martedì 10 febbraio 2015

L'ORAZIONE MEDITATA~Approfondimento



Testo trascritto da alcuni approfondimenti seguiti alla meditazione
- P. Roberto Fornara -

1° APPROFONDIMENTO:
Ancora alcune cose complementari che sono importanti. Sia che parliamo di adorazione eucaristica sia che parliamo di lectio divina sia che parliamo di orazione mentale, la finalità è Lui, tanto è vero che alcuni autori spirituali usano per designare l'ultimo gradino di questo cammino di preghiera proprio il brano preso dalla Lettera ai Galati dove San Paolo dice "non sono più io che vivo,. ma è Cristo che vive in me", che significa "questo cammino mi ha portato a lasciarmi abitare da Cristo". Non faccio orazione o lectio divina per un gusto personale, per imparare qualcosa per curiosità spirituale o per gratificazione alla mia sensibilità spirituale. In questo San Giovanni della Croce è molto chiaro, lo faccio per identificarmi con Cristo, perchè l'orazione carmelitana non è altra cosa rispetto alla vocazione cristiana, alla vita battesimale, è una delle modalità principali, più importanti per vivere il battesimo e lasciarmi incorporare da Cristo, lasciare che la mia dimensione filiale, il mio essere frutto di un dono, il mio essere ascolto, obbedienza, diventi verità, in modo che se ho davvero vissuto il mio cammino di orazione non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. Cristo che è l'amore, come abbiamo visto nell'orazione teresiana, e il segno più forte, più vero dell'amore di Cristo per noi è il segno della croce, è il mistero pasquale nella sua totalità. E' il Cristo morto e risorto che mi dà la garanzia, la certezza, la fede di dire "sono amato così come sono". E' questo il segno, la certezza del suo amore per noi, perchè mentre eravamo ancora peccatori mio Padre ha mandato Suo Figlio, l'ha lasciato morire sulla croce come un malfattore, disprezzato da tutti. Questa crocifissione sul monte e resurrezione di Cristo è segno più lampante dell'amore di Dio per noi, "l'ora della gloria" come lo chiama il vangelo di Giovanni. Gloria intesa non come onore, come palma, ma in senso biblico cioè la possibilità di fare un'esperienza, qualcosa di pesante, un qualcosa che segni, che tocchi con mano, un qualcosa di cui non puoi negare l'evidenza. L'ora della gloria per Giovanni è proprio l'ora della croce di cristo, perchè è l'ora in cui possiamo toccare con mano che siamo amati così come siamo, non c'è nessun altra pagina della storia della salvezza che ci dica quanto siamo amati, quanto è grande l'amore di Dio per noi, perchè "Non c'è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Ora, venendo alla frase di San Giovanni della Croce, ci sono alcune evidenze che ci riportano in questa verità, ma ci sono anche alcune ambiguità che normalmente passiamo sotto silenzio, che rischiamo di fraintendere. Credo sia importante andare a quello che San Giovanni della Croce ha scritto realmente nel testo spagnolo, per non sbagliare a interpretare. E' vero che questa frase ci riporta al Giudizio Universale, però è anche vero che non è l'unica, la prima che il santo ci dà con il suo pensiero. Noi citiamo liberamente, molte volte, questa frase "Alla fine della vita sarai esaminato sull'amore". Prima di tutto, san Giovanni della Croce non dice "alla sera della vita", ma "alla sera", che può essere ogni sera, è più una frase sull'esame di coscienza quotidiana, che un esame alla fine della vita. Naturalmente comprende anche quell'esame di coscienza finale, del termine dell'esistenza, ma san Giovanni della Croce è molto più concreto, molto più quotidiano: "ad ogni sera" . Ogni sera puoi e devi lasciarti esaminare su quanto hai sulla qualità del tuo amore, quindi fa riferimento alla quotidianità, all'esperienza del cammino di orazione nell'arco della giornata. Il vero problema di chi fa orazione è comprendere di avere una personalità, di vivere una giornata unificata dall'amore, non tanto pregare bene il momento della preghiera, ma fare in modo che questo cammino della preghiera c'entri, mi faccia approfondire la vocazione, e a unificare tutto quello che sono, e che faccio, nell'amore, ad ogni sera. Si deve partire da qui, il comandamento principale è l'amore di Dio e l'amore del prossimo: questo è il centro, il cuore della mia vocazione, qualsiasi vocazione sia, qualsiasi stato di vita abbia scelto di seguire nel cuore della Chiesa. Teresina direbbe: "Nel cuore della Chiesa, Mia Madre, io sarò l'amore". Questo significa la frase di san Giovanni della Croce! Giovanni della Croce non dice "Sarai esaminato" ma "ti esamineranno, ti sottoporranno ad esame". Non dice neppure "Dio ti esaminerà" nel Giudizio Universale o alla sera della giornata, ma in modo impersonale qualcuno ti esaminerà. Il soggetto rimane vago e indistinto: può essere chiunque, cioè ogni incontro che fai, ogni attività che svolgi, ogni azione della tua giornata, può diventare un esame, chiunque ti può esaminare sull'amore. Ogni circostanza della tua giornata può diventare un'occasione per amare. Questo vuol dire che niente diventa meno importante nella giornata del carmelitano, della carmelitana: Teresa direbbe "incontri Dio al bucato come all'orazione o anche tra le pentole". Tutto diventa importante perchè tutto diventa scuola di amore, tutto diventa occasione di imparare ad amare, di esame d'amore. Da qui "ti esamineranno sull'amore", con questo soggetto indistinto: chiunque incontri diventa tuo giudice, tuo esaminatore, è anche la tua possibilità concreta di imparare ad amare. Da questo punto di vista ricordo quell'espressione molto vera di quel documento sulla vita fraterna in comunità che diceva "Molte volte noi religiosi entriamo in convento con l'idea che la comunità sia il palcoscenico su cui dimostriamo quanto sappiamo amare, invece poi l'esperienza ci porta a renderci conto che la comunità non è luogo in cui noi dimostriamo quanto siamo capaci si amare, ma è la "scuola" dove impariamo ad amare, quindi ogni avvenimento, ogni persona, ogni relazione, ogni incontro diventa una scuola di amore, oltre che un esame”. San Giovanni della Croce dice "alla sera ti esamineranno nell'amore" e si può intendere in due modi: come soggetto dell'esame quella "sera" sarai esaminato sull'amore, riguardo a quanto hai amato, ma può anche intendersi come ambiente in cui sei sottoposto all'esame, sarai esaminato in un atteggiamento di amore, cioè avrà la prevalenza nell'esame d'inizio, la misericordia, l'amore sulla giustizia, come dice il vangelo. Quindi è una frase molto ricca, molto quotidiana, molto concreta che non dice semplicemente la priorità dell'amore nel Giudizio Universale, ma dice la quotidianità e il valore di tanti gesti, di tanti incontri che noi consideriamo semplici, inutili, banali, a volte scontati e che invece sono il vero criterio e la vera chiave di discernimento, di verifica della nostra orazione mentale.

