martedì 31 dicembre 2013

Da S.Teresina

   Tutto passa in questo mondo mortale, anche la piccola Teresa passa… ma tornerà.

PENSIERO DEL GIORNO

Evangelii Gaudium mp3
Ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace. Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall'anelito di pace.


Papa Francesco - Angelus 1 settembre 2013

MEDITAZIONE DI MARTEDÌ' 31 DICEMBRE 2013

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia
31 DICEMBRE (Gv 1,1-18)


Dio non rivela se stesso tutto in un volta. Sarebbe come se un uomo, dal buio più nero nel quale è vissuto per anni, fosse catapultato nel centro del sole. I suoi occhi all’istante si oscurerebbero per sempre. La luce è troppo intensa per essere afferrata. Il Signore invece nella sua eterna e divina sapienza dona a poco a poco la sua luce e l’uomo abitua mente e cuore a camminare lasciandosi guidare dalla luce eterna.

La verità di Cristo Signore, del Verbo Eterno del Padre, fattosi carne nel seno della Vergine Maria, nell'Antico Testamento è appena abbozzata. Manca della luce piena. Tuttavia già si cominciano a intravedere alcuni tratti essenziali della verità eterna che è Cristo Gesù. Dall’abbozzo alla verità tutta intera vi è un abisso da colmare. 
La sapienza fa il proprio elogio, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria: «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e come nube ho ricoperto la terra. Io ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. Ho percorso da sola il giro del cielo, ho passeggiato nelle profondità degli abissi. Sulle onde del mare e su tutta la terra, su ogni popolo e nazione ho preso dominio. Fra tutti questi ho cercato un luogo di riposo, qualcuno nel cui territorio potessi risiedere. Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità. Sono cresciuta come un cedro sul Libano, come un cipresso sui monti dell’Ermon. Sono cresciuta come una palma in Engàddi e come le piante di rose in Gerico, come un ulivo maestoso nella pianura e come un platano mi sono elevata. Come cinnamòmo e balsamo di aromi, come mirra scelta ho sparso profumo, come gàlbano, ònice e storace, come nuvola d’incenso nella tenda. Come un terebinto io ho esteso i miei rami e i miei rami sono piacevoli e belli. Io come vite ho prodotto splendidi germogli e i miei fiori danno frutti di gloria e ricchezza. Io sono la madre del bell'amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; eterna, sono donata a tutti i miei figli, a coloro che sono scelti da lui. Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti, perché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi vale più del favo di miele. Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete. Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà» (Sir 24,1-22). 

Il Vangelo dell’Apostolo Giovanni è l’ultimo scritto del Nuovo Testamento. Nel suo Prologo è data verità piena, anzi pienissima, perfettissima, immutabile alla persona e alla missione di Gesù Signore. Dopo che Giovanni ha parlato, ha scritto, ogni controversia scompare, non ha diritto di esistere. Le sue parole sono inequivocabili. 

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. 

Chiarezza più grande di questa non esiste. Ora la si deve comprendere e vivere.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, conduceteci in questa pienezza.

Costantino Di Bruno

LECTIO DIVINA 31 DICEMBRE 2013


Lectio: 
 Martedì, 31 Dicembre, 2013  
Tempo di Natale
1) Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, che nella nascita del tuo Figlio hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede, accogli anche noi come membra del Cristo, che compendia in sé la salvezza del mondo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,1-18
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità, Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
3) Riflessione
• Il Prologo è la prima cosa che si vede aprendo il vangelo di Giovanni. Ma fu anche l’ultima ad essere scritta. E’ il riassunto finale, posto all’inizio. In esso, Giovanni descrive il cammino della Parola di Dio. Era accanto a Dio, da prima della creazione, e per mezzo di lei tutto fu creato. Tutto ciò che esiste è espressione della Parola di Dio. Come avviene con la Sapienza di Dio, (Pr 8,22-31), così anche la Parola volle giungere più vicino a noi e si fece carne in Gesù. Venne in mezzo a noi, svolse la sua missione e ritornò a Dio. Gesù è questa Parola di Dio. Tutto ciò che dice e fa è comunicazione che ci rivela il Padre.
• Nel dire "In principio era il Verbo", Giovanni evoca la prima frase della Bibbia che dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gen 1,1). Dio creò tutto per mezzo della sua Parola. "Parla e tutto è fatto" (Sal 33,9; 148,5). Tutte le creature sono un’espressione della Parola di Dio. Questa Parola viva di Dio, presente in tutte le cose, brilla nelle tenebre. Le tenebre cercano di spegnerla, ma non ci riescono. La ricerca di Dio, sempre nuova, rinasce nel cuore umano. Nessuno riesce a coprirla. Non riusciamo per molto tempo a vivere senza Dio!
• Giovanni Battista venne per aiutare la gente a scoprire e gustare questa presenza luminosa e consolatrice della Parola di Dio nella vita. La testimonianza di Giovanni Battista è stata molto importante, così tanto che molta gente pensava che era lui il Cristo (Messia) (Atti 19,3; Gv 1,20). Per questo, il Prologo chiarisce dicendo: "Giovanni non era la luce! Venne per dare testimonianza alla luce!"
• Così come la Parola di Dio si manifesta nella natura, nella creazione, così pure si manifesta nel “mondo”, cioè nella storia dell’umanità, in particolare, nella storia del popolo di Dio. Ma il “mondo” non riconobbe, né ricevette la Parola. "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. Qui, quando dice gente, Giovanni vuole indicare il sistema sia dell’impero che della religione dell’epoca, ambedue rinchiusi in se stessi e, per questo, incapaci di riconoscere la Buona Notizia (Vangelo), la presenza luminosa della Parola di Dio.
• Ma le persone che si aprono accettando la Parola, diventano figli e figlie di Dio. La persona diventa figlio e figlia di Dio non per i propri meriti, né per appartenere alla razza di Israele, ma per il semplice fatto di aver fiducia e credere che Dio nella sua bontà, ci accetta e ci accoglie. La Parola di Dio entra nella persona e fa che questa si senta accolta come un figlio, come una figlia da Dio. E’ il potere della grazia di Dio.
• Dio non vuole rimanere lontano da noi. Per questo, la sua Parola, giunse ancora più vicino e si fece presente in mezzo a noi nella persona di Gesù. Il Prologo dice letteralmente: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Anticamente, nel tempo dell’esodo, nel deserto Dio viveva in una tenda in mezzo al popolo (Es 25,8). Ora la tenda in cui Dio abita con noi è Gesù, “pieno di grazia e di verità". Gesù venne a rivelare chi è questo nostro Dio, presente in tutto, fin dall’inizio della creazione.
4) Per un confronto personale
• Tutto ciò che esiste è un’espressione della Parola di Dio, una rivelazione della sua presenza. Sono sufficientemente contemplativo per poter ricevere e sperimentare questa presenza universale della Parola di Dio?
• Cosa significa per me essere chiamato figlio di Dio?
5) Preghiera finale
Esultino davanti al Signore che viene,
perché viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e con verità tutte le genti. (Sal 95)

lunedì 30 dicembre 2013

Da S. Teresina


Voglio, o mio Gesù, rinnovare ad ogni battito del mio cuore l’offerta di me stessa, infinte volte

Pensiero del giorno 30 dic.2013


Evangelii Gaudium mp3
Nell'Adorazione del Santissimo Sacramento, Maria ci dice: “Guarda al mio Figlio Gesù, tieni lo sguardo fisso su di Lui, ascoltalo, parla con Lui. Lui ti guarda con amore. Non avere paura! Lui ti insegnerà a seguirlo per testimoniarlo nelle grandi e piccole azioni della tua vita, nei rapporti di famiglia, nel tuo lavoro, nei momenti di festa; ti insegnerà ad uscire da te stesso, da te stessa, per guardare agli altri con amore, come Lui che non a parole, ma con i fatti, ti ha amato e ti ama!”.

