Alberto Neglia
Molte pagine di letteratura teologica e
spirituale sono state scritte per creare una certa diffidenza nei
confronti della gioia. Queste pagine a volte hanno tratto ispirazione da
una errata interpretazione delle "beatitudini evangeliche" che voleva
la beatitudine, la gioia rimandata nell'aldilà, quasi a premio di una
vita tribolata in questo mondo. Questa prospettiva si è come
cristallizzata in un testo, per altri aspetti molto pregevole, che ha
avuto un grande influsso nella formazione spirituale. Mi riferisco alla
Imitazione di Cristo che ammonisce: «Tutte le delizie terrene o sono
vane o sono turpi», e ricorda: «Non si può godere due volte: gioire
prima in questo mondo e poi regnare con Cristo»2.
Questo "aut aut" che, ripeto, ha pesato
nella formazione spirituale di molte generazioni, ha portato al
convincimento che la gioia con tutte le sue manifestazioni umane sia
esperienza che non si addice a chi intraprende un serio cammino
spirituale. Mentre la "gravitas" del portamento e la tristezza sono
state considerate atteggiamenti più compatibili con l'ideale cristiano,
per cui i modelli proposti abitualmente erano quelli di santi che
usavano il cilicio, fuggivano il mondo e si privavano anche dei piaceri
leciti.
"la vostra gioia sia piena"
Se si pone, però attenzione alla
rivelazione biblica ci si rende conto facilmente che questa tradizione
si era allontanata dall'orizzonte presente nel dato rivelato. Il Dio
della Bibbia, infatti, come viene evidenziato in altre pagine di questa
monografia, è un Dio che gioisce delle sue opere (Sal 104,31), un Dio
che fa festa e coinvolge gli altri nella sua gioia per i] figlio
ritrovato (Lc 15,23). Alla nascita di Gesù, ai pastori che vegliano
nella notte, l'angelo annunzia «una grande gioia, che sarà di tutto il
popolo» (Lc 2, 10). E la sua presenza è festa, perché lui è lo Sposo che
scaccia ogni tristezza. Ecco perché i discepoli non digiunano: «Possono
forse digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?» (Mc
2,19).
La riflessione teologica contemporanea
sta riscoprendo la piena umanità di Gesù come parte integrante del suo
ruolo salvifico, ed evidenzia con interesse le sue capacità di humour,
evidenti in certi passi dei Vangeli, e soprattutto mostra interesse per
la sua possibile immagine di uomo felice'. Gesù esulta e sorride,
gioisce delle amicizie, sa stare con gioia a mensa con i giusti e con i
peccatori ed è fonte di gioia e di conso-lazione per tutti quelli che
incontra.
Desiderio di Gesù è che il nostro cuore
si rallegri e che nessuno possa rapirci la sua gioia (Gv 16,22-23). Il
vivere il suo progetto è finalizzato a suscitare e ad alimentare la
gioia: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore,
come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo
amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra
gioia sia piena» (Gv 15, 10s).
Paolo evidenzia che la gioia, di cui
Gesù ci rende partecipi, è frutto dello Spirito (Gal 5,22), che affiora
nella vita dell'uomo come conseguenza del suo dimorare nell'amore
trinitario.
Questa gioia, quindi, non è qualcosa di
superfluo, ma nasce dalla consapevolezza di questo essere coinvolti
nella comunione trinitaria e dal sentirsi continuamente sorretti da
questo abbraccio di Dio che mette in piedi, salva e apre sempre nuovi
orizzonti. Per cui il profeta può cantare: «Hai moltiplicato la gioia,
hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando
si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda» (Is 9,2).
L'antropologia cristiana, allora, alla
luce della Rivelazione, è segnata costruttivamente dalla gioia. Anzi, la
gioia, come scrive A. Louf, «è il terreno in cui ogni vita mette radici
per essere in grado di esistere. Senza la gioia non potremmo vivere, o
meglio non potremmo sopravvivere».
