Smarrire la
fede
Quando mi
guardo indietro, il periodo di Amburgo mi sembra una specie di fase da teatro
delle marionette.
La mia vita
si svolgeva in una cerchia molto limitata di persone ed io ero ancora più
chiusa nel mio mondo interiore di quanto fossi a casa. Per quanto i lavori
domestici lo permettevano, leggevo. Tra le cose che udii e lessi ce ne fu
qualcuna che non mi fece bene. A causa della specializzazione di mio cognato
arrivavano in casa alcuni libri che non erano precisamente destinati a una
ragazza di 15 anni. Oltre a ciò Max ed Else erano completamente atei; la
religione non esisteva a casa loro.
Qui in piena
coscienza e per libera scelta smisi di pregare.
Vuoto
interiore
Il giorno
successivo a quello dell' esame rimasi a letto un po' più a lungo del solito.
Mi portarono
su la posta: c'erano lettere di congratulazioni - tra cui una dello zio David
che mi invitava ad andare a Chemnitz. Lessi e poi rimasi a letto a riflettere
tranquillamente.
Il grande
senso di felicità che mi ero aspettata di provare dopo gli esami non c'era,
sentivo piuttosto un grande vuoto interiore. Un modo di vivere caro e familiare
era finito. Cosa sarebbe successo ora? Pensavo alle obiezioni inespresse dal
buon zio riguardo la mia scelta professionale. Avevo veramente preso la
decisione giusta?
Siamo al
mondo per servire l'umanità... Questo si può fare nel migliore dei modi,
facendo qualcosa per cui si ha una vera predisposizione.
Un
rimprovero efficace
Hermsen mi
accompagnò a casa. Dopo gli incontri serali del gruppo, aveva sempre lasciato
ad altri questo incarico, poiché abitava molto lontano da me. Giunti dinanzi a
casa mia, disse: «Le auguro di poter incontrare a Gottinga persone che le
andranno veramente a genio. Qui lei è diventata un po' troppo critica». Rimasi
molto colpita da queste parole; non ero più abituata ad essere rimproverata. In
casa non accadeva quasi mai che qualcuno osasse dirmi qualcosa e le mie amiche
erano legate a me da affetto e ammirazione. Così vivevo nell'ingenua illusione
che tutto andasse bene in me, come spesso accade a persone credenti, dotate di
un forte idealismo etico.
Dal momento
che si è entusiasti del bene, si crede di essere buoni. Avevo sempre
considerato mio pieno diritto puntare il dito senza riguardo su tutte le cose
negative di cui mi accorgevo: debolezze, errori, mancanze delle altre persone,
spesso in tono di scherno e ironia. C'era gente che mi trovava
"squisitamente cattiva". Sicché quelle parole di congedo pronunciate
seriamente da un uomo che stimavo e amavo molto dovevano farmi un'impressione
dolorosa. Non rimasi per questo risentita nei suoi confronti e neppure cercai
di discolparmi facendo apparire ingiusto il suo rimprovero. Quelle parole
furono un primo segnale di sveglia che mi fece riflettere.
Euforia e
depressione
Quasi non mi
accorgevo di quanto mi fossi allontanata dai miei e di quanto loro ne
soffrissero. Vivevo completamente assorta nei miei studi e nelle aspirazioni
alle quali essi mi avevano condotto. In questo ambito vedevo i miei doveri e
non ero consapevole dei torti che facevo...
Al principio
degli studi universitari il mio vecchio direttore mi pregò di andare da lui per
affidarmi una studentessa che chiedeva lezioni private. Mi chiese come stavo e
quando gli risposi di tutto cuore: «Oh, io sto molto bene!», egli spalancò
ancora più del solito i suoi occhi sporgenti e disse meravigliato: «Davvero
questa è una cosa che si sente di rado». A questo alto morale, si contrappose
curiosamente un' esperienza che mi capitò non molto tempo dopo.
Andare
lontano
Sentivo una
stanchezza febbrile, tuttavia guardavo le cose in faccia con grande chiarezza e
risolutezza. «Ora non ho più una vita personale», dissi a me stessa. «Tutte le
mie forze appartengono a questo grande evento. Quando la guerra sarà finita, se
sarò ancora viva, allora potrò pensare di nuovo alle mie faccende»...
Durante il
corso dovevamo dichiarare se, nel caso volessimo metterci a disposizione della
Croce Rossa, la nostra disponibilità si limitasse solo al territorio di
Breslavia, al paese, o fosse senza condizioni.
Naturalmente,
diedi la mia disponibilità incondizionata. Non avevo infatti altro desiderio
che andare il più lontano possibile, nel più breve tempo possibile,
preferibilmente al fronte, in un ospedale da campo.
Di fronte
alla morte
Era la prima
volta che vedevo morire qualcuno. Il secondo caso di decesso lo vidi nella
nostra corsia: quando, dopo qualche giorno di servizio notturno, arrivai di
sera al reparto, le infermiere mi accolsero con la notizia che era stato
trasportato un moribondo nella nostra corsia; esse avrebbero voluto
risparmiarmelo per quella notte. Ricevetti l'istruzione di fargli un'iniezione
di canfora ogni ora. In questo modo prolungai per diverse notti la scintilla di
vita fino al mattino dopo. Era un uomo grande e forte; giaceva immoto e privo
di conoscenza. Nessuno di noi lo vide mai aprire gli occhi o lo udì pronunciare
una parola.
Anche
l'ultima notte gli feci diverse iniezioni. Tra una iniezione e l'altra stavo ad
ascoltare il respiro dal mio posto - improvvisamente cessò. Andai presso il suo
letto; il cuore non batteva più.
Ora dovevo
fare ciò che ci era stato prescritto in casi del genere: raccogliere i pochi
oggetti che aveva ancora con sé per consegnarli all' Amministrazione militare
(la maggior parte delle cose venivano ritirate ai pazienti al loro arrivo e
serbate fino a che non venivano dimessi); chiamare il dottore e farmi
rilasciare il certificato di morte; andare dal guardaporte con il certificato e
far venire gli uomini con una barella a portar via il morto; infine, togliere
tutta la biancheria del letto.
Mentre stavo
ordinando le sue poche cose, un foglietto cadde fuori dal suo taccuino: sopra
c'era una preghiera per la conservazione della sua vita che la moglie gli aveva
dato. Ciò mi colpì profondamente. Solo in quel momento capii che cosa avrebbe
significato quella morte dal punto di vista umano.
da O.Carm
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