sabato 30 novembre 2013

In radio su Rtl 102.5

Buongiorno sono Francesco

«“Buongiorno, sono Francesco”. La settimana del Papa con don Dario Viganò, direttore del Centro Televisivo Vaticano» è il titolo della rubrica radiofonica che dal 2 dicembre andrà in onda ogni lunedì alle 8.35 su Rtl 102.5. All’interno di «Non Stop News» verranno raccontati agli ascoltatori gli impegni e gli appuntamenti quotidiani del Pontefice, fornendo spunti di riflessione e dibattito sulla vita e sull’attualità.
«A dispetto delle predizioni —  dichiara all’Osservatore Romano monsignor Viganò — la radio non solo è sopravvissuta alla televisione, ma naviga in ottime acque nella Rete, mettendo insieme pubblici differenti». E ha aggiunto: «Questa idea di un collegamento comunitario allargato mi ha convinto della bontà di raccontare, per qualche minuto alla settimana, le parole e i gesti di Papa Francesco».  La trasmissione, sottolinea ancora il direttore del Ctv,  è stata  programmata il lunedì mattina perché vuole essere  «un modo per sostenere milioni di persone a vivere la settimana custodendo nel cuore il desiderio di bene e lo stile dell’incontro a cui il Papa continuamente ci invita».
 
30 novembre 2013

osservatoreromano.va
Con i fedeli greco-melchiti il Papa invoca la fine delle violenze e chiede di non rassegnarsi a un Medio oriente senza cristiani

Soluzioni giuste per la Siria

In un messaggio al patriarca Bartolomeo l’invito a percorrere la strada della riconciliazione

«Cessi ogni violenza e attraverso il dialogo  si trovino soluzioni giuste e durature»  a un confilitto che in Siria «che ha già causato troppi danni». Il nuovo appello per la pace è stato lanciato da Papa Francesco stamane, sabato 30 novembre, durante l’udienza a un gruppo di fedeli della comunità greco-melchita ricevuti nella Sala Clementina insieme con il patriarca e il Sinodo della Chiesa di Antiochia. Il Pontefice ha invitato ad avere fiducia «nella forza della preghiera e della 
riconciliazione», chiedendo in particolare il «rispetto vicendevole  tra le varie confessioni religiose» per assicurare a tutta la popolazione siriana — che da troppo tempo patisce una «grande tribolazione» — «un futuro basato sui diritti inalienabili della persona, compresa la libertà religiosa».

A questo proposito il vescovo di Roma ha ribadito la necessità di non rassegnarsi «a pensare al Medio Oriente senza cristiani». E ha incoraggiato la comunità greco-melchita a mantenere salde le proprie radici umane e spirituali «perché — ha affermato — la Chiesa intera ha bisogno del patrimonio dell’Oriente cristiano». Temi, questi, che Papa Francesco ha ripreso anche nel messaggio inviato al Patriarca ecumenico Bartolomeo i in occasione della festa di sant’Andrea. «Sono consapevole della vostra profonda preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto di rimanere nella loro patria» ha scritto, ripetendo che «il dialogo, il perdono e la riconciliazione sono gli unici strumenti possibili per ottenere la risoluzione del conflitto».
Dal Papa un pensiero soprattutto ai cristiani che in tutto il mondo «sperimentano la discriminazione e a volte pagano con il proprio sangue il prezzo della loro professione di fede». Una situazione che sollecita tutti i credenti in Cristo a «dare una testimonianza comune», anche per «salvaguardare ovunque il diritto di esprimere pubblicamente la propria fede e di essere trattati con equità  quando promuovono il contributo che il cristianesimo continua a offrire alla società e alla cultura».
 
1 dicembre 2013

osservatoreromano.va
Chi è un santo

Nel giardino dei paradossi

«Il santo è prima di tutto un appello e una domanda. Per chi non arresta il suo sguardo all'uomo o all'eroe, il santo diventa parola di Dio. È un successo di Dio. Dio è riuscito, con la terra di cui siamo fatti, a plasmare un essere in cui la 
grazia ha sopraelevato la forza della natura»,  scriveva il padre gesuita Xavier Léon-Dufour nel suo libro Un biblista cerca Dio (Bologna, Centro Editoriale Dehoniano, 2004). Meditando questo testo gli amici dell'esegeta francese, docente di Sacra scrittura, lo hanno ricordato nel sesto anniversario della scomparsa, avvenuta a Pau il 13 novembre 2007.

«Ciò che caratterizza il santo, è, credo, il contrario della vecchiaia – prosegue Léon-Dufour, noto per il suo diffusissimo Dizionario di Teologia Biblica(1967) e uno dei massimi esperti del Vangelo di Giovanni – Dio è l'Eternamente nuovo. Genera ininterrottamente il Figlio. Ebbene, il santo che si è perfettamente adattato a una determinata situazione, a un mondo che era quello che era, ci invita non a fare lavori di storici, di archeologi, a risuscitare reliquie, o a cadere nella trappola di una contemplazione astratta; bensì a rinnovarci di continuo, ad adattarci di continuo al mondo nel quale viviamo. L’autentica esperienza del santo, quella alla quale siamo invitati, quella alla quale ognuno di noi è chiamato, è di entrare nel segreto di Dio e, penetrati dallo Spirito divino, di poter dire allora al mondo la parola di cui questo mondo ha bisogno, al mio posto, nella mia piccola misura, ma a condizione che sia la mia misura, e che sia me stesso, trasformato allora dall'acqua dello Spirito».
 
1 dicembre 2013

osservatoreromano.va

Da S. Teresina

Preghiera e sacrificio formano tutta la mia forza e toccano le anime ben più che i discorsi.

Pensiero del giorno - Sabato 30 dicembre 2013

Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell'armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa.