Papa Francesco - Messaggio 12 ottobre 2013

Meditazione del giorno:Lunedì 30 dicembre 2013

 A quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme
30 DICEMBRE (Lc 2,36-40)


Narrare le opere di Dio. È questa la vera via dell’evangelizzazione, dell’annunzio. 

Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode. Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere! Per la grandezza della tua potenza ti lusingano i tuoi nemici. A te si prostri tutta la terra, a te canti inni, canti al tuo nome». Venite e vedete le opere di Dio, terribile nel suo agire sugli uomini. Egli cambiò il mare in terraferma; passarono a piedi il fiume: per questo in lui esultiamo di gioia. Con la sua forza domina in eterno, il suo occhio scruta le genti; contro di lui non si sollevino i ribelli. Popoli, benedite il nostro Dio, fate risuonare la voce della sua lode; è lui che ci mantiene fra i viventi e non ha lasciato vacillare i nostri piedi. O Dio, tu ci hai messi alla prova; ci hai purificati come si purifica l’argento. Ci hai fatto cadere in un agguato, hai stretto i nostri fianchi in una morsa. Hai fatto cavalcare uomini sopra le nostre teste; siamo passati per il fuoco e per l’acqua, poi ci hai fatto uscire verso l’abbondanza. Entrerò nella tua casa con olocausti, a te scioglierò i miei voti, pronunciati dalle mie labbra, promessi dalla mia bocca nel momento dell’angoscia. Ti offrirò grassi animali in olocausto con il fumo odoroso di arieti, ti immolerò tori e capri. Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, e narrerò quanto per me ha fatto. A lui gridai con la mia bocca, lo esaltai con la mia lingua. Se nel mio cuore avessi cercato il male, il Signore non mi avrebbe ascoltato. Ma Dio ha ascoltato, si è fatto attento alla voce della mia preghiera. Sia benedetto Dio, che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la sua misericordia (Sal 66 (65),1-20). 

Raccontare quanto Dio ha fatto per noi, fa nascere la fede nei cuori. Non si tratta però di narrare ciò che Dio ha fatto ad altri, bensì ciò che Lui ha fatto a noi. 

Ietro, sacerdote di Madian, suocero di Mosè, venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele, suo popolo, cioè come il Signore aveva fatto uscire Israele dall’Egitto. Allora Ietro prese con sé Sipporà, moglie di Mosè, che prima egli aveva rimandata, con i due figli di lei, uno dei quali si chiamava Ghersom, perché egli aveva detto: «Sono un emigrato in terra straniera», e l’altro si chiamava Elièzer, perché: «Il Dio di mio padre è venuto in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone». Ietro dunque, suocero di Mosè, con i figli e la moglie di lui, venne da Mosè nel deserto, dove era accampato, presso la montagna di Dio. Egli fece dire a Mosè: «Sono io, Ietro, tuo suocero, che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli!». Mosè andò incontro al suocero, si prostrò davanti a lui e lo baciò; poi si informarono l’uno della salute dell’altro ed entrarono sotto la tenda. Mosè raccontò al suocero quanto il Signore aveva fatto al faraone e agli Egiziani a motivo di Israele, tutte le difficoltà incontrate durante il viaggio, dalle quali il Signore li aveva liberati. Ietro si rallegrò di tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele, quando lo aveva liberato dalla mano degli Egiziani. Disse Ietro: «Benedetto il Signore, che vi ha liberato dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha liberato questo popolo dalla mano dell’Egitto! Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dèi: ha rivolto contro di loro quello che tramavano». Ietro, suocero di Mosè, offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani d’Israele, per partecipare al banchetto con il suocero di Mosè davanti a Dio (Es 18,1-12). 

Noi abbiamo razionalizzato Dio, lo abbiamo rinchiuso in delle stupende summe teologiche, in degli altissimi, complicati sistemi di pensiero. Gesù raccontava le opere del Padre, compiendole. Mio padre fa queste cose e lui le faceva. Anna, la profetessa racconta, parla del vero Dio, annunzia gli ultimi grandi eventi della salvezza. Parla della redenzione che si sta compiendo sotto i loro occhi. Parla del Dio presente nella vita, oggi, in questo tempo. Essa vede in quel Bambino il compimento delle divine promesse. O si parla del Dio presente ed operante, o la nostra parola non serve. 

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Anna oggi ci insegna come si compie l’evangelizzazione: parlando, narrando, raccontando, discorrendo del suo Dio che è in mezzo a noi per la nostra salvezza.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci a parlare di Dio
Costantino Di Bruno

Lectio Divina Martedì, 31 Dicembre, 2013


Lectio: 
 Martedì, 31 Dicembre, 2013  
Tempo di Natale
1) Preghiera
Dio onnipotente ed eterno, che nella nascita del tuo Figlio hai stabilito l’inizio e la pienezza della vera fede, accogli anche noi come membra del Cristo, che compendia in sé la salvezza del mondo. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Giovanni 1,1-18
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità, Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.
3) Riflessione
• Il Prologo è la prima cosa che si vede aprendo il vangelo di Giovanni. Ma fu anche l’ultima ad essere scritta. E’ il riassunto finale, posto all’inizio. In esso, Giovanni descrive il cammino della Parola di Dio. Era accanto a Dio, da prima della creazione, e per mezzo di lei tutto fu creato. Tutto ciò che esiste è espressione della Parola di Dio. Come avviene con la Sapienza di Dio, (Pr 8,22-31), così anche la Parola volle giungere più vicino a noi e si fece carne in Gesù. Venne in mezzo a noi, svolse la sua missione e ritornò a Dio. Gesù è questa Parola di Dio. Tutto ciò che dice e fa è comunicazione che ci rivela il Padre.
• Nel dire "In principio era il Verbo", Giovanni evoca la prima frase della Bibbia che dice: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gen 1,1). Dio creò tutto per mezzo della sua Parola. "Parla e tutto è fatto" (Sal 33,9; 148,5). Tutte le creature sono un’espressione della Parola di Dio. Questa Parola viva di Dio, presente in tutte le cose, brilla nelle tenebre. Le tenebre cercano di spegnerla, ma non ci riescono. La ricerca di Dio, sempre nuova, rinasce nel cuore umano. Nessuno riesce a coprirla. Non riusciamo per molto tempo a vivere senza Dio!
• Giovanni Battista venne per aiutare la gente a scoprire e gustare questa presenza luminosa e consolatrice della Parola di Dio nella vita. La testimonianza di Giovanni Battista è stata molto importante, così tanto che molta gente pensava che era lui il Cristo (Messia) (Atti 19,3; Gv 1,20). Per questo, il Prologo chiarisce dicendo: "Giovanni non era la luce! Venne per dare testimonianza alla luce!"
• Così come la Parola di Dio si manifesta nella natura, nella creazione, così pure si manifesta nel “mondo”, cioè nella storia dell’umanità, in particolare, nella storia del popolo di Dio. Ma il “mondo” non riconobbe, né ricevette la Parola. "Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. Qui, quando dice gente, Giovanni vuole indicare il sistema sia dell’impero che della religione dell’epoca, ambedue rinchiusi in se stessi e, per questo, incapaci di riconoscere la Buona Notizia (Vangelo), la presenza luminosa della Parola di Dio.
• Ma le persone che si aprono accettando la Parola, diventano figli e figlie di Dio. La persona diventa figlio e figlia di Dio non per i propri meriti, né per appartenere alla razza di Israele, ma per il semplice fatto di aver fiducia e credere che Dio nella sua bontà, ci accetta e ci accoglie. La Parola di Dio entra nella persona e fa che questa si senta accolta come un figlio, come una figlia da Dio. E’ il potere della grazia di Dio.
• Dio non vuole rimanere lontano da noi. Per questo, la sua Parola, giunse ancora più vicino e si fece presente in mezzo a noi nella persona di Gesù. Il Prologo dice letteralmente: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". Anticamente, nel tempo dell’esodo, nel deserto Dio viveva in una tenda in mezzo al popolo (Es 25,8). Ora la tenda in cui Dio abita con noi è Gesù, “pieno di grazia e di verità". Gesù venne a rivelare chi è questo nostro Dio, presente in tutto, fin dall’inizio della creazione.
4) Per un confronto personale
• Tutto ciò che esiste è un’espressione della Parola di Dio, una rivelazione della sua presenza. Sono sufficientemente contemplativo per poter ricevere e sperimentare questa presenza universale della Parola di Dio?
• Cosa significa per me essere chiamato figlio di Dio?
5) Preghiera finale
Esultino davanti al Signore che viene,
perché viene a giudicare la terra.
Giudicherà il mondo con giustizia
e con verità tutte le genti. (Sal 95)

