non da un’autorità esterna; non da una consuetudine sociale;
non per le eventuali conseguenze a cui andrebbe incontro. E’ legato, ob-ligato
dalla verità che ha scoperto [proboque, dice Ovidio]. E’ la luce della
verità che lo incatena.
Nella
catechesi precedente abbiamo spiegato che questa esperienza; essere legati,
ob-ligati, avviene in ciascuno di noi.
Pietro
tradisce. La nostra libertà può rifiutarsi di mettere in atto il bene
conosciuto colla ragione [deteriora sequor, dice Ovidio]. La nostra persona colla
sua scelta libera nega ciò che colla sua ragione ha affermato. Si introduce nella
persona una vera e propria divisione o spaccatura: non faccio ciò che
interiormente vedo che devo fare; non confermo colla mia scelta la verità
conosciuta circa il bene della mia persona. Sono autore e vittima. "Ma se
c’è in me la verità – deve esplodere. Non posso rifiutarla, rifiuterei me
stesso" [K. Wojtyla].
La
scelta libera della persona, colla quale essa rifiuta la verità conosciuta
circa il bene, ha un nome: è il peccato. E’ il male della persona come tale. Riflettiamo un momento
su questo.
La
malattia fisica o psichica è un male della persona; non "tocca" però
la persona come tale, ma la persona come organismo vivente. E la persona può
anzi fare buon uso della sua malattia.
Il
male morale o peccato riguarda la persona come tale. Deturpa la persona come
tale. E poiché la persona è ciò che esiste di più prezioso nell’universo, il
male morale o peccato è il male più grande che esista. Non può esistere un male
peggiore.
Sentite
che cosa scrive il b. J.H. Newman: "Sarebbe meglio che il sole e la luna
cadessero dal cielo…piuttosto che una sola anima, non dico, vada perduta, ma
commetta un solo peccato veniale" [Apologia pro vita sua, ed.
Paoline, 387].
Non
vi sembri esagerata la cosa. Posso distruggere completamente l’affresco della
Cappella Sistina, ma posso rovinarlo anche versandovi sopra un colore. La
bellezza della persona umana è più preziosa di un affresco di Michelangelo.
Deturparla è cosa più grave che deturpare una stupenda opera d’arte. E la
deturpazione consiste, lo ripeto, nella decisione di negare con l’atto della
scelta la verità che la persona riconosce come verità colla sua propria
coscienza.
Prima
di procedere, devo mettervi in guardia da un fatto sul quale purtroppo non
possiamo riflettere come meriterebbe. Viviamo in una cultura che dispensa
l’uomo dalla fatica, dal dramma della libertà. Questa dispensa prende
soprattutto due forme.
La
prima.
La colpa, il male morale non trova la sua origine ultima in una decisione della
volontà, ma nella società, nei condizionamenti sociali.
La
seconda è più grave. Essa
consiste nel pensare che coscienza, libertà siano fatti neurobiologici. E’
negata l’emergenza dell’uomo nella natura. Emergenza significa l’apparizione in
natura di un essere, per il quale non si possiedono modelli che ci permettano
di riprodurlo in base alle leggi fisico-chimiche: non è la stessa cosa
costruire un robot e un uomo vivo.
Fate
molta vigilanza colla vostra ragione. Non lasciatevi scacciare dal grande
dramma della vita: il dramma della libertà.
2.
[La redenzione dell’uomo]. Abbiamo detto che mediante i suoi atti la persona
realizza se stessa. Da quanto abbiamo appena detto risulta che la persona può
realizzarsi male. Qualcuno potrebbe dire: è il rischio della libertà. E questo
è vero. Ma con questa costatazione il discorso non è chiuso. Anzi.
Una
vita sbagliata è una vita priva di senso: non ha ragione, per esserci. Manzoni
e Shakespeare hanno scritto al riguardo pagine straordinarie e famose. Che casa
accade quando una persona prende coscienza di aver vissuto una vita falsa? Può
forse – direbbe Nicodemo – rientrare nel seno di sua madre e riprendere da
capo? Lasciamo per il momento in sospeso queste domande e andiamo ad una pagina
del Vangelo: l’incontro di Gesù con una donna colta in flagrante adulterio. La
legge di Mosè [e quella dei paesi islamici oggi] era chiara: doveva essere
lapidata.
I
nemici di Gesù sono scaltri. Lo mettono – pensano – in una situazione che ha
solamente due vie d’uscita, e ambedue sono dal punto di vista di Gesù
impercorribili: o proibisce la lapidazione ed allora Gesù nega la verità circa
il male dell’adulterio; o afferma questa verità e quindi dice di lapidare la
donna. Era, in fondo, la situazione in cui venne a trovarsi l’Innominato
durante la famosa notte.
In
realtà Gesù rivela e alla donna e ai suoi accusatori che esiste una terza via:
il perdono. "Neppure io ti
condanno; va e non peccare più".