Papa Francesco - Omelia 29 giugno 2013
Il martirio di sant’Andrea, apostolo
    “O croce tanto lungamente desiderata, offerta ora all’aspirazione della mia anima, vengo a te, pieno di gioia e sicurezza. Ricevimi con gioia, me, discepolo di colui che pendeva dalle tue braccia…” Così parlava Sant’Andrea [secondo la tradizione], guardando da lontano la croce innalzata per il suo supplizio. Da dove gli venivano una gioia e un’esultanza così incredibili? Da dove tale perseveranza in un essere così fragile? Da dove quest’uomo traeva un’anima così spirituale, una carità tanto fervente e una volontà tanto forte? Non è giusto pensare che prendesse da se stesso un sì gran coraggio; era il dono perfetto disceso dal Padre della luce (Gc 1,17), dal solo che fa meraviglie. Era lo Spirito Santo che veniva in aiuto alla sua debolezza e che metteva nel suo cuore un amore forte come la morte, ed anche più forte della morte (Ct 8,6).

    Piaccia a Dio che possiamo partecipare a questo Spirito, anche noi oggi! Poiché, se ora è faticoso lo sforzo della conversione, se ci pesa vegliare nella preghiera, è unicamente a causa della nostra povertà spirituale. Se lo Spirito Santo è con noi, verrà sicuramente in aiuto alla nostra debolezza. Ciò che ha fatto per sant’Andrea davanti alla croce e alla morte, lo farà anche per noi: toglierà all’impegno della conversione il carattere difficile, lo renderà desiderabile ed anche piacevole… Fratelli, cerchiamo questo Spirito, facciamo di tutto per ottenerlo, o per possederlo più pienamente, se già l’avessimo. Poiché “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene” (Rom 8,9). “Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio” (1Cor 2,12)… Dobbiamo dunque prendere la nostra croce con sant’Andrea, o piuttosto con colui che egli ha seguito, il Signore nostro Salvatore. La causa della sua gioia era che moriva non solo con lui, ma come lui, e che, unito così intimamente alla sua morte, con lui avrebbe regnato…. Poiché su questa croce è la nostra salvezza.

San Bernardo monaco cistercense e dottore della Chiesa 
Lectio: 
 Sabato, 30 Novembre, 2013  
La chiamata di Andrea e di suo fratello
I primi discepoli pescatori di uomini
Preghiera
O Padre, che hai chiamato sant’Andrea dalle reti del mondo alla pesca meravigliosa dell’annuncio evangelico, fa’ che anche noi possiamo sempre più gustare la dolcezza della tua paternità e, nel sentirci amati come figli, apriamo a te con piena fiducia tutta la nostra vita, per lasciarci raggiungere e cambiare dallo sguardo e dalla parola del tuo Figlio diletto, il Signore Gesù; con Lui vogliamo portare a tanti fratelli la lieta notizia del tuo amore misericordioso, che rende bella la vita.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Lettura
Dal vangelo secondo Matteo (4, 18-22)
18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Meditazione
* “Camminava lungo il mare di Galilea”. Gesù è appena uscito dal deserto, dopo i 40 giorni di grande solitudine e lotta contro il demonio (Mt 4, 1-11). E’ uscito vittorioso, sicuro dell’amore del Padre suo ed è venuto in Galilea, terra lontana e disprezzata, terra di confine e di estraneità, portando la sua grande luce, la sua salvezza (Mt 4, 12-16). E qui ha iniziato a gridare il suo annuncio di gioia e liberazione: “Il regno dei cieli è vicino!” (Mt 4, 17). Non c’è più solitudine, né deserto incolmabile, non c’è assenza da quando il Signore Gesù è sceso sulla nostra terra, Galilea delle genti: Lui, infatti, è davvero vicino, è Dio-con-noi. Non sta lontano, non rimane fermo e nascosto, ma Egli “cammina”, passeggia lungo il mare, lungo le rive delle nostre povere vite. Anzi, ancora di più. Galilea significa “anello”: questo ci dice che Lui, l’Amore, viene a sposarci, a unirci per sempre con Sé. Allora non resta che accoglierLo, mentre cammina sulla riva del mare. Lui già ci vede, anche a distanza, già ci conosce…
* Il verbo “vide”, ripetuto due volte, in riferimento prima ad Andrea e a suo fratello, poi a Giacomo e a Giovanni, porta con sé tutta la forza e l’intensità di uno sguardo che parte dal cuore, dall’intimo. Così il Signore ci vede: ci legge dentro, sfoglia con attenzione amorosa le pagine della nostra vita, conosce ogni cosa di noi, tutto Lui ama.
* Non è un caso che Matteo utilizzi molte volte il vocabolario familiare per raccontare questo episodio di vocazione, di incontro con il Signore Gesù. Troviamo quattro volte la parola “fratello” e due volte la parola “padre”. Siamo condotti a casa, al nostro principio di vita, là dove anche noi riscopriamo che siamo figli e fratelli. Gesù entra dentro questa nostra realtà più umana, più nostra, più quotidiana; entra nella carne, nel cuore, in tutta la vita. E viene recuperarci, a farci nascere ancora.
* “Venite dietro a me”. Queste sono le sue parole, semplici, limpide: ci chiede di metterci in cammino, di muoverci, anche noi, come Lui. “Venite!”. E’ bello sentirci risvegliare da questa sua voce, che ci raggiunge ed è più forte, più dolce della voce delle acque del mare, del mondo, rumorose e confuse. Quando Lui parla al cuore, si fa grande bonaccia, ritorna la calma. E poi ci offre anche la rotta, segna il percorso da fare; non ci lascia smarrire: “Dietro a me”, dice il Signore. Basta accogliere l’invito, basta accettare che sia Lui a saperne di più; dobbiamo solo seguirlo, è Lui ad aprire la strada.