Tenendo conto di questo orizzonte, la
vita del cristiano si configura come una condizione gioiosa per cui una
esperienza cristiana incapace di affermare il primato della gioia, si
troverebbe in contraddizione con se stessa e destinata a lacerare la sua
stessa coscienza tra attenzioni dolorose e santificate, e fughe
piacevoli ma diffidate.
A partire da tale prospettiva, il credente deve proporsi seriamente un progetto educativo alla gioia e alle sue manifestazioni.
il paradosso della gioia
Frutto del dono libero dell'amore
trinitario, che ci raggiunge in Cristo Gesù, la gioia evangelica non è
evasione scanzonata o alienante, ma si coniuga con tutto il mistero di
Cristo e quindi anche con il mistero della passione e della morte. La
gioia cristiana si può vivere, allora, anche nella sofferenza, se si è
uniti a colui che ne è la sorgente e la causa: «Beati voi quando vi
insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male
contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è
la vostra ricompensa nei cieli» (Mt 5,11s). Consapevole di questo, Paolo
poteva scrivere ai cristiani di Filippi: «Anche se il mio sangue deve
essere versato in libagione sul sacrificio e sull'offerta della vostra
fede, sono contento, e ne godo con tutti voi. Allo stesso modo anche voi
godetene e rallegratevi con me» (Fil 2,17s).
In sostanza l'esperienza della
sofferenza diventa circostanza che consente a Paolo di essere messo in
sintonia con il Signore Gesù; e gioire "nel Signore" per lui non è una
qualsiasi formula entusiastica, ma è il riconoscimento della presenza
del Risorto su ogni vicenda umana.
Dopo Paolo altri credenti, seppure incatenati, sono stati epifania del sorriso di Dio per questo mondo.
Di Policarpo viene detto che nel
confessare la sua fede davanti al proconsole, prima del martirio, «era
pieno di coraggio e di allegrezza e il suo volto splendeva di gioia».
Don Tonino Bello, alcuni giorni prima di
morire, al termine della Messa Crismale (8 aprile 1993) fattosi portare
al centro del presbiterio volle dire al suo popolo: «...Andiamo avanti
con grande gioia. Io ho voluto prendere la parola per dirvi che non
bisogna avere le lacrime, perché la Pasqua è la Pasqua della speranza,
della luce, della gioia e dobbiamo sentirle. Io le sento veramente,
perché è così, perché il Signore è risorto, perché Egli è al di sopra di
tutte le nostre malattie, le nostre sofferenze, le nostre povertà. E al
di sopra della morte. Quindi ditelo!»6.
Chi nella fede fa esperienza che gioia e
croce sono compatibili, è uno che si è educato alla logica evangelica
del "perdersi per ritrovarsi" e che ha capito che la gioia è come
l'amore e quindi è impossibile immaginarla individualmente come un
patrimonio di cui essere gelosi. Senza la gioia degli altri, non è
possibile avere la gioia. La testimonianza di Gesù, riportata negli
Atti: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (At 20,35), sta
determinando la sua vita.
vivere le gioie del mondo
Se la gioia è l'esperienza che si
produce in noi quando otteniamo che si realizzi un desiderio e il
desiderio del credente è l'essere con Gesù e vivere nella propria carne
il suo mistero che è di gioia certamente, ma anche di sofferenza, questo
vuol dire che il discepolo di Gesù deve rinunciare alle gioie umane?
Certo, è vero, la gioia autentica si
trova a una grande profondità e dobbiamo scavare molto profondo in noi
per permetterle di sgorgare; ecco perché ogni grande gioia è anche
silenziosa: non può essere espressa, è indicibile, raramente affiora in
superficie. Ma è anche vero che la gioia di questo mondo, la gioia con
connotazione umana non può essere ignorata e che ha la sua importanza,
contiene già la gioia futura.