Fermiamoci
a riflettere sull’evento del perdono. Non è facile a capirsi perché è il fatto
più divino che possa accadere su questa terra. S. Tommaso dice che è più grande
dell’atto con cui Dio ha creato l’universo.
Cominciamo
dal togliere alcuni antropomorfismi. Quando diciamo: "Dio perdona",
non significa che Egli fa come se tu non avessi peccato; come se dicesse:
"da questo momento in poi facciamo finta che tu non hai peccato".
"Dio
perdona" non significa che Egli trova sempre delle scusanti per cui alla
fine ti dice: "stai tranquillo, non hai fatto nulla di male". Gesù
alla donna dice: "non peccare più". Non la scusa; non la consola.
Per
cominciare ad entrare dentro al grande mistero del perdono, possiamo usare un
esempio. Il medico di fronte all’ammalato non si limita a consolare, a dare
calmanti, ma - per quanto possibile – toglie la malattia.
"Dio
perdona" significa che Dio col suo atto che chiamiamo perdono, ri-crea la
persona nel suo io più profondo, nella sua ragione, nella sua libertà. La
persona è rinnovata. Questo atto di Dio implica un giudizio: "hai
sbagliato: meriti di essere condannato [è questo che la S. Scrittura intende
quando parla dell’ira di Dio]; ma Io non ti condanno, ma distruggo in te il
male così che tu sei ri-creato, rimesso a nuovo, rinasci". Il perdono di
Dio quindi implica un giudizio che però non è di natura retributiva [Dio ti dà ciò che
meriti], ma di natura giustificativa [Dio ti rende giusto].
Questo è il cristianesimo!
La
comunità cristiana si è spesso chiesta perché Dio si è fatto uomo. Riuscirete a
fare vostra questa domanda, e quindi a riempire di stupore il vostro cuore di
fronte al Dio–uomo, solo se avrete compreso e vissuto il dramma della
prevaricazione della vostra libertà contro la verità; il dramma della
prevaricazione contro la vostra persona. Allora capite veramente perché Dio si
è fatto uomo: per ricostruire l’uomo; per redimerlo dal pericolo di perdere se stesso.
Ma
è anche possibile un cammino interiore inverso. Solo guardando Dio fattosi
uomo, comprenderete il dramma della vostra libertà; il rischio insito in essa;
la potenza devastante di cui è la vostra persona in possesso, quando prevarica
contro la verità. Comprendi questa tua condizione drammatica quando vedi che
essa è stata condivisa da Dio stesso.
Chi
ha rinunciato di fatto alla fatica di essere libero; chi ha permesso che lo
derubassero della sua libertà, costui non comprenderà mai nulla del
cristianesimo.
3.
[La via del perdono]. Gesù quando perdona non prescinde dalla
nostra libertà. Non ci perdona se non vogliamo essere perdonati.
Che
cosa significa "voler essere perdonati"? Significa tre cose.
(a) Il riconoscimento del
nostro peccato,
del male compiuto. Non va dal medico chi ritiene di essere sano; non vuole
essere perdonato chi ritiene di non avere nulla di cui farsi perdonare. Questo
atto ha nel vocabolario cristiano un nome: dolore per il male commesso. La parola dolore non
va intesa in senso emotivo, psichico. Significa il giudizio che diamo di noi
stessi e dei nostri atti.
(b)
Il riconoscimento genera inevitabilmente una decisione: la decisione di non
commettere più gli atti che si riconoscono essere sbagliati. Questo atto ha nel
vocabolario cristiano un nome: proposito.
(c)
Non siamo degli angeli, cioè dei puri spiriti. I nostri atti coinvolgono sempre
anche il nostro corpo e la nostra psiche. Atti interni esigono di prendere una
forma esterna. Il riconoscimento di cui parlavo diventa "confessione"
del male compiuto.
Per
chiarezza didattica ho presentato questi tre atti: dolore – proposito -
confessione in maniera molto
semplice. Nella realtà, non raramente sono le tappe di un cammino lungo e
faticoso. Pensate a S. Agostino: ha impegnato anni. E non è stato l’unico.
Questo cammino è la conversione.
C’è
una pagina di una grande filosofa spagnola che ci aiuta a capire il senso, la
portata degli atti che costituiscono la conversione. "La vita ha bisogno
di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola,
se assume i suoi caratteri, la soffoca. Si tratta di trovare il punto di contatto
tra la vita e la verità" [cit. da Agostino, Confessioni, a cura di G. Reale,
Bompiani, Milano 2012, 43].
L’incontro
fra Dio che in Gesù perdona e la persona umana convertita è il sacramento della
confessione, o
della riconciliazione.
Esso,
vedete, è l’esaltazione della misericordia di Dio e della libertà dell’uomo.
Papa Francesco ha raccontato che è stata una confessione a cambiare
completamente il corso della sua vita.
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