domenica 29 dicembre 2013

DA SANTA TERESINA

     Da S.Teresina

A lei, Madre mia cara [Madre Agnese di Gesù, sua sorella Pauline], a lei che mi è due volte madre confido la storia dell'anima mia

PENSIERO DEL GIORNO

Papa Francesco
Cari Fratelli, sentiamoci tutti uniti in questo ultimo tratto di strada verso Betlemme. Ci può far bene meditare sul ruolo di san Giuseppe, così silenzioso e così necessario accanto alla Madonna. Pensiamo a lui, alla sua premura per la sua Sposa e per il Bambino. Questo ci dice tanto sul nostro servizio alla Chiesa! Allora viviamo questo Natale spiritualmente vicini a san Giuseppe. Ci farà bene a tutti questo!


Papa Francesco - 21 dicembre 2013

MEDITAZIONE SACRA FAMIGLIA

Alzati, prendi con te il bambino e sua madre
29 DICEMBRE (Mt 2,13-15.19-23)



Il Padre celeste vigila, non dorme, pone grande attenzione per custodire e salvare la vita fisica del suo Figlio Unigenito. Giuseppe dorme. Dio non dorme, non si addormenta. Non prende sonno. Il suo Unigenito Incarnato è in pericolo. Urge intervenire. Occorre porlo in salvo. Lo si deve liberare dalle mani di Erode.

Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra. Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormenterà il tuo custode. Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode d’Israele. Il Signore è il tuo custode, il Signore è la tua ombra e sta alla tua destra. Di giorno non ti colpirà il sole, né la luna di notte. Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita. Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre (Sal 121 (120), 1-8). 

Quando una persona serve a Dio per compiere l’opera della salvezza, sempre Lui manda il suo Angelo dal cielo per la sua liberazione. Anche con Pietro Dio interviene.

In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere. Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione. Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui. Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva» (At 12,1-11). 

Gesù è ancora in fasce. Non può salvarsi da solo. Ha bisogno che lo salvi Giuseppe. L’Angelo del Signore sveglia Giuseppe e gli ordina cosa fare all’istante, subito per la salvezza di Gesù e di sua Madre. La salvezza in questo caso passa per l’obbedienza dell’uomo alla voce del suo Dio e Signore, che sempre gli viene manifestata, rivelata. 

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Oggi Cristo Gesù deve essere salvato dalla mano spietata e crudele dell’idolatria che sta uccidendo il suo corpo. Sta distruggendo quasi tutti i figli della Chiesa. Senza figli, la Chiesa è senza futuro. Vive nella carestia spirituale tutto il suo presente. La salvezza dei figli della Chiesa, del corpo della Chiesa, viene dall’obbedienza di altri figli della stessa Chiesa. Viene dall’obbedienza al Vangelo di tutti coloro che ancora dicono di credere e fanno professione di missione evangelizzatrice. Se quanti dicono di credere non si radicano in una forte obbedienza al Vangelo, la loro opera è vana. Senza fede nel Vangelo si è idolatri e l’idolatra uccide il corpo della Chiesa, non lo vivifica.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera obbedienza.
Costantino Di Bruno

LECTIO DIVINA: SACRA FAMIGLIA


Lectio: 
 Domenica, 29 Dicembre, 2013  
La fuga nell'Egitto e il ritorno a NazaretMatteo 2,13-23
1. LECTIO
a) Orazione iniziale:
O Dio, nostro Creatore e Padre, tu hai voluto che il tuo Figlio, generato prima dell’aurora del mondo, divenisse in tutto simile a noi incarnandosi nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. Manda su di noi il medesimo Spirito vivificatore, perché possiamo diventare sempre più docili alla sua azione santificatrice, docilmente lasciandoci trasformare dallo stesso Spirito nell’immagine e somiglianza di Gesù Cristo tuo Figlio, nostro fratello, salvatore e redentore.
b) Lettura dal Vangelo di Matteo:
Matteo 2, 13-2313 I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». 14 Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15 dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio. 16 Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. 17 Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: 18 Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più. 19 Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20 e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». 21 Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. 22 Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea 23 e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
c) Momenti di silenzio:
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita. 

