martedì 10 febbraio 2015

La Personalità di santa Teresa d'Avila

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Articolo apparso in "Il Carmelo Oggi" (ottobre 1999)

Quando si parla di “personalità”, s’intende quella capacità propria dell’uomo di essere il “signore” delle sue decisioni e di saper uscire da se stesso, di costruirsi aprendosi all’altro, senza per questo perdere la propria identità. Ciascuno di noi è “unico”, non ha ricambi; è una realtà insostituibile, che non ha prezzo e non ammette equivalente. Da qui la nostra dignità.
Per questo l’uomo non può mai essere utilizzato come mezzo, giacché è un fine in se stesso.
Ma solo aprendosi volontariamente a Dio l'uomo supera definitivamente i suoi limiti umani, e giunge là dove, i pur degni sforzi umani non riuscirebbero a portarlo.
Teresa rende trasparente questa capacità di tutta la persona umana, che nell'eleggere, elegge se stessa e si costruisce. E se ne assume la responsabilità, perché non c’è esercizio di vera libertà, senza il debito di dover rispondere personalmente delle proprie scelte.

Un lento lavoro di costruzione
Lo sviluppo della personalità di Teresa de Ahumada ebbe pietre miliari segnalate chiaramente da lei, in cui costruì e riaffermò la sua personalità.
Teresa visse la tappa dell'adolescenza con i palpiti e i turbamenti di ogni ragazza. "Cominciai a vestirmi con ricercatezza e a desiderare di comparire. Avevo somma cura delle mani e dei capelli. Usavo profumi e ogni altra possibile vanità: tutte cose, che per essere io raffinata, non mi bastavano mai" (V2,2).
Sognò un darsi al matrimonio e da parte sua pose tutto l'ardore di cui era per temperamento capace, senza altri limiti, se non quelli che le venivano dall'etica del suo tempo. Teresa afferma che la sostenne "il timore di Dio, benché - nota con sincerità - più forte fosse il sentimento dell'onore" (V. 2,3), e "perduto questo santo timore, non mi rimase che il sentimento dell'onore" (V. 2,5). Tuttavia, non fui mai portata a commettere gravi colpe, le cose disoneste mi ripugnavano per natura" (V. 2,6).
I passatempi e le occasioni posero in pericolo le primitive aspirazioni di Teresa bambina. Don Alonso, suo padre, preoccupato dinanzi a fatti che gli facevano sospettare qualcosa d’inconveniente, troncò il tutto risolutamente, ponendo Teresa nell'Internato di S. Maria delle Grazie. Lì, grazie all'aiuto di una suora, Maria di Bricegno, Teresa iniziò un processo che la portò, dopo alcuni anni di riflessione, alla scelta della vita religiosa (V. 2, 10). Una scelta in cui pose in gioco la costruzione di molti aspetti della sua personalità.
Tale decisione incontrò il dissenso di don Alonso, che però non riuscì a piegare la volontà di Teresa. Aveva vent'anni quando scappò da casa per entrare nel monastero dell'Incarnazione. Il dolore della separazione fu, tuttavia, così grande da sentirsi - come narra lei stessa - slogare le ossa.
Pose così le fondamenta; ma erano solo “basamento”. Teresa non avrebbe potuto costruire la casa, la propria personalità, se avesse sterilizzato il suo mondo affettivo o lo avesse lasciato straripare pericolosamente per alvei di dispersione che l'avrebbero resa una donna insoddisfatta.