2° APPROFONDIMENTO:
In seguito a una domanda che mi è stata fatta (se sia esatto dire che la vera preghiera è quella che scaturisce dalla disperazione..), direi che promulgata in questi termini lascia un pò l'amaro in bocca, sembra quasi che si debba giungere la soglia della disperazione, sembra quasi che l'ultima parola sia quella della disperazione. Forse è un pò esagerata come affermazione, però contiene una verità profonda, secondo me, che possiamo leggere in tante esperienze di Teresa, e soprattutto in tanti oranti biblici, pensate al libro di Giobbe, pensate alle confessioni di Geremia, pensate alle Lamentazioni, pensate a tanti Salmi, a tante imprecazioni, a tante suppliche. La vera preghiera è quando...?!? Io preferisco parlare piuttosto che di disperazione, di verità, è quando la verità e la carne viva lasciano parlare il cuore, quando lasciano partire questa supplica a Dio ("Dal profondo a Te grido, o Signore..). Questa profondità è la preghiera, la profondità dell'abisso, la profondità dell'umiltà, della creaturalità di fronte al Creatore, la profondità di ciò che Teresa chiama "questo vermiciattolo, questo essere inutile, piccolo di fronte alla maestà del creatore", la profondità della sofferenza, la profondità del non -senso. Diciamo pure che nella logica di Dio -dal momento che le Sue vie non sono le nostre vie e i suoi pensieri non sono i nostri pensieri- per pregare veramente a volte occorre toccare il fondo. Da questo profondo, da questa notte sale la preghiera più vera, più autentica. Vi dico due esempi per dire la verità di questa affermazione: 1° esempio, dal libro di Samuele, dalla preghiera di Anna al tempio nei confronti di Dio. Sapete che Anna vive proprio questa esperienza di disperazione, perchè è soggetta a continue vessazioni, umiliazioni, e non ne può più e decide di chiedere aiuto a Dio, ma è una forma esperienziale, esistenziale di profondità, di disperazione quasi. La bibbia ebraica usa un'espressione molto bella per esprimere questa preghiera di Anna: Dice "Anna si recò nel tempio e svuotò il suo animo davanti al Volto di Dio". L'immagine è proprio quella di un secchio, un recipiente che viene rovesciato, capovolto, svuotato fino in fondo , fino all'ultima goccia, non tiene più niente per se stessa, ma non si commisera, non piange su se stessa, non si dispera, ma svuota tutto, grida la sua verità, invoca l'aiuto di Dio. E' un grido la preghiera, è una lotta, un combattimento, non è un'esperienza pacifica e pacificante, il più delle volte. Svuota la sua vita davanti al volto di Dio. Ecco perchè non è disperazione: perchè la disperazione è SOLITUDINE, è bandiera bianca issata davanti all'esperienza della sofferenza, del non-senso, della solitudine, del distacco e così via.. Invece è una specie di disperazione, ma davanti al Volto di Dio, è notte ma ricerca della luce..E' gridare la propria rabbia, la propria angoscia, la propria fatica, ma è ricerca della relazione, anche se questo volto il più delle volte non lo vedi. Santa Teresa dice "In questo momento vedo il muro, non vedo la relazione. credo perchè VOGLIO credere". La preghiera è questa lotta che non si rassegna, che grida la propria impotenza, ma che anche se non lo vede, sa che c'è un volto di Padre che può darmi la forza. Ecco, questa è l'esperienza a cui arriva molte volte la preghiera, per essere vera. La seconda immagine che mi viene in mente è "non nella bibbia, ma a Rebibbia..". L'esperienza di tante persone, ho davanti a gli occhi tanti volti di persone che hanno fatto l'esperienza di toccare il fondo, di sprofondare, toccare il fondo a tutti i livelli: spirituale, umano, economico, immorale, e così via. Eppure per tanti questo toccare il fondo è stato, almeno inizialmente, dal punto di vista umano, antropologico, la svolta, cioè un rimbalzare per ripartire. San Giovanni della Croce lo dice senza mezzi termini quando dice "la necessità e la fecondità della notte oscura nel cammino spirituale" . Dio si serve pedagogicamente della