2. MEDITATIO
a) Chiave di lettura:
Il vangelo di Matteo è stato chiamato «il vangelo del Regno». Matteo ci invita a riflettere sulla venuta del regno dei cieli. Nella struttura del suo racconto evangelico alcuni hanno visto un dramma a sette atti che trattano la realtà della venuta di questo Regno. Il dramma comincia con la preparazione a questa venuta del Regno nella persona del Messia fanciullo e termina con la venuta del Regno nella sofferenza e nel trionfo con la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.
Il brano del vangelo proposto per la nostra riflessione, fa parte per cosi dire del primo atto nel quale Matteo ci presenta la persona di Gesù come il compimento delle Scritture. Matteo è il vangelo che molte volte cita l’antico testamento per dimostrare che in Cristo si adempiono la legge e i profeti. Gesù, la realizzazione e la perfezione delle Scritture, è venuto al mondo per ristabilire il regno dei cieli, già annunziato nell’alleanza di Dio con il suo popolo. Con la venuta di Cristo, questa alleanza non si limita al solo popolo ebraico ma si estende a tutti i popoli. Matteo indirizza una comunità di ebrei cristiani, perseguitata dalla sinagoga, e la invita all’apertura verso i gentili. Egli è lo scriba saggio che sa trarre dal suo tesoro quello che è antico e quello che è nuovo. Il vangelo è stato prima scritto in aramaico e poi redatto in greco.
Il brano Matteo 2, 13-23, fa parte della sezione che tratta la nascita e l’infanzia di «Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1). Gesù è figlio del suo popolo, ma è anche figlio dell’umanità tutta. Nella sua genealogia si trovano influenze straniere (Mt 1, 3-6). I primi chiamati a dare omaggio al Messia neonato, oltre che a Maria sua madre (Mt 2, 11), sono i Magi. Il Messia attira i sapienti con la sua luce offrendo loro la salvezza (Mt 2, 1-12). I Magi ricevono questa salvezza a contrasto con Erode e la Gerusalemme turbata (Mt 2, 3). Dalla sua nascita Gesù è perseguitato dai capi del suo popolo e nello stesso tempo rivive le esperienze dolorose del suo popolo.
Già dalla sua nascita Gesù rivive l’esperienza dolorosa del suo popolo esiliato e umiliato più di una volta. Il vangelo ci dimostra questo col racconto della fuga in Egitto e la strage degli innocenti. Il dramma di questi eventi si svolge davanti a noi in questi particolari:
i) L’angelo che appare nel sogno a Giuseppe dopo la partenza dei Magi, e la fuga in Egitto (Mt 2, 13-15).
ii) Erode che se ne accorge della beffa dei Magi e uccide tutti i bambini di Betlemme. (Mt 2, 16- 18)
iii) La morte di Erode e il ritorno “clandestino” della Santa Famiglia non a Betlemme ma in Galilea (Mt 2, 19-23).
Il tema dei re che uccidono i temuti avversari è comune nella storia di ogni dinastia regale. Nella letteratura biblica oltre a questa scena di Erode che cerca il bambino Gesù per ucciderlo, troviamo nell’Antico Testamento alcuni racconti simili. Nel primo libro di Samuele, Saul respinto dal Signore, aveva timore di Davide e cerava di ucciderlo (1 Sam 15; 18; 19; 20). Mikal e Gionatà lo aiutano a fuggire (1 Sam 19; 20). Inoltre nel primo libro dei Re, il re Salomone nella sua vecchiaia, infedele al Dio dei suoi padri, col cuore pervertito commette quello che è male agli occhi del Signore (1 Re 11, 3-13). Per questo il Signore suscita contro Salomone un avversario (1 Re 11, 14), Hadàd che durante il regno di Davide fugge e si rifugia in Egitto (1 Re 11, 17). Un’ altro avversario di Salomone è Geroboamo che si rifugia in Egitto per fuggire al re che lo voleva uccidere (1 Re 11, 40). Era questo il periodo della degenerazione del regno. Nel secondo libro dei Re questa volta nel contesto dell’assedio di Gerusalemme, avvenuto «nell’anno nono del suo [di Nebucadnessar] regno, nel decimo mese, il dieci del mese» (2 Re 25, 1) dell’anno 589, troviamo il saccheggio di Gerusalemme e la seconda deportazione del popolo avvenuta nell’anno 587 (2 Re 25, 8-21). Il popolo che «restava nel paese di Giuda» (2 Re 25, 22) si sottomise al Godolia posto da Nebucadnessar come governatore. «Ismaele […] con dieci uomini […] colpirono a morte Godolia, i Giudei e i Caldei che erano con lui». Poi per paura dei Caldei, fuggirono in Egitto (2 Re 25-26). Nel libro del profeta Geremia troviamo anche il racconto di Uria «un altro uomo che profetizzava nel nome del Signore» (Ger 26, 20). Questo fugge in Egitto perché il re Ioiakìm cercava di ucciderlo. Il re riuscì a trovarlo in Egitto e lo uccise (Ger 25, 20-24).
Con queste vicende sottostanti la fuga della Santa Famiglia in Egitto, Matteo ci fa vedere Gesù che già da bambino, partecipa alla sorte del suo popolo. L’Egitto diventa per Gesù il rifugio, come lo fu per i patriarchi:
- Abramo che «scese in Egitto per soggiornarvi, perché la carestia gravava sul paese» (Gen 12, 1).
- Giuseppe minacciato dai fratelli che cercavano di ucciderlo per invidia e poi venduto ai mercanti che lo condussero in Egitto consegnandolo a Potifar (Gen 37, 12-36).
- Israele (Giacobbe) che parte per l’Egitto convocato da suo figlio Giuseppe (Gen 46, 1-7).
- La famiglia di Israele (Giacobbe) che entrarono in Egitto e si stabilirono li (Gen 46–50; Es 1, 1-6).
Matteo capovolge il senso della citazione presa da Osea 11, 1: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio» e la interpreta come se Dio chiama suo figlio Gesù a fuggire in Egitto (Mt 2, 15). Il senso originale di Osea era, che il Signore chiamò suo figlio Israele a uscire dall’Egitto per essere costituito un popolo. La fuga in Egitto di Gesù e lo sterminio degli innocenti di Betlemme, ci ricorda l’oppressione di Israele nel paese d’Egitto e lo sterminio dei neonati maschi (Es 1, 8- 22).
La profezia applicata per la strage degli innocenti è presa dal libro della consolazione composto dai capitoli 30 e 31 del libro del profeta Geremia. Il lamento è legato alla promessa del Signore che consola Rachele sposa di Giacobbe (Israele), madre di Giuseppe sepolta secondo la tradizione vicino a Betlemme, e le promette che ci sarà un compenso per le sue pene, i suoi figli che non sono più ritorneranno (Ger 31, 15–18).
Ritornando dall’Egitto dopo la morte di Erode, Giuseppe decide di stabilirsi nella Galilea in una città chiamata Nàzaret. Gesù sarà chiamato Nazareno. Più tardi anche i suoi discepoli saranno riconosciuti come Nazorei (Atti 24, 5). Questo appellativo oltre a indicare il nome di una città, può anche riferirsi al «virgulto» e cioè al «neçer» di Isaia 11, 1. Oppure fa riferimento al resto di Israele «naçur» (vedi Is 42, 6).
b) Domande per la riflessione personale:
i) Che cosa ti colpisce di più in questo racconto di Matteo?
ii) Che cosa significa per te il regno dei cieli?
iii) In che cosa si differenzia il regno di cieli con i regni di questo mondo?
iv) Matteo ci introduce alla persona di Gesù come colui che si immedesima nella sorte del suo popolo. Leggi i brani citati nella chiave di lettura per riflettere e pregare sugli eventi del popolo di Dio, alle quali Gesù si è immedesimato. Quali sono le situazioni simili nel nostro mondo? Chiediti che cosa puoi fare tu, per migliorare l’ambiente in cui vivi e lavori…soprattutto se contrastano con il regno dei cieli. 

3. ORATIO
a) Preghiera personale in silenzio.
b) Concludi la lectio divina con questa preghiera:
Padre misericordioso donaci di seguire gli esempi della santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, perché restiamo sempre saldi nelle prove della vita fino al giorno in cui ci associamo alla gloria del cielo. Per Cristo nostro Signore. 

4. CONTEMPLATIO
La pace di Cristo regni nei vostri cuori. (Col 3, 15)

sabato 28 dicembre 2013

S. Teresa del B. G.


Sono come un bimbo alla stazione che aspetta babbo e mamma i quali lo mettano in treno. Ahimè! Non vengono, e il treno parte! Ma ce ne sono altri, di treni, e tutti non li perderò. 

venerdì 27 dicembre 2013

PENSIERO DEL GIORNO


Dio dona forza alla nostra debolezza, ricchezza alla nostra povertà, conversione e perdono al nostro peccato. E’ tanto misericordioso il Signore: sempre, se andiamo da Lui, ci perdona. Abbiamo fiducia nell’azione di Dio! Con Lui possiamo fare cose grandi; 

Papa Francesco - Omelia 28 aprile 2013

MEDITAZIONE 28 DICEMBRE 2013



Rachele piange i suoi figli 
28 DICEMBRE (Mt 2,13-18)

La crudeltà dell’uomo è frutto della sua stoltezza. La stoltezza è il frutto dell’idolatria. L’idolatria è il frutto dell’abbandono del vero Dio e Signore. I mali che l’idolatria produce sono innumerevoli, infiniti, di gravità anche inaudite. L’idolatria giunge anche a superare gli stessi limiti del male. Giunge a distruggere la stessa natura umana.