Come si esprimeva Paolo VI
nell'enciclica Gaudete in Domino: «La gioia cristiana suppone un uomo
capace di gioie naturali»'. E aggiungeva che Gesù stesso, nella sua
umanità «ha fatto l'esperienza della nostra gioia. Egli ha
manifestamente conosciuto, apprezzato, esaltato tutta una gamma di gioie
umane, di quelle gioie semplici e quotidiane, alla portata di tutti. La
profondità della sua vita interiore non ha attenuato il realismo del
suo sguardo, né la sua sensibilità»e.
Aggiungeva, ancora, Gesù «ha accolto e provato le gioie affettive e spirituali, come un dono di Dio»9.
Se gioia, godimento dell'amicizia, della
natura, sorriso, sono valori umani che Gesù non ha rinnegato, ma che ha
vissuto intensamente ponendo accanto ad essi come unico criterio di
fruizione, per togliere ogni pericolo di autoinganno, il primato
dell'amore e della condivisione; allora bisogna sottolineare che non è
umano né cristiano rinunciare alle gioie create e volute da Dio,
diffidare e astenersi dai valori della vita e della terra. Dio ha voluto
che il suo servizio avvenisse nell'umano, sulla terra e che avesse come
contenuto un autentico rapporto con gli uomini e con le cose'°, allora
bisogna educarsi a saper convivere con le nostre gioie semplici e
quotidiane e vigilare sempre perché esse non diventino idolo ma si
ricevano dalle mani di Gesù e siano vissute nel regime dell'amore.
la gioia della relazione
Una di queste gioie semplici e
quotidiane è certamente quella che deriva da una relazione realizzata.
La gioia, infatti, perché frutto di un dono ricevuto, ma anche offerto,
dice relazione, anzi è esperienza che si produce nell'uomo quando
ottiene che si realizzi una relazione desiderata. Una relazione non solo
con Dio, ma anche con le creature e con il creato. «L'uomo prova la
gioia, — ci ricorda, ancora, Paolo VI — quando si trova in armonia con
la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione nella
comunione con gli altri»11. E Gesù prega perché questa 'comunione si
realizzi tra i suoi discepoli: «Padre santo, custodisci nel tua nome
coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi»(Gv 17,11).
E subito dopo aggiunge: «Perché abbiano in se stessi la pienezza della
mia gioia» (Gv 17,13).
La relazione ha certamente diversa
densità e si esprime quindi con manifestazioni eterogenee, ma se è vera
essa va assunta sia quando si esprime nel semplice convenire per un
banchetto di umana comunione, o per giocare o per far festa assieme'2,
sia quando il rapporto si fa più denso nella realtà familiare e
nell'amicizia profonda.
tra gli sposi
Nella pienezza dell'amore coniugale,
nella dolcezza della comprensione reciproca, nello stupore della vita
che si rinnova, la gioia degli
sposi è partecipazione della gioia
pasquale del Cristo e motivo di ringraziamento e di lode. Della dinamica
relazionale dell'amore coniugale fa parte il dono sessuale nell'amore,
momento determinante e costruttivo della realtà di coppia a cui anche il
sacramento invita i coniugi (GS 49). Questo dono è, per gli sposi
cristiani, esperienza di gioia. Da quando l'uomo ha emesso il primo
grido di gioia di fronte alla donna creata (Gen 2,23), dalla
rivelazione, l'amore tra l'uomo e la donna, voluto da Dio, è statti
visto come cosa buona ed è stato cantato come fonte di gioia e di
piacere. È importante allora che gli sposi cristiani sappiano accettare
la sessualità con la serenità e la cordialità che provengono dalla fede
nella bontà intrinseca delle opere di Dio e sappiano gioire di tutti
quei gesti di tenerezza nei quali l'amore coniugale si incarna, si
trasmette ed è accolto. Certo nel piacere donato e accolto attraverso
tutte le vibrazioni dei sensi sono possibili la menzogna e l'illusione,
ma quando esso è autentico, quando esprime e favorisce l'amore coniugale
allora è gioia piena.