Lasciarono e seguirono”. I due fratelli, i primi chiamati, Pietro e Andrea, diventano, per noi, all’inizio di questo cammino, un esempio chiarissimo, forte, sicuro. Ci insegnano le mosse da fare, i movimenti, le scelte. “Lasciare” e “seguire” diventano i verbi chiave, le parole scritte nel cuore. Sì, perché forse accadrà più spesso di dover fare tali operazioni al di dentro, nel segreto dell’anima, dove solo noi possiamo vedere. Dove solo il Signore è testimone che anche per noi si compie questa meravigliosa parola del vangelo, tanto viva e forte che ti cambia la vita.
* “Subito”. Per due volte Matteo ci fa vedere la prontezza dei discepoli nell’accogliere il Signore che passa, il suo sguardo, la sua voce per loro. Non mettono ostacoli, non dubitano, non hanno paura, ma si fidano ciecamente di Lui, rispondono subito, dicendo sì a quell’Amore.
In un crescendo, Matteo fa scorrere davanti ai nostri occhi tutti gli elementi che animavano quella scena, sulla riva del mare: le reti, le barche, il padre… tutto scivola via, passa in secondo piano, viene lasciato da parte. Rimane solo il Signore, che cammina davanti e, dietro a Lui, quei quattro chiamati, uomini nuovi, che portano in sé il nostro nome, la storia che Dio ha scritto anche per noi.
Alcune domande
* L’orizzonte di questo racconto evangelico e quindi della grazia che il Signore ancora oggi compie per noi, è il mare, un mare preciso, che ha un nome, una sua geografia. Riesco, davanti alla Parola di Dio, in questo momento, a dare un volto preciso all’orizzonte della mia vita? Ho la serenità interiore per mettere a nudo, davanti agli occhi di Cristo, la mia vita, così com’è, la mia Galilea, il mio mare? Ho forse paura delle acque che porto nel cuore, quasi fosse un mare minaccioso, oscuro, nemico? Riesco a lasciare che il Signore cammini lungo le mie rive? Riesco a lasciarmi guardare anch’io, come Andrea, come Simone, Giacomo e Giovanni?
* E se faccio silenzio, in questo momento, se lascio davvero che i passi di Gesù si avvicinino a me, fino a lasciare sulla mia povera sabbia le sue impronte d’amore, d’amicizia, ho poi anche il coraggio di lasciarmi raggiungere dal suo sguardo pieno di luce? O continuo a nascondermi un po’, a sottrarmi, a mascherare qualche parte di parte, che io stesso non voglio vedere, o accettare?
E ancora: lascio che Lui mi parli, che mi dica, forse per la prima volta: “Vieni dietro a me”? O preferisco continuare ad ascoltare solo il rumore del mare, delle sue onde invadenti, scomposte?
* Questo Vangelo mi parla in maniera molto forte della compagnia dei fratelli, mi parla del mio essere figlio, mette a nudo la parte più profonda del cuore, entra nell’intimo della casa. Forse è proprio questo il luogo dove c’è più dolore per me, dove non mi sento capito, accolto e amato come vorrei? Perché il Signore mette il dito nella mia piaga? Fratelli, padre, madre, compagni… Gesù è tutto questo per me, ed è molto di più. Lo sento davvero così? C’è posto, per Lui, a casa mia? E com’è la mia relazione con Lui? Di fratello, di amico, di figlio? O lo conosco solo da lontano, alla superficie, di sfuggita?
* Mi sembra molto chiaro che questo passaggio del Signore opera grandi cose nella vita dei discepoli: “Vi farò pescatori di uomini”, dice a loro. Come reagisco davanti a questa scoperta? Voglio anch’io lasciarmi toccare da Lui in modo vero, reale? Voglio lasciarmi cambiare la vita? Insieme a Lui voglio partire per una nuova avventura, a cercare fratelli e sorelle che hanno bisogno di incontrarlo, di conoscerlo, di sentirsi amati dal suo Amore infinito? Pescatore di uomini posso essere anch’io, come Andrea e i suoi fratelli.
* Manca ormai solo una cosa: la decisione, la scelta di seguire il Signore, di camminare dietro di Lui. Provo a fermarmi ancora un istante… Cosa devo lasciare, oggi, per fare questo passo importante? Cos’è che mi frena, che mi insabbia, che non mi permette di muovermi? Quale peso ho nel cuore, nell’anima? Forse nasce dentro di me il bisogno di confessarmi, di aprire il mio cuore. Porto ormai scritto dentro lo sguardo che Lui ha posato su me, le sue parole, più forti del rumore del mare; non posso far finta di niente. Il Signore è passato a ha lasciato un segno. Io non son più quello di prima… voglio dire il mio sì, come Andrea. Amen.
Preghiera finale
La tua Parola, Signore, è lampada ai miei passi.
Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Osservando la tua parola.
Con tutto il mio cuore ti cerco:
non lasciarmi deviare dai tuoi comandi.
Ripongo nel cuore la tua promessa
per non peccare contro di te.
Benedetto sei tu, Signore:
insegnami i tuoi decreti.
Con le mie labbra ho raccontato
tutti i giudizi della tua bocca.
Nella via dei tuoi insegnamenti è la mia gioia,
più che in tutte le ricchezze.
Voglio meditare i tuoi precetti,
considerare le tue vie.
Nei tuoi decreti è la mia delizia,
non dimenticherò la tua parola.
(dal Salmo 119)

