Notte Oscura Libro II CAPITOLO 5
"Raggio di tenebra"
Ove si comincia a spiegare come questa
contemplazione oscura non solo è notte per l’anima, ma anche pena e tormento.
1. Questa
notte oscura è l’azione che Dio esercita sull’anima per purificarla dalle sue
ignoranze e imperfezioni abituali, naturali e spirituali. I contemplativi la
chiamano contemplazione infusa o teologia mistica. Qui Dio istruisce
segretamente l’anima e le insegna a perfezionarsi nell’amore, senza che essa
faccia nulla o sappia come avvenga. La contemplazione infusa, in quanto
sapienza piena d’amore per Dio, produce due effetti principali nell’anima: la
dispone all’unione d’amore con Dio purificandola e illuminandola. Quella
sapienza, piena d’amore, che purifica i beati in cielo illuminandoli, è la
stessa che qui sulla terra purifica e illumina l’anima.
2. Ma a
questo punto può sorgere un dubbio: perché la sapienza eterna, che è luce
divina e che, come si diceva, illumina e purifica l’anima dalle sue ignoranze,
è qui chiamata notte oscura? A tale interrogativo rispondo così: la divina
sapienza non solo è notte e tenebre per l’anima, ma anche sua pena e tormento
per due motivi. Il primo è l’elevatezza della sapienza divina, che supera le
capacità dell’anima, alla quale proprio per questa ragione si presenta piena di
oscurità. Il secondo è la bassezza e l’impurità dell’anima. Questi due limiti
fanno sì che la luce divina sia per l’anima penosa, dolorosa e anche oscura.
3. A
sostegno del primo motivo è opportuno ricordare qui la dottrina del Filosofo,
il quale afferma con certezza che quanto maggiormente le verità divine sono in
sé chiare e palesi, tanto più sono per loro natura oscure e occulte all’anima.
La stessa cosa accade riguardo alla luce; quanto più è forte, tanto più acceca
e oscura la pupilla della civetta; così il sole: quanto più è fissato
direttamente, tanto più abbaglia la potenza visiva e la priva della luce,
perché è troppo superiore alla debolezza dell’occhio. Pertanto, quando questa
luce divina della contemplazione investe l’anima non ancora totalmente
illuminata, le provoca tenebre spirituali, perché non solo la supera, ma la
priva altresì della sua intelligenza naturale e ne oscura l’atto. Per questo
motivo san Dionigi e altri teologi mistici chiamano questa contemplazione
infusa raggio di tenebra, cioè tenebre per
l’anima non ancora illuminata e purificata, perché la grande luce
soprannaturale di detta contemplazione paralizza la forza naturale
dell’intelletto. Per questo Davide dice che nubi e tenebre avvolgono il Signore(Sal
96,2), non perché egli sia tale in se stesso, ma a causa dei nostri sensi
deboli che di fronte a una luce così immensa si oscurano e rimangono offuscati,
non essendone all’altezza. Lo stesso Davide per maggior chiarezza aggiunge: Davanti
al tuo fulgore si interposero le nuvole (Sal 17,13 Volg.), cioè tra Dio e il
nostro intelletto. Questo spiega perché, quando Dio immette nell’anima non
ancora trasformata qualche raggio splendente della sua sapienza segreta,
produce nell’intelletto dense tenebre.
4.
D’altronde appare evidente come questa contemplazione oscura agli inizi sia
dolorosa per l’anima. Difatti, se da una parte tale contemplazione divina
infusa racchiude in sé molti beni d’una superiorità estrema, dall’altra l’anima
che li riceve, non essendo ancora purificata, presenta in sé molte e persino
gravi miserie. Perciò, non potendo due contrari coesistere nell’unico soggetto
che è l’anima, necessariamente essa deve penare e soffrire come campo di
combattimento in cui si confrontano due opposti che lottano l’uno contro
l’altro, dal momento che la contemplazione va purificando l’anima dalle sue
imperfezioni. Lo proverò per induzione nel modo seguente.
5.
Anzitutto, poiché la luce o sapienza di questa contemplazione è molto luminosa
e chiara, mentre l’anima – che ne è investita – è oscura e impura, quando la
riceve soffre molto. Succede un po’ come quando gli occhi sono ammalati e
sofferenti per umori cattivi e soffrono se colpiti da viva luce. Ora, la
sofferenza dell’anima, dovuta alla sua impurità, è realmente immensa quando
viene investita dalla luce divina. Quando, infatti, l’anima è investita da
questa purissima luce al fine di essere liberata dalle sue impurità, si sente
talmente impura e miserabile da avere la sensazione che Dio le sia contro e che
essa stessa sia diventata nemica di Dio. Pensando che Dio l’abbia scacciata,
avverte tanta pena e sofferenza da sperimentare una delle prove più dure alle
quali fu sottoposto Giobbe in situazione simile. Per questo egli gridava al
Signore: Perché mi hai preso a bersaglio e sono
diventato un peso a me stesso? (Gb
7,20 Volg.). In questo stato, infatti, l’anima, anche se nelle tenebre, vede
chiaramente, illuminata com’è da questa luce divina, la sua impurità; riconosce
chiaramente di non essere degna di Dio né di qualsiasi creatura. Ciò che la fa
soffrire di più è il pensiero che non ne sarà mai degna e che ormai non vi
potrà essere più felicità per lei. Tutto questo perché la sua mente è
profondamente immersa nella conoscenza e nel sentimento dei suoi mali e delle
sue miserie. A questo punto essa li scopre tutti alla luce di questa divina e
oscura luce; comprende, del resto, con evidenza che potrà avere in sorte, per
quello che è, solo malizie. Tale è il senso che si può dare alla seguente
affermazione di Davide: Per l’iniquità tu punisci l’uomo e fai
consumare la sua anima, come il ragno che produce la tela spingendo fuori il suo interno (Sal
38,12 Volg.).
6. Il
secondo motivo per cui l’anima soffre è la debolezza morale e spirituale della
sua natura. Poiché questa divina contemplazione investe l’anima con una certa
violenza per fortificarla e disciplinarla, essa soffre nella sua fragilità, e
quasi viene meno, soprattutto quando è investita con maggiore intensità. Allora
i sensi e lo spirito sono, per così dire, oppressi da un peso immenso e
invisibile. Soffrono e vengono sottoposti a un’agonia tale che considerano la
morte un sollievo. Giobbe aveva sperimentato un simile stato e per questo
esclamava: Non vorrei che (Dio) trattasse con me
con la sua grande potenza e mi schiacciasse sotto il peso della sua grandezza (Gb 23,6 Volg.).
7. In mezzo
a questa oppressione e sotto questo peso l’anima non si sente assolutamente
favorita e le sembra che anche quello in cui era solita trovare un certo
appoggio sia svanito con il resto e che nessuno provi compassione per lei. A
questo riguardo dice ancora Giobbe: Pietà, pietà di me, almeno voi amici
miei, perché la mano di Dio mi ha percosso (Gb 19,21). È cosa strana e degna di
compassione che la debolezza e l’impurità dell’anima facciano sentire pesante e
avversa la mano di Dio, che per natura è così lieve e dolce. Dio non fa mai
pesare la sua mano sull’anima, ma la tocca solamente e con tanta misericordia,
perché suo unico scopo è quello di concederle grazie, non di castigarla.
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