tra gli amici
Altra relazione fonte di gioia è
l'amicizia. «Chi trova un amico, trova un tesoro» (Sir 6,14), ci ricorda
la sapienza biblica. L'amicizia è qualcosa di più del semplice stare
insieme. Essa è per sua natura gratuita: nasce dove non si è piantato,
cresce senza bisogno di giuramento o di legge. Improvvisa, inattesa
spunta nell'intimità spirituale tra due persone e quando questo avviene
si coglie l'essere dell'altra persona e nel mistero dell'altro è come se
si percepisse in un riflesso debole ma reale, l'invisi-bile. «Cogliere
l'infinito nel finito: ecco l'essenza dell'amicizia»" Quando questo
avviene, quando si verifica un'amicizia trasparente, limpida, non
accaparratrice, tutti i sensi vibrano ed esplode la gioia: «Un amico
fedele è un balsamo di vita» (Sir 6,16), ci consola sempre la sapienza
biblica; ed è dono di Dio:«lo troveranno quanti temono il Signore» (Sir
6,16). Nell'amicizia la provvidenza di Dio si presenta come dono che si
concentra sul volto dell'amico.
Gesù ha vissuto amicizie profonde: con
Lazzaro, con Marta e Maria e con loro ha pianto e ha gioito (Gv
11,5.11). Sulla scia di Gesù, nella tradizione cristiana sono presenti
testimoni che hanno tratto consolazione e gioia da un autentico rapporto
amicale. Tra questi, mi piace ricordare Benedetta Bianchi Porro,
creatura, vicina a noi nel tempo e nel sentire. Essa, sebbene assediata
da una grave malattia, sorda, totalmente paralizzata, priva di ogni
facoltà sensitiva e alla fine anche cieca, ha saputo farsi amica
sollecita verso chi a lei si avvicinava. E, a sua volta, nell'affetto
degli amici ha saputo cogliere una presenza che le ha consentito di
vivere intensamente. All'amica Franci, scrive: «Vorrei tanto
ringraziarti della tua lettera, che mi è giunta proprio quando mi
sembrava di boccheggiare e sentivo la speranza sbiadire per dar posto in
me ad un infinito senso di dolore e di angoscia. Poi ho avuto la gioia
di farmi trasmettere le tue parole e mi è sembrato per un attimo di
essere composta di vetro, e che tu scrivendomi vedessi dentro di me,
nell'anima. Ho sentito che l'aiuto di Dio, tramite tuo, mi veniva
incontro e mi dava una gioia più grande di quanto tu possa
immaginare»14. Benedetta ha sperimentato che Dio dona il pane che rende
forti attraverso il gesto degli amici, e dalla sua estrema povertà non
si è vergognata di chiedere questo pane.
Certamente l'amicizia infrange i limiti
del proprio io, e perciò è anche causa di dolore. Ma solo chi entra nel
rischio dell'amicizia, chi non si ripiega su se stesso, ma in modo umile
e con perseveranza quotidiana, passando anche attraverso tappe
dolorose, va incontro all'altro in modo gratuito e contemplativo,
sperimenta quanto sia gioioso «camminare in festa», assieme all'altro
«verso la casa di Dio» (Sal 55, 15).
per concludere
L'esemplificazione, ovviamente, non
esaurisce le numerose gioie legate alle varie relazioni umane. Ma
intenzione di questa riflessione non era questo, ma quello di
evidenziare che la gioia non è un lusso nella vita umana, ma una
vocazione nella quale Dio stesso ci coinvolge. La sorgente della gioia
cristiana, infatti, è certamente la comunione con Dio, ma è motivo di
gioia anche tutto ciò che è uscito dal cuore di Dio. Le persone, la
bellezza della natura, le cose sono tutte motivo di gioia perché esse
sono come orme del passaggio di Dio. É importante, allora, per il
credente sapere che il gioire nel relazionarsi con le creature e con il
creato non è un male, anzi è esperienza che fa crescere in umanità se la
relazione è ispirata da amore gratuito.
da O.Carm
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