ocarm.org

Scuola della fede (2)
Metti Gesù nella tua vita, e vivrai una vita vera
4
La vita in Cristo
Seminario, 27 novembre 2013

Rigenerati dal perdono di Gesù, iniziamo a vivere la nostra vita di ogni giorno in Lui e come Lui. Ricordate la prima catechesi ascoltata al Santuario il 16 ottobre scorso: chi incontra Gesù, cambia vita [S. Paolo, Zaccheo, E. Stein]. Non nel senso necessariamente che cambia stato di vita: Zaccheo non cessa di fare l’esattore delle tasse. Lo fa in modo diverso: lo fa in Cristo; vive in Cristo.
Ma cosa significa, vi chiederete, "vivere in Cristo", "vivere come Cristo"? In questa ultima catechesi cercherò di rispondere a questa domanda. Prima però devo fare una premessa, di straordinaria importanza.
1. [Il dono dello Spirito]. Partiamo come sempre da un’esperienza che facciamo tutti: ciascuno di noi può agire per dovere [faccio ciò che faccio, perché ho il dovere di farlo]; ciascuno di noi può agire per bisogno [faccio ciò che faccio perché sento il bisogno di farlo]. Un esempio. Devo sottopormi ad un intervento chirurgico: lo faccio perché ho il dovere di curare la mia salute; sicuramente non lo faccio perché sento il piacere di farlo.
Una mamma ha grande attenzione al suo bambino. Ha certamente il dovere di farlo. Ma per lei è come un bisogno intimo: non può non farlo.
Proviamo ora ad analizzare brevemente questa esperienza. Quale è la differenza fra i due modi di agire? Cominciamo dalla superficie e andiamo passo dopo passo al fondo. Il primo si fa sentireDIFFICILE; il secondo FACILE; il primo può causare in noi un senso di SOFFERENZA; il secondo solitamente causa GIOIA: la mamma prova gioia nel prendersi cura del suo bambino; nessuno prova gioia nell’andare in ospedale per sottoporsi ad un intervento chirurgico.
Andiamo più a fondo. Da dove deriva questa differenza? Se fate bene attenzione a voi stessi, vedrete che essa deriva dalla misteriosa ATTRAZIONE che esercita su di voi la bontà, la bellezza insita nella decisione che state per prendere. La mamma è profondamente attratta dalla bontà di un gesto come prendersi cura del suo bambino. L’attrazione che una realtà esercita nei nostri confronti a causa del valore [estetico, morale, religioso] che ha in sé, si chiama amore.
Che cos’è dunque l’amore? E’ la risonanza del bene, del bello, del vero dentro la persona. Posta di fronte al bene, la persona re-agisce, ri-suona. Sapete che se metto vicini due diapason, e faccio vibrare uno solo, dopo un po’ comincia a vibrare anche l’altro. E’ questa una pallida immagine dell’amore fra due persone.
Quando manca l’attrazione dell’amore, e si fanno le cose per dovere solamente, l’agire è difficile, e non raramente noioso. Virgilio esprime tutto quanto vi ho detto finora con un verso stupendo e meritatamente famoso: trahit sua quemque voluptas.
Ora ritorniamo al tema nostro. Nella Sacra Scrittura è detto: "Dio ama chi dona gioiosamente". Gesù non ha detto a Zaccheo: "tu non devi rubare; tu hai il dovere di restituire ciò che hai rubato". Ma Zaccheo era rimasto affascinato, attratto dalla persona di Gesù. Paolo soffre il soffribile per Gesù, e dice che in confronto di ciò che lo aspetta quando potrà essere sempre con Cristo, è nulla.
Ma come può accadere anche in noi di vivere come Gesù, perché ci sentiamo attratti da Lui? Può accadere perché Gesù ci dona lo Spirito Santo, il quale è l’Amore-Persona.
Che cosa fa in noi lo Spirito Santo? Ci fa sentire, gustare nel nostro intimo la bellezza, la bontà della sequela di Cristo, della vita in Cristo.
Sentite come il Cantico dei Cantici descrive questa esperienza [è la sposa che parla]. "Mi baci con i baci della sua bocca!/ Sì, le tue tenerezze sono più dolci del miele./ Per la fragranza dono inebrianti i tuoi profumi…Attirami dietro a te, corriamo" [1, 2-4].
Dunque, la sequela di Gesù, la vita in Cristo è guidata, mossa dallo Spirito Santo.
Da quanto ho detto, scopriamo in che cosa consiste la nostra libertà. Chiediamoci: chi è veramente libero? Colui che fa ciò che vuole, bene o male che sia? No. Colui che fa ciò che deve fare? No. E’ libero colui che fa ciò che vuole facendo ciò che deve, oppure [è lo stesso], colui che fa ciò che deve facendo ciò che vuole. E’ lo Spirito Santo che compie in noi questo miracolo.
Certamente giungere ad essere liberi in questo modo esige un percorso lungo. Se paragonassimo la libertà ad una circonferenza e noi stessi ad un poligono inscritto, noi sappiamo che nessun poligono di n lati potrà mai coincidere colla circonferenza. Così è della nostra libertà dentro alla libertà dello Spirito.
2 [La vita in Cristo]. Ora siamo in grado di capire che cosa significa vivere in e come Cristo, guidati interiormente dallo Spirito Santo.
E’ la domanda del giovane nel Vangelo: che cosa devo fare per avere la vita eterna?
Prima risposta di Gesù: osserva i Comandamenti. Cioè: vivere in Cristo e come Cristo, guidati interiormente dallo Spirito Santo, significa praticare i dieci Comandamenti. Tutti, non solo alcuni [non ho rubato; non ho ucciso. Non basta].
I Comandamenti sono come il navigatore delle nostre automobili. Esso ci guida, ci indica la strada per raggiungere la meta che ci siamo preposti. Chi li abbandona, va fuori strada.
Gesù ci ha dato al riguardo un bellissimo insegnamento. Ci ha detto che tutti i comandamenti sono come appesi a due: ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze; ed il prossimo come te stesso [Nella stupenda parabola del Samaritano Gesù ha spiegato che cosa vuole vuol dire prossimo: ogni uomo che si trova nel bisogno].