Una lunga guerra
Un lungo periodo di lotta aspettava Teresa. Ella stessa lo descrive nella “Vita”, una volta superatolo. Certamente durò, al meno, dal 1541 - dal momento in cui si sentì guarita negli aspetti più gravi di una gravissima infermità che l'aveva portata in punto di morte, - fino alla Quaresima del 1554. In questo periodo sperimentò progressi e regressi, e non mancarono momenti veramente critici in cui si trovava senza forze e coraggio per guardare in se stessa, davanti a Dio. Cercò, allora, la soluzione dei suoi problemi nello stordimento e nell'evasione. Ma non era quella la strada giusta.
Infatti, passò un periodo in cui il progetto di una vita in cui l'amore gratuito fosse l'asse portante del suo comportamento, non si consolidava, e fu in pericolo. Il sottile desiderio di accaparrare l'attenzione e l'affetto nel parlatorio del suo monastero dell'Incarnazione, fu la trappola in cui cadde Teresa, e da cui non poté liberarsi con le sole sue forze. A nulla le servivano le sue giustificazioni davanti a se stessa e al padre che ne era preoccupato. Il suo cuore ne era tanto coinvolto, che non riusciva a giudicare rettamente. Neppure le servì la determinazione di non lasciare più l'orazione - come purtroppo aveva fatto, giudicandosi indegna di rivolgersi a Dio. * Teresa viveva una vita incoerente e disintegrata. Il parlatorio e la sua cella erano i due poli in cui si facevano forti i due "amori", che stava sperimentando come antagonisti. Nella cella regnava il clima d’orazione e d’amor di Dio; nel parlatorio, in mezzo alla dissipazione, vinceva la forte affezione verso un cavaliere di Avila. Teresa ci ha lasciato una descrizione meravigliosa della situazione: "Menavo una vita infelicissima, perché l'orazione mi faceva meglio vedere le mie colpe. Dio mi chiamava da una parte, e io seguivo il mondo dall'altra. Le cose di Dio mi davano piacere, e non sapevo svincolarmi da quelle del mondo. Insomma, pareva che volessi conciliare questi due nemici, tanto fra loro contrari: la vita dello spirito con i gusti e i passatempi dei sensi. L'ora di orazione mi era diventata un tormento, perché, facendola io consistere nel raccogliermi nel mio interno, ed avendo lo spirito non più padrone, ma schiavo, non potevo rientrare in me stessa senza portare con me tutto il cumulo delle mie miserie. Passai così molti anni, e mi meraviglio di aver potuto tanto durarla, senza mai romperla o con Dio o con il mondo" (V. 7,17).
Ricordando quello stato, Teresa è cosciente che in simili situazioni, la persona può "rompersi" fino alla diserzione o alla manifestazione di fenomeni patologici. Scrivendo la sua “Vita” sotto la luce della fede, non può fare a meno di riconoscere che fu l'azione di Dio che le impedì di sfuggire dalle Sue mani.
Se Teresa fosse morta in quello stato, non sarebbe passata alla storia, perché Teresa “di Gesù” non era ancora nata quando Teresa “de Ahumada” era sulla quarantina.

Si apre un nuovo cammino
Il periodo liturgico quaresimale dell'anno 1554 è lo sfondo in cui Teresa visse il dramma della consapevolezza di essere infedele verso Dio, perché incoerente nella vita che aveva scelto. La lettura delle Confessioni di Sant’Agostino incendiò nel più intimo di lei il desiderio di conversione. La vista di un Cristo "molto piagato" le provocò l'esperienza di sentirsi amata da Cristo e si scoprì veramente ingrata. Ad un amore dimostrato fino alla morte, lei, che aspirava ad essere una donna intera, aveva risposto con un amore meschinamente diviso. Quest'esperienza fu per Teresa ciò che fu per Paolo la caduta da cavallo e l'incontro con il Cristo. Inginocchiata davanti all'immagine, Teresa pianse e supplicò la grazia di iniziare una vita nuova, confessando i suoi errori e peccati. Insistette con tenacia, e in questa tenacia sentì che si era rafforzata la sua opzione per il Signore che tanto aveva saputo aspettarla. Stiamo ad una nuova pietra miliare dell'identità personale di Teresa, che passa ad un'opzione più radicale, quella che esige la conversione.
Ma la ferma determinazione del 1554 non trasformò istantaneamente Teresa. Fu però il passaggio ad una relazione interpersonale con Dio più profonda, un rapporto in cui ella si scoprì amata. Quest'esperienza influirà definitivamente sul modo con cui Teresa si porrà in relazione con gli uomini e con il cosmo. Teresa entrò per il cammino nuovo in cui la sua libertà, tanto legata fino a quel momento, si sarebbe progressivamente liberata. E tal esperienza di liberazione, quando, cioè, si ritrova con se stessa, Teresa la vive allorché ha superato ormai i quarant'anni. Teresa è entrata ormai in relazione con un Dio che la avvolge e l’incanta. Tutto ciò che rimane in lei, è ormai relativizzato: il suo interesse e la sua attrazione si incentrano in Dio.