Inoltre non fu loro sufficiente errare nella conoscenza di Dio, ma, vivendo nella grande guerra dell’ignoranza, a mali tanto grandi danno il nome di pace. Celebrando riti di iniziazione infanticidi o misteri occulti o banchetti orgiastici secondo strane usanze, non conservano puri né la vita né il matrimonio, ma uno uccide l’altro a tradimento o l’affligge con l’adulterio. Tutto vi è mescolato: sangue e omicidio, furto e inganno, corruzione, slealtà, tumulto, spergiuro, sconcerto dei buoni, dimenticanza dei favori, corruzione di anime, perversione sessuale, disordini nei matrimoni, adulterio e impudicizia. L’adorazione di idoli innominabili è principio, causa e culmine di ogni male. Infatti coloro che sono idolatri vanno fuori di sé nelle orge o profetizzano cose false o vivono da iniqui o spergiurano con facilità. Ponendo fiducia in idoli inanimati, non si aspettano un castigo per aver giurato il falso. Ma, per l’uno e per l’altro motivo, li raggiungerà la giustizia, perché concepirono un’idea falsa di Dio, rivolgendosi agli idoli, perché spergiurarono con frode, disprezzando la santità. Infatti non la potenza di coloro per i quali si giura, ma la giustizia che punisce i peccatori persegue sempre la trasgressione degli ingiusti (Sap 14,22-31).

Ieri l’idolatria di Erode ha fatto piangere tutta Betlemme, a causa dell’uccisione di tutti i loro bambini dai due anni in giù. Oggi l’idolatria sta uccidendo il nostro mondo. Come se ciò non bastasse, sta uccidendo la stessa natura umana, in quanto la sta distruggendo nella sua basilare, fondamentale distinzione di uomo, donna. In più, poiché l’idolatria è il frutto della stoltezza dell’uomo, l’uomo stolto e idolatra pensa che si possono fermare i frutti di morte della sua idolatria, con legge e con decreti. Per legge e per decreto non si può dire ad un serpente velenoso di non mordere più. Per legge e per decreto non si può proibire ad un idolatra di non uccidere, non distruggere, non annientare. L’idolatra produrrà sempre veleno di morte. Nessuna legge umana glielo potrà mai vietare. È la sua natura che lo produce, non la sua volontà. La sua natura ormai si è pervertita e non può che agire da idolatra, da stolto, da insipiente. 

Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più. 

Erode è l’attestazione storica, palese, evidente della crudeltà di colui che diviene stolto ed insipiente. Il suo unico frutto è l’idolatria. L’idolatria produce sempre frutti di morte, prima spirituale e poi anche fisica. Oggi l’idolatria è legge della nostra società. Dio è dichiarato inutile, vano. Qual è il frutto di una tale dichiarazione? L’uomo è divenuto lui stesso vanità, futilità, inutilità. La sua vita è dichiarata inutile da tutti coloro che si lasciano conquistare dalla stoltezza che necessariamente sfocerà nell’idolatria. Se la nostra società vuole ritrovare il senso della vita, deve necessariamente ritornare alle sorgenti della vera sapienza che è la Parola di Dio. Deve ritornare alle sorgenti della grazia che sono i sacramenti. Vangelo e grazia, Parola e vita, ricompongono l’uomo e l’uomo ricomposto diviene all’istante il coltivatore della vera vita. È nella vita e produce, genera sempre vita. L’idolatra è nella morte e altro non può generare e produrre se non morte. Questa verità va gridata oggi con forza. O l’uomo ritorna alle sorgenti della vera vita e della vera sapienza, oppure il suo futuro sarà sempre più triste. Sarà un futuro amaro, molto triste e molto amaro, a motivo dell’idolatria che aumenta ogni giorno.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri adoratori di Dio.
Costantino Bruno

LECTIO DIVINA SABATO 28 DICEMBRE 2013


Lectio: 
 Sabato, 28 Dicembre, 2013  
Tempo di Natale
1) Preghiera
Signore nostro Dio, che oggi nei santi Innocenti sei stato glorificato non a parole, ma col sangue, concedi anche a noi di esprimere nella vita la fede che professiamo con le labbra.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Matteo 2,13-18
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo”.
Giuseppe destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato il mio figlio”.
Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s’infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi.
Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: “Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”.
3) Riflessione
• Il Vangelo di Matteo, redatto attorno agli anni 80 e 90, si preoccupa di mostrare che in Gesù si compiono le profezie. Molte volte viene detto: “Tutto ciò avvenne affinché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore....” (cf. Mt 1,22; 2,17.23; 4,14; 5,17; ecc.). Questo perché i destinatari del Vangelo di Matteo sono le comunità dei giudei convertiti che vivevano una profonda crisi di fede e di identità. Dopo la distruzione di Gerusalemme nell’anno 70, i farisei erano l’unico gruppo del giudaismo sopravissuto. Negli anni 80, quando cominciarono a riorganizzarsi, crebbe l’opposizione tra giudei farisei e giudei cristiani. Questi finirono per essere scomunicati dalla sinagoga e separati dal popolo delle promesse. La scomunica rese ancora più acuto il problema dell’identità. Non potevano più frequentare le loro sinagoghe. E furono assaliti dal dubbio: Sarà che ci sismo sbagliati? Chi è il vero popolo di Dio? Gesù è veramente il Messia?
• E’ per questo gruppo sofferto che Matteo scrive il suo vangelo, come Vangelo diconsolazione per aiutarli a superare il trauma della rottura, come Vangelo dirivelazione per mostrare che Gesù è il vero Messia, il nuovo Mosè in cui si compiono le promesse, come Vangelo della nuova pratica per insegnare il cammino di come raggiungere la nuova giustizia, più grande della giustizia dei farisei (Mt 5,20).
• Nel vangelo di oggi appare questa preoccupazione di Matteo. Lui consola le comunità perseguitate mostrando che anche Gesù fu perseguitato. Rivela che Gesù è il Messia, infatti per ben due volte insiste nel dire che le profezie si compieranno in lui; e suggerisce inoltre che Gesù è il nuovo Messia, poiché, come Mosè, anche lui è perseguitato e deve fuggire. Indica un nuovo cammino, suggerendo che devono fare come i magi che seppero evitare la vigilanza di Erode e ritornarono alla loro dimora, prendendo un altro cammino.
4) Per un confronto personale
• Erode dette l’ordine di uccidere i bambini di Betlemme. L’Erode di oggi continua ad uccidere milioni di bambini. Muoiono di fame, di denutrizione, di malattia, a causa dell’aborto. Oggi chi è Erode?
• Matteo aiuta a superare la crisi di fede e di identità. Oggi, molti vivono una crisi profonda di fede e di identità. Il Vangelo, come può aiutare a superare questa crisi di fede?
5) Preghiera finale
Il nostro aiuto è nel nome del Signore
che ha fatto cielo e terra. (Sal 123)

Da S. Teresina

    Da S. Teresina

Il Verbo, parola del Padre, si è esiliato per te quaggiù.