Per capire questo insegnamento di Gesù possiamo servirci di un’immagine. Se voi mettete un cristallo terso davanti ad una fonte luminosa, esso rifrange i colori dell’iride. I comandamenti sono la rifrazione dell’amore, cioè esprimono le sue esigenze fondamentali: come puoi dire di amare il prossimo se ti comporti ingiustamente con lui? Come puoi dire di amare i genitori se li disonori? E così via.
Dunque: la vita in Gesù guidati interiormente dallo Spirito Santo significa vivere osservando i dieci Comandamenti.
Ma questo non è tutto. Vivere la propria vita in Gesù e come Gesù significa educarci a pensare come Lui; a valutare cose, situazioni, persone come Lui; ad avere in noi gli stessi sentimenti come aveva Gesù: verso il Padre; verso i poveri, gli ammalati; verso i bambini; verso la donna; verso le autorità statali… S. Paolo arriva a dire: "non son più io che vivo, ma Cristo vive in me"[ Gal 2, 19]. E’ un cammino, appunto una sequela.
A questo punto mi chiederete: e come faccio a conoscere come pensava Gesù…? Per il momento, rispondo: leggendo attentamente, meditando frequentemente, pregando umilmente i quattro Vangeli. Ma questo non basta.
Papa Francesco nella sua prima Enciclica Lumen fidei, citando R. Guardini, dice che la Chiesa "è la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo" [cfr. n. 22]. Cercherò ora di spiegare. Si tratta di un fatto di importanza fondamentale per chi vuole vivere in Cristo.
Ciascuno di noi è nato dentro una cultura, che gli viene comunicata mediante il linguaggio, il legame educativo fra le generazione, le consuetudini proprie del nostro popolo, le nostre istituzioni. Ed altro ancora. E’ come un grembo che ci accoglie, ci cresce, ci rende maturi.
Tutto questo è una pallida idea di che cosa è la Chiesa per chi vuole seguire Gesù, di chi vuole vivere come Lui. Essa ci introduce nel modo di pensare, di giudicare, di sentire di Gesù: "lo sguardo plenario di Cristo sul mondo", di cui parlava Guardini. E’ dentro la Chiesa che tu sei educato a vivere in Cristo e come Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Perché? perché Essa è "la portatrice storica" del modo di pensare, di giudicare, di valutare la realtà di Gesù.
Non è ora il caso di spiegarvi il modo. Pensate solo che cosa significano i santi di ieri e di oggi. Il Vangelo scritto è come uno spartito musicale. Esso rivela tutta la sua bellezza non quando è letto e studiato, ma quando è eseguito. I santi sono l’esecuzione dello spartito musicale che è il Vangelo.
Riassumo. Mi ero chiesto: che cosa significa vivere in e come Cristo? Vivere osservando i Comandamenti, e diventare sempre più simili a Lui, mediante una radicazione sempre più profonda nella Chiesa.
3. [La consegna della missione]. Chi incontra Cristo e vive in e come Lui, riceve sempre da Lui una missione da compiere: una missione unica, perché come S. Paolo comprenderà – ad essa il Signore aveva pensato fin da quando eravamo nel grembo materno. Riflettete molto seriamente su questo punto.
La vita, anche se fatta di decisioni molto normali, non è mai banale. E’ sempre un’impresa grandiosa, anche se siamo nel rischio di dare per scontato ciò che invece non lo è affatto. Mi spiego.
Una persona, alla vostra età soprattutto, può "lasciarsi vivere" senza chiedersi: ma che cosa il Signore vuole che io faccia della mia vita? Oppure dare per scontato l’unica prospettiva che sembra essere quella comune: una professione e la famiglia. Si esclude, quasi in linea di principio o comunque esula dall’orizzonte, la verifica di una chiamata ad una vita totalmente ed esclusivamente donata a Cristo nella missione del sacerdote o nella consacrazione verginale.
Chi decide di vivere in Cristo e come Cristo guidato interiormente dallo Spirito Santo, se non è già fidanzato/a, deve interrogarsi seriamente sulla missione che Gesù intende affidargli. Guidato ovviamente da un buon maestro dello spirito.
Concludo. Penso che alla fine di questa seconda Scuola della fede possa farvi profondamente riflettere su di un confronto.
Abbiamo parlato all’inizio della nostra libertà: essa può acconsentire alla proposta di vita che Gesù fa alla persona o può rifiutarsi. Zaccheo acconsente; il giovane ricco rifiuta. Proviamo ora a mettere a confronto la narrazione di un consenso e la narrazione di un rifiuto. E ciascuno tiri le conseguenze che ritiene giuste per la sua vita.
La prima narrazione è quella di Agostino che, dopo un cammino molto difficile, ha incontrato Cristo e si è lasciato conquistare da Lui.
"Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco, Tu eri dentro di me ed io ero fuori, e ti cercavo fuori… Tu hai chiamato e gridato e hai infranto la mia sordità. Ti hai lampeggiato come un baleno e col tuo splendore hai messo in fuga la mia cecità: Tu hai sparso il tuo profumo e io l’ho respirato, e ora anelo a te. Ti ho gustato, e ora ho fame e sete di Te. Mi hai toccato, e io mi sono infiammato dal desiderio della tua pace" 
[Confessioni, x 27, 38]
La seconda narrazione è di un grande poeta francese del secolo XIX, A. Rimbaud. E’ un brano di una poesia che il poeta scrisse a diciott’anni.
"Un tempo, se mi ricordo bene, la mia vita era una festa ove si aprivano tutti i cuori
e tutti i vini scorrevano.
Una sera ho fatto sedere la Bellezza sulle mie ginocchia
e l’ho ingiuriata