L'incontro con Dio in Cristo
Questo Dio le se mostrò come un “Dio personale”, che la invitava all'amore come una nuova forma di esistenza. Teresa ne rimase abbagliata, affascinata, ma senza ancora comprenderne la portata. Però fece sì che la sua capacità affettiva si risvegliasse, come se rinascesse. L'Umanità di Cristo incentrò il suo amore. Più tardi Teresa si sentì unificata nell'incontro con Cristo risuscitato. In Lui, Dio e uomo, poté saziare le sue capacità di amicizia e le sue ansie di assoluto: "La visione di nostro Signore e la continua comunicazione che avevo con Lui aumentarono di molto il mio amore e la mia fiducia. Comprendevo che se è vero che è Dio, è pur anche uomo, e che, come tale, non solo non si meraviglia della debolezza umana, ma sa pure che questa nostra misera natura va soggetta a molte cadute, per colpa del primo peccato che Egli è venuto a riparare. Benché sia Dio, posso trattare con Lui come con un amico" (V. 37,5) (6 sp.).
Da quest'incontro, Teresa non avrà più problema riguardo all'amore. Tutte le sue possibilità di amare si unificarono intorno a Cristo, il Figlio di Dio e il primogenito di tutte le creature. Teresa incontrerà il suo volto in tutti gli uomini e in tutto il creato. Con Lui, come capitano, si disporrà a tutte le battaglie per la Chiesa. Inizia la Riforma com'esigenza di conversione individuale e di gruppo, prima che come risposta ai "riformatori” protestanti. Teresa de Ahumada, scoperto il centro della sua identità personale in Gesù Cristo, adotterà un nome nuovo: Teresa di Gesù, come lei si chiamò, o "Teresa, quella di Gesù", nell'espressione azzeccata del pittore Cortés.

Si dilata la sua capacità di amare
Che avvenne della "donna" che soggiace in Teresa di Gesù? È il momento di scoprirla nelle tappe della sua orazione e nelle relazioni interpersonali, come appaiono nell'Epistolario. E strano, ma rimangono ancora per Teresa molti cammini da percorrere verso il cuore di Dio e nelle sue relazioni con gli uomini: due aspetti della sua personalità perfettamente integrati, soprattutto nell'ultima decade della sua vita. La pienezza dell'apertura e unione con Dio di Teresa coincidono con la sua maggior densità di relazioni umane. È ciò che ora vedremo.
Alla fine del 1571, dopo aver fondato i Carmeli “scalzi” di Avila, Medina, Malagón, Valladolid, Duruelo, Pastrana, Salamanca e Alba de Tormes, Teresa si trova nel monastero dell'Incarnazione. È lì per assumere, sua malgrado, l'incarico di Priora, per ordine del Padre Provinciale. Le spiaceva il fatto di essere stata imposta alle monache, e non gradì l'interruzione delle sue fondazioni. In questa situazione, nella tappa in cui aveva l'aiuto spirituale di S. Giovanni della Croce, confessore del monastero, Teresa ricevette la grazia dell'unione che lei specificò come "matrimonio spirituale". Si aprono le porte della vita trinitaria, che sarà il culmine della sua esperienza mistica: "Mi si rappresentò il signore nel più intimo dell'anima per via di visione immaginaria, mi porse la destra e mi disse: “Guarda questo chiodo: è segno che da oggi in poi tu sarai mi sposa. Finora questa grazia non l'avevi meritata, ma d'ora in avanti tu avrai cura del mio onore, non solo perché sono tuo Dio, tuo re e tuo Creatore, ma anche perché tu sei mia vera sposa. Il mio onore è tuo, il tuo è mio”. Ne ebbi tanta impressione che rimasi come fuori di me; e presa da una specie di delirio supplicai il Signore o di trasformare la mia miseria o di non concedermi più tante grazie, per sembrarmi che la mia natura non le potesse sostenere" (CC 25).