PENSIERO DEL GIORNO

Pensiero del giorno
Papa Francesco
Un secondo significato: la Chiesa è cattolica perché è universale, è sparsa in ogni parte del mondo e annuncia il Vangelo ad ogni uomo e ad ogni donna. La Chiesa non è un gruppo di élite, non riguarda solo alcuni. La Chiesa non ha chiusure, è inviata alla totalità delle persone, alla totalità del genere umano. E l’unica Chiesa è presente anche nelle più piccole parti di essa. Ognuno può dire: nella mia parrocchia è presente la Chiesa cattolica, perché anch’essa è parte della Chiesa universale, anch’essa ha la pienezza dei doni di Cristo, la fede,
Papa Francesco - Udienza generale 9 ottobre 2013

MEDITAZIONE DEL GIORNO 27 DICEMBRE 2013

 Ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro
27 DICEMBRE (Gv 20,2-8)


Corsa singola e comunione ecclesiale devono necessariamente incontrarsi, sostare insieme, insieme riflettere, giungere alla sola unica vera fede. Ad ognuno è consentito di fare la sua corsa. È consentito anche di partire insieme, ma nel tragitto di superare l’altro. Vitale però è fermarsi poi, perché l’altro è necessario alla verità della nostra fede. San Paolo è un esperto corridore. Ma sempre lui si ferma per fare il punto assieme agli altri. Fermarsi è esigenza di verità, comunione, crescita come solo corpo.

Non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato (1Cor 9,24-27). 

Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede: perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo ancora di averla conquistata. So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo (Fil 3,7-16). Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione (2Tm 4,6-8). 

Oggi Pietro e Giovanni corrono verso il sepolcro. Giovanni corre più veloce. Giunge per primo, si ferma, osserva, ma non entra. La testimonianza della verità storica ha bisogno anche di Pietro. Questi giunge. Entra. Vede. Osserva ogni cosa. Esce senza dire alcuna parola. Giovanni invece professa la sua fede: “Vide e credette”. Poi nuovamente insieme vanno via. Gesù deve essere cercato altrove. È risorto, ma non è nel sepolcro. Altrove lo si deve cercare. È questa la sua volontà, il suo desiderio.

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 

Oggi l’Apostolo Giovanni ci insegna la grande verità della comunione nella testimonianza della verità di Cristo Gesù. Nessuno da solo rende testimonianza perfetta a Gesù Signore. La Chiesa è fatta di una infinità di persone. Ognuno deve dare all’altro ciò che possiede. Deve ricevere dall’altro ciò che gli manca. Papa, Vescovo, Sacerdote, Diacono, Religioso, Fedele Laico, testimoniano la vera fede in Cristo Gesù solo se sono in perenne comunione. Non solo discendente, dall’alto verso il basso, ma anche ascendente, dal basso verso l’alto. È regola divina.

Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la vera comunione.

Costantino Di Bruno

LECTIO DIVINA: GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA


Lectio: 
 Venerdì, 27 Dicembre, 2013  
Tempo di Natale
1) Preghiera
O Dio, che per mezzo dell’apostolo Giovanni ci hai rivelato le misteriose profondità del tuo Verbo: donaci l’intelligenza penetrante della Parola di vita, che egli ha fatto risuonare nella tua Chiesa. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
2) Lettura
Dal Vangelo secondo Giovanni 20,2-8
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
3) Riflessione
• Il vangelo di oggi ci presenta il brano del Vangelo di Giovanni che parla del Discepolo Amato. Probabilmente, è stato scelto questo testo da leggere e meditare oggi, festa di San Giovanni Evangelista, per l’identificazione spontanea che tutti facciamo del discepolo amato con l’apostolo Giovanni. Ma la cosa strana è che in nessun brano del vangelo di Giovanni viene detto che il discepolo amato è Giovanni. Orbene, fin dai più remoti tempi della Chiesa, si è insistito sempre nell’identificazione dei due. Per questo, nell’insistere sulla somiglianza tra i due, corriamo il rischio di perdere un aspetto molto importante del messaggio del Vangelo riguardo al discepolo amato.
• Nel Vangelo di Giovanni, il discepolo amato rappresenta la nuova comunità che nasce attorno a Gesù. Il Discepolo Amato si trova ai piedi della Croce, insieme a Maria, la madre di Gesù (Gv 19,26). Maria rappresenta il Popolo dell’antica alleanza. Alla fine del primo secolo, epoca in cui venne compilata la redazione finale del Vangelo di Giovanni, c’era un conflitto crescente tra la sinagoga e la chiesa. Alcuni cristiani volevano abbandonare l’Antico Testamento e rimanere solo con il Nuovo Testamento. Ai piedi della Croce, Gesù dice: “Donna, ecco tuo figlio!” ed al discepolo amato: “Figlio, ecco tua madre!” Ed i due devono rimanere uniti come madre e figlio. Separare l’Antico Testamento dal Nuovo, in quel tempo era fare ciò che oggi chiamiamo separazione tra fede (NT) e vita (AT).
• Nel vangelo di oggi, Pietro ed il Discepolo Amato, avvisati dalla testimonianza di Maria Maddalena, corrono insieme verso il Santo Sepolcro. Il giovane è più veloce dell’anziano e arriva per primo. Guarda dentro il sepolcro, osserva tutto, ma non entra. Lascia che entri prima Pietro. Pietro entra. E’ suggestivo il modo in cui il vangelo descrive la reazione dei due uomini dinanzi a ciò che tutti e due vedono: “Entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. Tutti e due videro la stessa cosa, ma si dice solo del Discepolo Amato che credette: “Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette” Perchè? Sarà che Pietro non credette?
• Il discepolo amato ha uno sguardo diverso, che percepisce più degli altri. Ha uno sguardo d’amore che percepisce la presenza della novità di Gesù. Al mattino, dopo quella notte di ricerca e dopo la pesca miracolosa, è lui, il discepolo amato a percepire la presenza di Gesù e dice: “E’ il Signore!” (Gv 21,7). In quella occasione, Pietro avvisato dall’affermazione del discepolo amato, riconosce anche lui e comincia a capire. Pietro impara dal discepolo amato. Poi Gesù chiede tre volte: “Pietro, mi ami?” (Gv 21,15.16.17). Per tre volte, Pietro rispose: “Tu sai che io ti amo!” Dopo la terza volta, Gesù affida le pecore alle cure di Pietro, ed in questo momento anche Pietro diventa “Discepolo Amato”.
4) Per un confronto personale
• Tutti coloro che crediamo in Gesù siamo oggi il Discepolo Amato. Ho lo stesso guardo d’amore per percepire la presenza di Dio e credere nella sua resurrezione?
• Separare l’Antico del Nuovo Testamento è la stessa cosa che separare Fede e Vita. Come faccio e vivo oggi questo?
5) Preghiera finale
I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
I cieli annunziano la sua giustizia
e tutti i popoli contemplano la sua gloria. (Sal 96)

giovedì 26 dicembre 2013

Lost in the family



Appunti statistici e screening della salute della ex “cellula base” della società. Ad uso del Sinodo, ma non solo