io sono fuggito

son riuscito a fa svanire nel mio spirito tutta l’umana speranza"
[cit. da G. Sapelli e G. Vittadini (a cura di), Alle radici della crisi, BUR 2013, 146 ]

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SCUOLA DELLA FEDE (2)
Metti Gesù nella tua vita, e vivrai una vita vera
3
Peccato e redenzione
Seminario, 20 novembre 2013


Devo iniziare questa catechesi con un grande "MA" avversativo, grande come il Monte Bianco. In che senso?
La scorsa catechesi ci ha mostrato la nostra splendida regalità, MA guardando più in profondità in noi stessi, scopriamo che è una regalità decaduta. Perché? In che senso?
1. [Il peccato come male morale]. Sono sicuro che tutti ci ritroviamo nel detto di Ovidio: "video meliora proboque, et deteriora sequor [vedo il bene e lo approvo, e faccio il male]". Anche S. Paolo narra la stessa esperienza. "Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio faccio, ma quello che detesto" [Rom 7, 14].
Vediamo di analizzare accuratamente questo fatto, che accade spesso dentro di noi; semplifico un poco.
Nella catechesi scorsa abbiamo visto che la nostra ragione, soprattutto se illuminata dalla fede, conosce la verità circa il bene e il male. [Vedo il bene, dice Ovidio]. Pietro posto nel dilemma di tradire l’amicizia con Gesù o rischiare la vita, vede chiaramente quale è il bene e quale è il male. Lo vede, non perché c’è qualcuno che glielo insegna, ma è la sua ragione che glielo mostra e la sua coscienza che personalizza questa verità: "tu non devi tradire Gesù". Possiamo dire la stessa cosa anche nel modo seguente: è Pietro che si sente legato, ob-ligato non da un’autorità esterna; non da una consuetudine sociale; non per le eventuali conseguenze a cui andrebbe incontro. E’ legato, ob-ligato dalla verità che ha scoperto [proboque, dice Ovidio]. E’ la luce della verità che lo incatena.
Nella catechesi precedente abbiamo spiegato che questa esperienza; essere legati, ob-ligati, avviene in ciascuno di noi.
Pietro tradisce. La nostra libertà può rifiutarsi di mettere in atto il bene conosciuto colla ragione [deteriora sequor, dice Ovidio]. La nostra persona colla sua scelta libera nega ciò che colla sua ragione ha affermato. Si introduce nella persona una vera e propria divisione o spaccatura: non faccio ciò che interiormente vedo che devo fare; non confermo colla mia scelta la verità conosciuta circa il bene della mia persona. Sono autore e vittima. "Ma se c’è in me la verità – deve esplodere. Non posso rifiutarla, rifiuterei me stesso" [K. Wojtyla].
La scelta libera della persona, colla quale essa rifiuta la verità conosciuta circa il bene, ha un nome: è il peccato. E’ il male della persona come tale. Riflettiamo un momento su questo.
La malattia fisica o psichica è un male della persona; non "tocca" però la persona come tale, ma la persona come organismo vivente. E la persona può anzi fare buon uso della sua malattia.
Il male morale o peccato riguarda la persona come tale. Deturpa la persona come tale. E poiché la persona è ciò che esiste di più prezioso nell’universo, il male morale o peccato è il male più grande che esista. Non può esistere un male peggiore.
Sentite che cosa scrive il b. J.H. Newman: "Sarebbe meglio che il sole e la luna cadessero dal cielo…piuttosto che una sola anima, non dico, vada perduta, ma commetta un solo peccato veniale" [Apologia pro vita sua, ed. Paoline, 387].
Non vi sembri esagerata la cosa. Posso distruggere completamente l’affresco della Cappella Sistina, ma posso rovinarlo anche versandovi sopra un colore. La bellezza della persona umana è più preziosa di un affresco di Michelangelo. Deturparla è cosa più grave che deturpare una stupenda opera d’arte. E la deturpazione consiste, lo ripeto, nella decisione di negare con l’atto della scelta la verità che la persona riconosce come verità colla sua propria coscienza.
Prima di procedere, devo mettervi in guardia da un fatto sul quale purtroppo non possiamo riflettere come meriterebbe. Viviamo in una cultura che dispensa l’uomo dalla fatica, dal dramma della libertà. Questa dispensa prende soprattutto due forme.
La prima. La colpa, il male morale non trova la sua origine ultima in una decisione della volontà, ma nella società, nei condizionamenti sociali.
La seconda è più grave. Essa consiste nel pensare che coscienza, libertà siano fatti neurobiologici. E’ negata l’emergenza dell’uomo nella natura. Emergenza significa l’apparizione in natura di un essere, per il quale non si possiedono modelli che ci permettano di riprodurlo in base alle leggi fisico-chimiche: non è la stessa cosa costruire un robot e un uomo vivo.
Fate molta vigilanza colla vostra ragione. Non lasciatevi scacciare dal grande dramma della vita: il dramma della libertà.
2. [La redenzione dell’uomo]. Abbiamo detto che mediante i suoi atti la persona realizza se stessa. Da quanto abbiamo appena detto risulta che la persona può realizzarsi male. Qualcuno potrebbe dire: è il rischio della libertà. E questo è vero. Ma con questa costatazione il discorso non è chiuso. Anzi.
Una vita sbagliata è una vita priva di senso: non ha ragione, per esserci. Manzoni e Shakespeare hanno scritto al riguardo pagine straordinarie e famose. Che casa accade quando una persona prende coscienza di aver vissuto una vita falsa? Può forse – direbbe Nicodemo – rientrare nel seno di sua madre e riprendere da capo? Lasciamo per il momento in sospeso queste domande e andiamo ad una pagina del Vangelo: l’incontro di Gesù con una donna colta in flagrante adulterio. La legge di Mosè [e quella dei paesi islamici oggi] era chiara: doveva essere lapidata.