Dall'incontro con Dio alla donazione agli uomini
Teresa sperimentò la necessità di allargare la sua capacità personale e le fu concesso. Si potrebbe pensare che da questo momento Teresa di Gesù vivesse in estasi permanente; ma non fu questo il processo della sua apertura a Dio. Restarono indietro i fenomeni accessori, che avevano riempito gli ultimi anni della sua vita come monache dell'Incarnazione, e quelli beati dei primi cinque anni nel monastero di S. Giuseppe. Rimase invece, ogni volta più serena, la realtà di un'esperienza profonda di Dio. Le fatiche nate dalle fondazioni furono il banco di prova in cui Teresa dimostrò il suo amore a Gesù Cristo, più con le opere che con le parole, e più negli avvenimenti che in un cantuccio. Teresa ha raggiunto la piena maturità.
La pienezza di personalità di Teresa di Gesù trasbordò nelle relazioni con gli altri senza perdere la sua apertura fondamentale con l’Altro. Di lei si può affermare: rese possibile una vita tutta di Dio e al tempo stesso squisitamente umana.
Per comprendere quest'affermazione bisogna leggere l'Epistolario e accompagnare la monaca "vagabonda e faccendiera" nel suo compito quotidiano, cercando di affacciarsi al suo cuore per vedere fino a che punto seppe amare. L'amore gratuito di Dio, sperimentato così vivamente da Teresa, molto sopra i suoi più ardenti desideri, la spinse ad un darsi senza riserve per gli altri. Sentiva la necessità di annunciare le misericordie di Dio, di raccontare e cantare le meraviglie del suo amore.
Tutte le possibilità di amare, di cui Teresa era dotata, si fecero più trasparenti, come segno dell'amore di cui era stata favorita. Da parte sua, nell'Umanità di Cristo scoprì l'umanità intera e la natura che la copre e alimenta. In tutto Teresa captò come Dio ci avvolge nell'amore che sente per suo Figlio, come Padre di Gesù Cristo. Immersa nella relazione Trinitaria, visse i rapporti con gli uomini.