La chiesa di Francesco si prepara al Sinodo sulla famiglia. Lo fa partendo dalla precisa consapevolezza della criticità della situazione al riguardo. “Si profilano oggi problematiche inedite fino a pochi anni fa, dalla diffusione delle coppie di fatto, che non accedono al matrimonio e a volte ne escludono l’idea, alle unioni fra persone dello stesso sesso, cui non di rado è consentita l’adozione di figli”, si legge proprio all’inizio del documento preparatorio. Che poi continua a elencare le questioni, fino ad arrivare al “diffondersi del fenomeno delle madri surrogate (utero in affitto)”, per infine sottolineare, l’indebolimento o l’abbandono della fede nella “sacramentalità del matrimonio”. Sarà un bell’impegno, questo del Sinodo. La “tenerezza per le persone ferite” potrebbe non bastare come bussola per trovare la rotta da seguire tra la moltiplicazione delle concezioni di famiglia da un lato – ciascuno sembra averne una propria, a suo uso e consumo – e la profonda crisi della famiglia tradizionale, quella formata dalla coppia eterosessuale più i figli, dall’altro. Perché se non tiene questa famiglia hai un bell’allargare il perimetro delle forme di famiglia, di comprenderle umanamente e di andare loro “pastoralmente” incontro. Se non tiene questa forma di famiglia non c’è futuro possibile per la famiglia nel suo insieme, nella sua totalità. E questa forma di famiglia non tiene, ecco la realtà che sta di fronte all’Italia e alla stessa Europa. E, detto con tutto il dovuto rispetto, questa più stringente e dura realtà nel documento preparatorio dei vescovi sulla famiglia non ha la centralità che ci si aspetterebbe. Cosicché si fatica a capire, leggendolo, che da questa fase storica il soggetto sociale che sta uscendo più pesantemente sconfitto non è genericamente la famiglia, bensì la famiglia tradizionale, quella stessa su cui si regge la società e che ne consente la sopravvivenza nel tempo. La preoccupazione pastorale per le nuove e diverse forme di famiglia finisce per nascondere il fatto che proprio queste forme rappresentano l’aspetto più evidente del cedimento, del vero e proprio “smottamento”, della famiglia tradizionale.
Viviamo, oggi, nell’evoluto occidente, in società a bassa intensità di famiglia. Società, come quella italiana, che ancora quattro decenni fa erano ad alta, se non addirittura ad altissima, densità di famiglia sono precipitate drammaticamente nell’inconsistenza della famiglia. Caduta verificatasi sotto gli occhi di tutti eppure nel disinteresse pressoché generale, nel silenzio della politica, nella notarile azione dei governi, nella malcelata soddisfazione del mondo della cultura, che da sempre, nella sua maggioranza, attribuisce alla famiglia tradizionale un carattere conservatore, una vocazione esclusivista e prevaricatrice. Così è potuto succedere, per esempio in Italia, che da un valore di 4,5 componenti a famiglia di un secolo fa si scivolasse lentamente a 4 negli anni Cinquanta, più sveltamente a 3 negli Ottanta e di questo passo si marciasse spediti verso i 2 del prossimo decennio – se non già della fine di questo, visto che la media italiana attuale è di 2,3 componenti a famiglia. Il divario – attenzione – tra l’inizio e la fine del periodo considerato è ben più cospicuo di quanto non dicano queste cifre. Infatti, l’universo delle famiglie è in certo qual senso obbligatoriamente formato da almeno due persone, se si eccettuano le famiglie unipersonali formate da una sola persona (a regola non famiglie, famiglie soltanto in forza della statistica), cosicché un calcolo più preciso ci direbbe che mentre si avevano almeno tre componenti oltre la coppia cent’anni fa se ne ha uno scarso quest’oggi. L’inabissamento è stato fermato dalla terra subacquea, per dir così. La famiglia sta infatti avviandosi alla sua soglia d’inconsistenza, oltre la quale non può sprofondare. Difficile dire, per esempio, dove possano ancora finire le famiglie in Liguria o nella provincia di Trieste, essendo già scese, in quei paraggi, sotto la soglia di due componenti in media a famiglia. Una soglia che ci suggerisce come da quelle parti la famiglia intesa come la coppia più i figli sia di fatto se non estinta in via di rapida, e sicura, stando così le cose, estinzione.

Il documento preparatorio del Sinodo sulla famiglia non si interroga su come questo sia potuto succedere, giacché non prende il via da una riflessione sullo stato della famiglia tradizionale – evidentemente dandone per acclarata la crisi. Punta a conoscere “oltre” la famiglia tradizionale; muove in direzione di ciò che di nuovo in termini di famiglia e coppia bussa alla porta della chiesa o, almeno, manifesta a essa la sua presenza. E’ una scelta insieme coraggiosa e rischiosa. Il coraggio è perfino inutile sottolinearlo, il rischio è che anche la più approfondita riflessione sulla famiglia che possa derivarne si muova e agisca ai margini del territorio dove giace il corpaccione spiaggiato della famiglia tradizionale, incapace di penetrarvi dentro per provarsi a rianimarlo.

Quella italiana è diventata in un batter d’occhio una delle società a più bassa densità di famiglia del mondo. Quando si parla di “densità di famiglia” non si intende affatto la “quantità” delle famiglie, giacché se si dovesse giudicare dal numero delle famiglie stimate ad oggi in Italia (26 milioni) si sarebbe portati piuttosto a concludere con un giudizio del tutto opposto, di ricchezza di famiglie e non di povertà di famiglie, essendo che il numero delle famiglie non fa che crescere da un anno all’altro. Il paradosso è giusto questo, che crescono più le famiglie degli abitanti. Paradosso solo apparente, sia chiaro, nient’affatto logico-statistico e meno ancora culturale in senso lato. Il fatto è che le famiglie italiane non soltanto non si formano, e non formandosi determinano l’aumento di quelle unipersonali, di una sola persona, costituite da celibi o nubili, ma si scindono, per separazioni e divorzi, e si assottigliano in conseguenza del sopravvenire di stati di vedovanza collegati all’incessante aumento della speranza di vita e del venir meno dei figli. Insomma, una riduzione continua della famiglia ai minimi termini, un suo continuo annacquamento in quanto famiglia, che non contraddice il suo moltiplicarsi ma ne rappresenta, piuttosto, l’altra faccia. Le famiglie in Italia si moltiplicano perché la “famiglia italiana” si assottiglia, si indebolisce, si divide e frammenta, fino a diventare atomo più che cellula della società, componente minima ben più, ormai, che base vitale della stessa. Che dire infatti di una società dove le famiglie sono al 30 per cento unipersonali, fatte cioè di una sola persona, e dunque non famiglie? E dove nel restante 70 per cento delle famiglie le coppie con figli rappresentano poco più della metà? E dove tra le coppie con figli la tipologia largamente prevalente è quella della coppia con un solo figlio? Che dire se non che quella società, la società italiana, è a terribilmente bassa intensità di famiglia?

I termini della questione famiglia e il senso stesso dell’essere famiglia sono dunque radicalmente mutati tra ieri, non più di quattro decenni fa, e oggi. Sotto la spinta di quali fattori s’è compiuta una trasformazione così formidabile da non consentire, quasi, di poter leggere il presente alla luce del passato? Com’è stato che in un lasso tanto breve di tempo la famiglia italiana si sia ridotta a così poca cosa? E a chi pensasse che poco importa uno stato di salute della famiglia, complessivamente intesa, piuttosto che un altro, viene facile obiettare che, statistiche alla mano. Il faticoso Dopoguerra, la difficile ricostruzione, la trasformazione dell’economia italiana da agricola a industriale, il miracolo economico sono state tutte sfide che l’Italia ha affrontato e vinto, nel quarto di secolo tra la fine della guerra e quella degli anni Sessanta, servendosi di uno strumento, o meglio ancora facendo leva su uno strumento, che potrebbe apparire assai improprio, e che si rivela invece la sua vera arma vincente: quella che oggi definiamo, appunto, come famiglia tradizionale, la famiglia formata dalla coppia eterosessuale più i figli. Ben più del ventennio fascista, quando l’imparità della donna nel confronto con l’uomo, oltretutto, era così marcata da rendere la famiglia inadeguata alla crescita e al progresso, è quel quarto di secolo a rappresentare il trionfo della famiglia, un trionfo che trascina con sé l’Italia intera. E che ci fa intuire come nelle difficoltà di oggi sia proprio quel carburante a mancare, tra le altre condizioni, alla nostra capacità di ripresa.