I nemici di Gesù sono scaltri. Lo mettono – pensano – in una situazione che ha solamente due vie d’uscita, e ambedue sono dal punto di vista di Gesù impercorribili: o proibisce la lapidazione ed allora Gesù nega la verità circa il male dell’adulterio; o afferma questa verità e quindi dice di lapidare la donna. Era, in fondo, la situazione in cui venne a trovarsi l’Innominato durante la famosa notte.
In realtà Gesù rivela e alla donna e ai suoi accusatori che esiste una terza via: il perdono. "Neppure io ti condanno; va e non peccare più".
Fermiamoci a riflettere sull’evento del perdono. Non è facile a capirsi perché è il fatto più divino che possa accadere su questa terra. S. Tommaso dice che è più grande dell’atto con cui Dio ha creato l’universo.
Cominciamo dal togliere alcuni antropomorfismi. Quando diciamo: "Dio perdona", non significa che Egli fa come se tu non avessi peccato; come se dicesse: "da questo momento in poi facciamo finta che tu non hai peccato".
"Dio perdona" non significa che Egli trova sempre delle scusanti per cui alla fine ti dice: "stai tranquillo, non hai fatto nulla di male". Gesù alla donna dice: "non peccare più". Non la scusa; non la consola.
Per cominciare ad entrare dentro al grande mistero del perdono, possiamo usare un esempio. Il medico di fronte all’ammalato non si limita a consolare, a dare calmanti, ma - per quanto possibile – toglie la malattia.
"Dio perdona" significa che Dio col suo atto che chiamiamo perdono, ri-crea la persona nel suo io più profondo, nella sua ragione, nella sua libertà. La persona è rinnovata. Questo atto di Dio implica un giudizio: "hai sbagliato: meriti di essere condannato [è questo che la S. Scrittura intende quando parla dell’ira di Dio]; ma Io non ti condanno, ma distruggo in te il male così che tu sei ri-creato, rimesso a nuovo, rinasci". Il perdono di Dio quindi implica un giudizio che però non è di natura retributiva [Dio ti dà ciò che meriti], ma di natura giustificativa [Dio ti rende giusto]. Questo è il cristianesimo!
La comunità cristiana si è spesso chiesta perché Dio si è fatto uomo. Riuscirete a fare vostra questa domanda, e quindi a riempire di stupore il vostro cuore di fronte al Dio–uomo, solo se avrete compreso e vissuto il dramma della prevaricazione della vostra libertà contro la verità; il dramma della prevaricazione contro la vostra persona. Allora capite veramente perché Dio si è fatto uomo: per ricostruire l’uomo; per redimerlo dal pericolo di perdere se stesso.
Ma è anche possibile un cammino interiore inverso. Solo guardando Dio fattosi uomo, comprenderete il dramma della vostra libertà; il rischio insito in essa; la potenza devastante di cui è la vostra persona in possesso, quando prevarica contro la verità. Comprendi questa tua condizione drammatica quando vedi che essa è stata condivisa da Dio stesso.
Chi ha rinunciato di fatto alla fatica di essere libero; chi ha permesso che lo derubassero della sua libertà, costui non comprenderà mai nulla del cristianesimo.
3. [La via del perdono]. Gesù quando perdona non prescinde dalla nostra libertà. Non ci perdona se non vogliamo essere perdonati.
Che cosa significa "voler essere perdonati"? Significa tre cose.
(a) Il riconoscimento del nostro peccato, del male compiuto. Non va dal medico chi ritiene di essere sano; non vuole essere perdonato chi ritiene di non avere nulla di cui farsi perdonare. Questo atto ha nel vocabolario cristiano un nome: dolore per il male commesso. La parola dolore non va intesa in senso emotivo, psichico. Significa il giudizio che diamo di noi stessi e dei nostri atti.
(b) Il riconoscimento genera inevitabilmente una decisione: la decisione di non commettere più gli atti che si riconoscono essere sbagliati. Questo atto ha nel vocabolario cristiano un nome: proposito.
(c) Non siamo degli angeli, cioè dei puri spiriti. I nostri atti coinvolgono sempre anche il nostro corpo e la nostra psiche. Atti interni esigono di prendere una forma esterna. Il riconoscimento di cui parlavo diventa "confessione" del male compiuto.
Per chiarezza didattica ho presentato questi tre atti: dolore – proposito - confessione in maniera molto semplice. Nella realtà, non raramente sono le tappe di un cammino lungo e faticoso. Pensate a S. Agostino: ha impegnato anni. E non è stato l’unico. Questo cammino è la conversione.
C’è una pagina di una grande filosofa spagnola che ci aiuta a capire il senso, la portata degli atti che costituiscono la conversione. "La vita ha bisogno di rivelarsi, di esprimersi: se la ragione si allontana troppo, la lascia sola, se assume i suoi caratteri, la soffoca. Si tratta di trovare il punto di contatto tra la vita e la verità" [cit. da Agostino, Confessioni, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2012, 43].
L’incontro fra Dio che in Gesù perdona e la persona umana convertita è il sacramento della confessione, o della riconciliazione.
Esso, vedete, è l’esaltazione della misericordia di Dio e della libertà dell’uomo. Papa Francesco ha raccontato che è stata una confessione a cambiare completamente il corso della sua vita.

