lunedì 16 dicembre 2013

Spolverare i Novissimi

da Libertà e Persona
8° appuntamento settimanale con i contributi spirituali del Monastero di S.Benedetto di Norcia. Autore Fr. Cassian Folsom – Data liturgica: Dominica XXIV et ultima post pentecoste – Letture: Col 1, 9-14 & Mt 24, 13-25

Nell’anno 169 ante Cristo, il re greco, di nome Antioco Epifane – la Palestina faceva parte del suo dominio in quell’epoca: “entrò con arroganza nel Tempio e ne asportò l’altare d’oro e il candelabro dei lumi con tutti i suoi arredi e la tavola dell’offerta e i vasi per le libazioni, le coppe e gli incensieri d’oro, il velo, le corone e i fregi d’oro della facciata del tempio e la sguarnì tutto; si impadronì dell’argento e dell’oro e d’ogni oggetto pregiato e asportò i testori nascosti che riuscì a trovare…Fece anche  molte stragi e parlò con grande arroganza”(1 Mac 1,21-24).
Non solo, ma due anni dopo, il re innalzò sull’altare l’abominio della desolazione (1 Mac 1,54) di cui parla il profeta Daniele – una statua del dio greco Zeus, conosciuto a Roma come Giove – un sacrilegio così arrogante da provocare la più severa punizione divina.  Scatenava, poi, una grande persecuzione dei Giudei.
Gesù parla di una ripetizione del sacrilegio e invita i suoi ascoltatori a comprendere il senso più profondo della profezia.  Infatti, nell’anno 70 dopo Cristo, la città di Gerusalemme fu completamente distrutta dai Romani, i palazzi incendiati, il tempio raso al suolo, la terra seminata con sale; uomini, donne e bambini furono uccisi di spada; il loro sangue sparso come acqua intorno a Gerusalemme e nessuno li seppelliva.  Gesù, profetizzando la calamità disse: Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta (Lc 21,6).   Era un periodo molto buio, caratterizzato da guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie, pestilenze, persecuzioni, fatti terrificanti e segni grandi dal cielo: sembrava la fine del mondo.
Anche oggi, disastri naturali, guerre in ogni angolo del mondo, brutte notizie che vengono da tutte le parte e subito divulgate dai mass media – tutte queste cose ci fanno pensare alla fine del mondo.  Ed è giusto che ci riflettiamo sopra.  Anche se la fine del mondo non venisse subito, infatti, la fine del nostro mondo personale verrà sicuramente con la nostra morte.  Quindi è utile riflettere – almeno una volta all’anno – sui “novissimi”: la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso.  Che cosa dice la liturgia odierna dei novissimi?
Che cosa dice della morte, ad esempio?  Il versetto del Vangelo che abbiamo appena ascoltato è tratto dall’inizio del salmo “De Profundis”:  Dal profondo a te grido, o Signore, Signore ascolta la mia voce (Sal 129,1-2).  Questo stesso testo sarà ripreso dal canto del Offertorio.  E’ un brano che viene usato spesso nella liturgia funebre e nella preghiera per i morti.  De Profundis – dal profondo della morte, a te grido o Signore!  La morte viene per ogni uomo, e nessuno può fuggire.
Per quanto riguarda il giudizio, il Vangelo di oggi lo descrive in termini apocalittici: allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra  le nubi del cielo con grande potenza e gloria (Mt 24,30).  E professiamo nel Credo: “Et iterum venturus est cum gloria iudicare vivos et mortuos” – di nuovo  verrà nella gloria, per giudicare i vivi e i morti.  San Giovanni l’Evangelista spiega la cosa meglio, dicendo: Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene, per una risurrezione di vita e quanti fecere il male, per una risurrezione di condanna (Gv 5:28-29).
La condanna ci porta all’inferno.  La più famosa descrizione dell’inferno è sicuramente quella di Dante.  L’epistola di oggi, invece, menziona soltanto il potere delle tenebre: Dio Padre ci ha liberati dal potere delle tenebre.  Il Canone Romano prega: “salvaci dalla dannazione eterna” mentre il Catechesimo della Chiesa Cattolica definisce l’inferno così:
Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta.  Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola ‘inferno’” (CCC 1033).
Il Paradiso, invece, è il luogo di beatitudine, di luce e di pace (Canone Romano).  L’Epistola di oggi parla della partecipazione alla sorte dei santi nella luce (Col 1,12).  Il rito della Comunione, poi, nel Novus Ordo, ci invita al banchetto nuziale dell’Agnello: Beati qui ad cenam agni vocati sunt – una bellissima immagine del Paradiso.
I novissimi – la morte, il giudizio, l’inferno, il paradiso.  Sarebbe utile spolverare questi temi, e ri-proporli come elementi importanti per la vita spirituale.  Facciamo un esame di coscienza.
1. La morte, ad esempio.  Penso mai alla morte?  Ho forse paura di pensare alla morte?  Forse nego la realtà della morte?  Sono veramente preparato alla mia morte?
2. Il Giudizio: La mia anima è preparata a comparire davanti al tribunale di Cristo?  O forse la mia coscienza mi rimprovera per qualche cosa?  Forse ho bisogno di perdonare?  Di essere reconciliato?  Di fare riparazione?  Mi sono confessato recentemente?  Sono in stato di grazia?
3. L’inferno: Ho un timore salutare dell’inferno?  Sono consapevole del significato dell’inferno – cioè di essere separato da Dio, separato dagli altri, isolato, cacciato fuori nelle tenebre?
4. Il purgatorio:  Capisco la dottrina consolatrice del purgatorio – cioè, se muoio macchiato da peccati veniali, il Signore mi purificherà, come argento raffinato nel crogiolo, purificato nel fuoco sette volte?  Poiché sono i puri di cuore che vedranno Dio.
5. Il Paradiso: Ho un grande desiderio per il Paradiso?  Un desiderio di stare con il Signore, per contemplare il suo volto, di godere della sua presenza?
Tutte queste considerazioni sono cose serie.  La Chiesa ci offre una visione realistica, anzi, un realismo che rinfranca il cuore.  Dovremmo avere un timore salutare quando riflettiamo sui i novissimi.  Ma dovremmo avere anche una speranza piena di gioia, un desiderio, una brama.  Come afferma il Credo, che canteremo adesso: expecto resurrectionem mortuorum, et vitam venturi saeculi.  Amen.
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