Quattro fattori hanno cambiato le carte in tavola, scavato un fossato tra ieri e oggi. L’introduzione del divorzio. L’istruzione universitaria di massa, della quale hanno beneficiato e stanno beneficiando, in Italia e non solo, ben più le femmine dei maschi. L’alto, e sempre crescente, livello di terziarizzazione dell’economia. E, più italiano di tutti, il basso grado di mobilità sociale. Sono questi i fattori che hanno cambiato il volto della famiglia e trasformato quella italiana da una società ad alta a una società a bassa intensità di famiglia. Sia chiaro, questo non intende essere un giudizio di valore su tali fattori, ma soltanto la pura e semplice constatazione dei loro effetti sulla famiglia tradizionale e, per il ruolo decisivo che essa riveste, sulla famiglia tout court e sulla società.

Il divorzio relativizza il matrimonio, lo rende interscambiabile e sostituibile con altre forme di legami a minor tasso di coinvolgimento e responsabilità dei singoli. In questo senso rappresenta il fattore che più e prima degli altri si ripercuote sulla forza interna della famiglia, indebolendola. La lunga e spesso perfino infruttuosa, allorquando non si conclude con l’acquisizione della laurea, permanenza nelle università italiane, d’altro canto, protrae di per sé una fase di relativa autonomia e, tra virgolette, di “spensierata giovinezza” (che mica è tanto spensierata, oggi come oggi) dei giovani adulti che sempre più ne sposta nel “dopo”, un dopo indistinto, la prospettiva della famiglia. Quanto al grado sempre più elevato di terziarizzazione dell’economia, non si riuscirà mai a immaginare un territorio caratterizzato da una forte presenza dell’industria pesante, più ancora se di base, senza la forte dominanza della famiglia tradizionale. Ma un territorio a grande prevalenza di terziario moderno centrato, poniamo, sui servizi dell’informazione e della comunicazione, indubbiamente sì, è perfino più immaginabile “senza” che non “con” la prevalenza della famiglia tradizionale. Il basso grado di mobilità sociale, infine, mortificando le aspettative, non invoglia certo a metter su famiglia. La famiglia mira, per sua stessa essenza, a sospingere in avanti prima ancora dei singoli le generazioni e dunque, per capirci, più i figli dei genitori, perché questo è il motore che muove l’intera società, e non soltanto le famiglie, che le prospettive dei figli possano risultare migliori e più raggiungibili di quelle dei padri. Se si verifica l’inverso la famiglia perde, parlando in termini generali, la necessaria dinamicità, la sua azione ripiega in se stessa, rischiando la sterilità, l’inconcludenza.

Ora, nessuno può pensare di tornare indietro sul divorzio, o di fermare il grado di terziarizzazione dell’economia. Ma sull’istruzione universitaria di massa e il grado di mobilità sociale si può, e si deve, intervenire. E questo del tutto indipendentemente da quel che si pensa della famiglia, tradizionale e non. Che si esca dall’università a 25-27 anni, senza ancora avere avuto alcun rapporto col mondo del lavoro e cominciando soltanto in quel momento a guardarsi in giro, peraltro con lo spaesamento di chi ha vissuto nella separazione più netta con quel mondo fino ad allora, è la più vistosa, costosa e sotto tutti gli aspetti pregiudizievole delle contraddizioni della società italiana d’oggi. Spaventa che una problematica a tal punto decisiva per il futuro di questa società passi sostanzialmente sotto silenzio o sia lasciata agli “uzzoli” di riforma di quanti nel tempo hanno contribuito alla sua così inappropriata configurazione attuale. Spaventa che professioni e mestieri, anche in conseguenza dell’inappropriatezza di quella configurazione, siano tornati a passare di generazione in generazione come nei tempi passati. Il figlio del medico fa il medico, dell’avvocato l’avvocato, dell’ingegnere l’ingegnere. Dell’operaio l’operaio, dell’agricoltore l’agricoltore. Del disoccupato il disoccupato, anche. Così funziona la società italiana, sempre sull’onda di cicli di studio, e modalità di accesso e di percorrenza degli stessi, che inesorabilmente sacrifica il merito per premiare piuttosto lo spirito acritico e gregario dello studente, spinto più che a trovare una sua dimensione autentica con l’ausilio della scuola e degli studi a darsene, se non proprio a fingerne, una in chiave con quella che la scuola, nell’arco dei suoi ordini e livelli, si aspetta da lui. Comincia dunque dallo studio la costruzione di personalità poco intraprendenti e dinamiche, poco propense al rischio e all’inventiva, portate invece a ricercare nicchie di sicurezza e stabilità dentro le quali accoccolarsi senza troppi pensieri e, semmai, per poter pensare ad altro. C’è poco da scandalizzarsi per la fuga dei cervelli. Tutto l’insieme della Pubblica amministrazione e del settore pubblico, ricalcato su quello dell’istruzione, chiede non già personale capace di cambiare ma di assicurare l’anonima e inefficiente prosecuzione di sé. Si vedano i concorsi pubblici, quando ci sono. Solo puri miracoli, per definizione eccezionali, possono consentire che i suddetti “cervelli”, vincendoli, siano trattenuti dal fuggire lontano.

Riforma degli ordini di studio e del rapporto tra università e mondo del lavoro per un lato, nuova filosofia e regole per la pubblica amministrazione e il settore pubblico a tutti i livelli, per l’altro. Non si può non agire con urgenza e radicalità – urgenza e radicalità – su questi due versanti per rimettere in moto al tempo stesso la famiglia e la società, entrambe sclerotizzate.

Per la verità il giudizio sulla famiglia, lungi dalla sclerotizzazione, è semmai quello di effervescenza. C’è una larga opinione, specialmente bene istruita e acculturata, specialmente di tendenze di sinistra, radicali e liberali, che vede, al contrario, una grande vivacità nell’universo delle famiglie d’oggigiorno. Si confonde, evidentemente, la possibilità d’inventare, per così dire, la propria famiglia, con la reale diffusione, consistenza, saldezza delle forme di famiglia. Ma quando si è accennato alla famiglia tradizionale come quella formata dalla coppia eterosessuale più i figli già si sono considerate e conteggiate, per esempio, le coppie di fatto, non sposate. Cosicché, è nonostante l’apporto sempre più massiccio di coppie e famiglie di fatto che l’universo delle famiglie marcia spedito verso l’inconsistenza dimostrata dalle cifre. E questo perché non c’è soltanto la scelta del non matrimonio, come nelle coppie di fatto, che ha preso piede, ma anche quella del celibato/nubilato e quella ancor più estrema dei non figli da parte di coppie che pensano di realizzarsi al di fuori della discendenza. Tutto si lega, e cresce, delle tendenze che contrastano non già il numero delle famiglie ma l’intensità, nel senso chiarito, della famiglia nella società italiana. Al punto da porci di fronte al dubbio se non sia la famiglia annacquata, atomizzata d’oggi quella che meglio risponde ai caratteri e alle esigenze di futuro e di progresso della società attuale. Non mi sentirei di escludere del tutto una tale possibilità. Mi sentirei però di escludere che ci possa essere un futuro e un progresso segnati da equilibrio sociale e possibilità di realizzazione delle aspirazioni più profonde degli individui e delle comunità se finirà per imporsi una concezione, e un modello, di famiglia ridotta ai minimi termini, chiusa, puramente difensiva, che percepisce il resto da sé come ostile, qual è quella che si staglia all’orizzonte avendone, sembra, in società come la nostra, già conquistato un bel pezzo.

FOGLIO QUOTIDIANO
di Roberto Volpi

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