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SCUOLA DELLA FEDE (2)
Metti Gesù nella tua vita, e vivrai una vita vera
2
Libertà e legge
Seminario, 13 novembre 2013


La volta scorsa abbiamo visto che la costruzione della nostra vita mediante i nostri atti è guidata dalla nostra coscienza: è come l’occhio del nostro cammino spirituale.
Dobbiamo ora chiederci: quale è la luce che illumina questo occhio? Uno può avere occhi sanissimi, ma al buio non vede nulla; ha bisogno della luce.
Fuori di metafora. In base a quali criteri la coscienza ci guida coi suoi giudizi? Vi renderete conto, se presterete attenzione, che la risposta a questa domanda è di importanza fondamentale, se volete essere persone vere.
1. [La legge morale]. Partiamo, come sempre, da una constatazione molto semplice. Quando abbiamo fame, sentiamo inclinazione a mangiare; quando abbiamo sete, sentiamo inclinazione a bere. Esistono dunque nella nostra persona delle inclinazioni orientate verso beni fondamentali per l’uomo: il cibo, l’acqua ed altri.
Esistono altre inclinazioni che non sono esattamente della stessa natura di quelle dette prima, e che abbiamo come quelle in comune con gli animali. Quando siamo di fronte ad un pericolo, sentiamo paura e cerchiamo di evitarlo. A volte, diciamo, "ci alziamo colla luna storta", con un senso di malessere che ci fa soffrire, e desideriamo uscirne. Esistono dunque nella nostra persona delle inclinazioni orientate verso il benessere psicologico della persona.
Possiamo allora dire: esistono nella persona umana inclinazioni inscritte – se così posso dire – nella persona in quanto organismo vivente (le prime); esistono nella persona umana inscritte in essa in quanto soggetto psichico (le seconde). Esistono altre inclinazioni?
Provate a guardare dentro di voi. Esiste, per esempio, una inclinazione a vivere in società. Ma non in qualsiasi modo: una società di persone libere, uguali… Diciamo: una inclinazione a vivere in una società giusta. Oppure [è lo stesso]: a vivere nella giustizia.
Facciamo un altro esempio. S. Agostino scrive che ha conosciuto molti che ingannano gli altri, ma non ha mai conosciuto una persona che vuole essere ingannata. Esiste nella nostra persona una inclinazione alla [conoscenza della] verità; ad essere nella verità. Se uno vi chiede: "vuoi essere felice?", voi rispondete: "certamente". E se l’altro continua, e vi dice: "veramente felice o falsamente felice?", voi – sono sicuro – risponderete: "veramente felice".
Abbiamo dunque constato che non esistono nella nostra persona solamente inclinazioni fisiche, psicologiche, ma anche spirituali.
Sono inclinazioni naturali. Cioè: non sono frutto di ragionamento; non sono decisioni. Sono un patrimonio della nostra umanità; sono come sementi piantate fin dalla nascita nella nostra umanità.
Dobbiamo ora fare un passo avanti nella nostra riflessione. Uno degli esempi fatti era che abbiamo un’inclinazione naturale a vivere in una società giusta. Ma è inevitabile che ci chiediamo: quando una società è giusta? A questa domanda l’inclinazione naturale non sa più rispondere.
E’ il lavoro della nostra ragione che deve interpretare continuamente questa inclinazione. Mi spiego con un esempio, più semplice. Esiste – come abbiamo detto – l’inclinazione al cibo. Ora la nostra ragione ci dice: si mangia per vivere; non si vive per mangiare. La ragione inserisce una misura nella nostra inclinazione al cibo. Fate bene attenzione. Non è che la ragione di cui sto parlando dica: se mangi troppo, la tua salute può risentirne. Questo è il bene dell’organismo umano, cioè della persona in quanto vivente. La ragione di cui sto parlando intravede nell’inclinazione al cibo un bene che è il bene proprio della persona come tale: il bene della temperanza. L’intemperanza non fa male solo alla salute; l’intemperanza è contro la dignità della persona umana come tale. La nostra persona mediante la ragione è in grado di conoscere, di indicarci la giusta direzione del nostro libero agire.
I giudizi della ragione mediante i quali facciamo ordine nelle nostre inclinazioni, vi imprimiamo una misura, ed indichiamo alla nostra libertà la via perché compia atti che realizzino veramente la persona, sono chiamati leggi morali.
In breve. Che cosa sono le leggi morali? Sono giudizi della nostra ragione, in quanto regolamenta le nostre inclinazioni. Le leggi morali possono quindi essere chiamate anche leggi della ragione.
Considerate per un momento la grandezza della vostra persona. Essa è dotata di una sublime regalità, non avendo padroni esterni al suo io, come l’istinto. La vostra persona si governa autocraticamente: colla sua ragione scopre la via verso il bene e liberamente lo può realizzare.
Conoscete sicuramente la vicenda di Antigone. Il fratello Creonte, re di Tebe, aveva dato ordine, sotto pena di morte, di non seppellire Polinice, loro fratello, perché aveva tradito. A questo ordine Antigone disobbedisce, dicendo: "Io non credevo, poi, che i tuoi divieti fossero tanto forti da permettere ad un mortale di sovvertire le leggi non scritte, inalterabili…: quelle che non da oggi, non da ieri vivono, ma eterne….chi mi accusa di follia, forse è lui il folle" [Soficle, Antigone, Secondo Episodio]. Vedete la sublime regalità di Antigone nei confronti della tirannia del fratello? E non è un "potere" che si oppone ad un altro potere. E’ il potere dei "senza potere": il potere della ragione, cioè della verità del bene.
Restano da chiarire due punti, assai importanti.
Il primo. Non è che ciascuno debba cominciare tutto da solo e da capo. E’ nella comunità, all’interno dei legami significativi di appartenenza che ciascuno di noi diventa gradualmente un vero soggetto responsabile di se stesso ed entra nell’universo della verità circa il bene. Sono le figure fondamentali dell’esistenza: la paternità, la maternità, la figliazione a generare il soggetto.
Il secondo. La nostra ragione è comunque fragile, esposta all’errore anche grave. Ma il nostro Creatore ci è venuto incontro, indicandoci Lui stesso la via della vita. Egli ci ha detto Dieci Parole, che ci dicono come agire/come non agire se vogliamo vivere una vita vera e buona: i dieci Comandamenti.
Concludo questo punto con una citazione del Concilio Vaticano II. "La dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali e non per un cieco impulso interno e per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quanto, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene". [Cost. Past. Gaudium et spes 17; EV1/1370].
2. [Gesù, via alla vita]. Al giovane che chiese a Gesù: che cosa devo fare? Gesù risponde: osserva i comandamenti.
E’ ciò che ho cercato di spiegare nel numero precedente. Ma questo non basta, se volete realizzare in pienezza la vostra persona: vivere una vita vera, buona. Ed infatti Gesù dice al giovane: "se vuoi essere perfetto….vieni e seguimi".
Che cosa significa "seguire Gesù"? possiamo partire dalla immagine che ci viene suggerita dalla parola stessa "seguire". Esiste una persona di cui abbiamo fiducia, che ci precede. Noi seguiamo. Facciamo cioè la sua stessa strada. S. Giovanni nella sua prima lettera dice esattamente: camminare come Gesù ha camminato. Non usiamo anche noi l’espressione "il cammino della vita"? E Dante: "Nel mezzo del cammin di nostra vita".
Usciamo dall’immagine. Seguire Gesù significa vivere come Gesù ha vissuto. Sono sicuro che però sorge in voi una difficoltà: come faccio a vivere come è vissuto Gesù, io che vivo duemila anni dopo, in un contesto completamente diverso? La difficoltà è molto seria.
Seguire Gesù non significa vivere esattamente come Lui. Significa conoscerlo così intimamente, da assimilare il suo modo di pensare; il suo modo di valutare cose e persone; il suo modo di amare. Tu vivi come Gesù, perché nella tua condizione pensi, valuti, ami come Gesù avrebbe fatto, se avesse vissuto la tua vita.
Quando Gesù fa il primo annuncio chiaro della sua passione, Pietro reagisce in modo violento. Egli non pensava ancora come Gesù. Anche se fisicamente lo seguiva, però in realtà non lo seguiva.
Voi capite che questa assimilazione a Cristo non è opera di un giorno, ma di una vita.
Ma è opera nostra, cioè della nostra libertà? Principalmente no. E’ Gesù stesso che, se non ci opponiamo, ci assimila a sé. In due modi fondamentali.
Il primo modo è il sacramento dell’Eucarestia. E’ stato S. Agostino a fare per primo la seguente annotazione: tu non assimili il cibo eucaristico che mangi, ma è il cibo eucaristico – cioè Gesù – che ti assimila a se stesso. E’ un metabolismo all’inverso. Agostino aveva cominciato ad intravedere come da lontano la bellezza della vita cristiana, ma sentiva tutte le difficoltà. Sentite cosa scrive: "Hai percosso il mio occhio ammalato, colpendomi con veemenza con i tuoi raggi, e io ho tremato di amore e di terrore. E mi scoprii lontano da Te, esule in una regione della diversità, e mi sembrava di udire la tua voce dall’alto che diceva: Io sono il cibo degli adulti, cresci e ti nutrirai di me. Tu però non mi trasformerai in Te come cibo della tua carne, ma sarai tu che ti trasformerai in Me". [Confessioni VII 10, 16].
Ma questo non è tutto. Gesù ci dona lo Spirito Santo che ci guida colla sua luce e le sue spinte o mozioni ad essere sempre più simili a Gesù. S. Paolo arriverà a dire: "non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me".
Possiamo concludere. La nostra coscienza, vero occhio interiore che ci guida verso la realizzazione della nostra persona, è illuminata da una duplice luce: la luce della ragione, la luce di Gesù ["Io sono la luce, chi segue me, non cammina nelle tenebre"] che arriva in noi mediante la finestra della fede.

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