Come furono queste relazioni con le persone?
Non si può conoscere pienamente la personalità di Teresa, senza tuffarsi nel suo “Epistolario”.
La rete di relazioni che si scopre nelle sue Lettere, è veramente straordinaria. I temi sono molto variati: viaggi, salute, affari, fondazioni di monasteri, pratica di documenti, faccende familiari, relazioni con autorità civili ed ecclesiastiche, espressioni di amicizia, comunicazioni di pene e gioie...
Sono le lettere di Teresa il miglior "test", per scoprire la sua personalità, aperta e bisognosa di comunione. Le Lettere sono un prolungamento dei suoi colloqui con la famiglia, le amicizie, i confessori, i superiori, le persone legate alla Riforma, i teologi (...). Appare una Teresa gran conversatrice e donna di gran cuore. Nelle Lettere continua il dialogo iniziato di solito in un colloquio anteriore con Dio. Quelle che ci rimangono partono dal periodo di gestazione della Riforma, e quasi tutte appartengono alla tappa di fondatrice, dal 1567. Teresa ha superato i cinquant'anni. Da questa data le Lettere si fanno più frequenti, in occasione dei conflitti che posero in pericolo la Riforma (1575-1580).
È il periodo in cui Teresa vive pienamente della sua esperienza mistica proprio mentre sperimenta un'amicizia dalla profondità e trasparenza insospettabili. In queste relazioni si ritrova ben chiara la sua personalità.
Il carattere affettivo e aperto di Teresa facilitò che fosse sempre centro di un gran circolo di amicizie. Queste formano l'intelaiatura della vita di Teresa, nel bene e nel male.
Dalla sua adolescenza le restò il sapore amaro delle relazioni con una parente di “costumi leggeri”.
Nei primi passi della vita religiosa l'aiutò l'amicizia con Giovanna Jùarez, una monaca dell'Incarnazione.
Più tardi, le amicizie nel parlatorio del monastero giunsero a porre in pericolo la sua vocazione.
Dopo la sua conversione, nella nuova vita, le amicizie giocarono un ruolo importante.
Nell'autobiografia, Teresa fa un elogio all'amicizia spirituale quando racconta l'incontro con il Padre Garzia di Toledo (V. 34). Le Lettere sono una buona testimonianza delle relazioni di amicizia di Teresa.
Senza entrare nei dettagli, le lettere ai monasteri femminili meritano un accenno a parte.
Teresa scrive alle sue figlie, e specialmente alle priore maggiormente dotate, per sostenerle, renderle felici e mantenerle unite. In esse appare uno stile di fraternità e convivenza, in cui la comunicazione umana è proposta e vissuta con la medesima forza della comunione negli ideali mistici. La rete epistolare fu l'alveo tramite cui Teresa di Gesù poté esercitare la sua autorità morale di fondatrice e madre spirituale, dentro strutture giuridiche che rendevano impossibile ad una donna la carica di superiora generale. L'autorità di capo e la personalità di Teresa, attraverso questa comunicazione familiare ottennero ciò che non teneva posto nella legislazione.
Però esse non avevano solo questa finalità. Le lettere erano soprattutto un mezzo di comunicazione che facilitasse l'amor mutuo tanto raccomandato da Teresa nel Cammino di Perfezione: "Procurate sorelle, per quanto lo possiate senz'offesa di Dio, di mostrarvi sempre accondiscendenti e di trattare con le persone in modo da indurle ad amare la vostra conversazione, a desiderare d'imitarvi nella vostra maniera di vivere e di parlare, e a non indietreggiare, impaurite, dinanzi alla virtù (...). Tutto ciò è assai utile, specialmente fra voi. Più siete sante, più dovete mostrarvi affabili con le sorelle; né mai fuggirle, per noiose e impertinenti vi siano con le loro conversazioni... Se volete attirarvi il loro amore e fare a loro del bene, dovete guardarvi da qualsiasi rusticità. Sforziamoci di essere molto affabili e accondiscendenti, e di contentare le persone con cui trattiamo, specialmente le nostre consorelle" (CV 41,7).
Fra queste meritano un accenno particolare quelle che riguardano la sua amicizia con suor Maria di San Giuseppe Salazár. L'amicizia iniziò nel palazzo di donna Luisa de la Cerda, in Toledo, nel 1562, quando Teresa aveva già tutto preparato per la fondazione di S. Giuseppe. Continuò in questo stesso palazzo quando al Fondatrice ritornò lì a causa della fondazione a Malagón.
La giovane Maria de Salazár, ne restò conquistata ed entrò nel Carmelo. Mantenne i suoi contatti con Teresa nei monasteri di Malagón, Beas e Siviglia. Accompagnò la Fondatrice in due viaggi importanti: quello da Malagón a Beas e quello da Beas a Siviglia. S: Teresa non dissimulò mai la sua preferenza per questa monaca, una delle sei prime del Carmelo Andaluso, e a questa dobbiamo una delle biografie più riuscite sulla Santa.
Si conservano cinquanta lettere dirette a Maria di S. Giuseppe.
In esse appare molto bene il tono umano con cui Teresa manteneva le relazioni con le sue monache, che non escludeva anche forti correzioni, solo possibili dove esiste un grande amore: "Le assicuro che anch'io pago bene la lontananza che dice di sentire nei miei riguardi. Ho ricevuto la sua dopo avere scritto questa. Mi sono tanto rallegrata che ho preso per buone le sue scuse. Dal momento che mi vuole tanto bene quanto da parte mia, le perdono il passato e il futuro, perché il rimprovero maggior che ho verso di lei è che non gustava molto di stare con me, e vedo bene che non ne ha colpa.. Mi creda che le voglio tanto bene, e dal momento che vedo questa volontà, il di più sono sciocchezze non meritevoli di nota (...) Ma con questa sua lettera, tutto mi pare chiaro, e mi trovo in pace (L. 204, Toledo 2-6-1576). E in un'altra posteriore: "Certamente le voglio più bene di quanto lei pensa, e con tenerezza, e per questo desidero che riesca in tutto e specialmente in una cosa così grave (la proposta di cambiare casa). Il male è che mentre più amo, tanto più non riesco a sopportare nessuno sbaglio. Vedo che è una sciocchezza, perché sbagliando si fa esperienza; ma se lo sbaglio è grande, non c'è più nulla da fare, e perciò è bene andare con prudenza" (L. 8-9.2.80).
Scopriamo così sfaccettature della personalità di Teresa che la rendono particolarmente vicina e amabile.
Essa manifesta valori umani che oggi sono universalmente riconosciuti: la confidenza e il rispetto per la persona, l'allegria nel vivere quotidiano, nelle piccole cose, l’importanza dell'amicizia, la speranza in un futuro che si costruisce davanti a Dio. Manifesta anche gli equivoci e le preferenze che sono patrimonio di ogni persona umana.
Teresa fu sempre una donna con i piedi sulla terra,
quantunque la testa e il cuore stessero in Dio.
Tutta di Dio, senza lasciare di essere umanissima
.


da O.Carm

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