notte oscura per farci arrivare alla luce. Dio si serve della sofferenza, della fatica, del farci toccare con mano la nostra povertà, il nostro peccato, la nostra fragilità per farsi incontrare da noi. L'esperienza di questi volti che ho davanti agli occhi nel carcere romano di Rebibbia, è l'esperienza di persone che hanno toccato il fondo e proprio per questo non hanno più tante giustificazioni, tante maschere, tante ipocrisie, persone che non hanno paura di dirti "Padre, io sono quello che sono, ho toccato il fondo per questo e quel motivo, me ne pento e questo mi ha portato a questa situazione, a queste condizioni". Ci sono persone che hanno ucciso la moglie, ci sono serial Killer, persone che hanno compiuto a volte i delitti più efferati e che non hanno paura (anche se ci sono le eccezioni..) di chiamare le cose con il loro nome, di dire che cosa hanno fatto e poi gridano dal profondo "Aiutami!", lo gridano al sacerdote e poi a Dio nella preghiera e dicono il loro bisogno di qualcuno che li salvi. A volte dicono "Voglio incontrare la Misericordia di Dio". Sono persone che in un certo senso sono avvantaggiate nell'incontro con la grazia, la Misericordia. Molte volte ,per dire francamente, mi è venuta in mente la frase di Gesù nel vangelo "I peccatori, le prostitute, i pubblicani vi passeranno avanti nel Regno dei Cieli". Non perchè siano migliori di me, magari lo sono anche, ma non perchè meritano di più, ma perchè hanno toccato il fondo e quindi hanno meno barriere per raggiungere la grazia e la Misericordia. Io nella mia giustizia, nel mio merito, nel mio mettermi al centro ho più barriere di difesa, ho più ostacoli per riconoscere Gesù quando passa sul mio cammino. Loro mi passeranno avanti proprio perchè gridano dal profondo, penso che la loro preghiera sia più vera della mia, per certi versi, molte volte l'ho sperimentato. Vi farei leggere certe lettere che sono in un certo senso mistiche, persone che hanno ucciso, perchè dobbiamo capire che la grazia può lavorare comunque, può insinuarsi in molte pieghe dell'animo umano, in tanti settori che noi diamo per perduti, mentre il Signore è venuto per salvare ciò che era perduto: il medico cerca i malati e non i sani. Allora la nostra preghiera, come ci accenna Teresa nella dimensione della scoperta della propria povertà "La nostra preghiera o è una preghiera di malati o non ci fa incontrare il Gesù del vangelo”, La nostra preghiera da sani non è quella che stabilisce la relazione fino in fondo, non ci fa incontrare il vero volto di Dio. Se io vado davanti al Tabernacolo per mettermi in mostra davanti a Gesù, sono il fariseo che va al tempio. Mentre il pubblicano si mette in fondo, non ha il coraggio di mettersi davanti, il fariseo si mette in piedi e dice a Gesù cosa fa, quante preghiere dice, quanti digiuni fa. Il pubblicano invece dice "Signore, abbi pietà di me che sono un peccatore". Il pubblicano parte dalla propria povertà e si lascia abbracciare dalla misericordia, si lascia prendere per mano, per le braccia e si lascia sollevare da questa misericordia. Allora la mia preghiera non è fonte della disperazione nel senso così forte, ma è l'esperienza dell'uomo che grida nella sua profonda umanità ferita, umiliata, sofferente, e scopre il volto di un Dio che lo ama o che perlomeno anche se ancora non lo vede, ma lo intravede soltanto, crede che lassù qualcuno lo ama e lancia questo grido dal profondo.

3° APPROFONDIMENTO:
L'orazione mi cambia! Ricordate Teresa che dice "Soprattutto se non trovate in voi la forza, la capacità di amarlo come vorreste, datevi all'orazione, seguite con determinazione il cammino dell'orazione e il camminare vi fa intravvedere un rapporto di amicizia con chi è tanto diverso da voi e vi accorgerete che vi cambia, vi trasforma, vi dà la forza di fare quello che prima non avevate il coraggio di fare". Spesse volte penso alla nostra esperienza quotidiana del cammino di orazione, molte volte ci vediamo trasformati senza sapere come, ci vediamo cambiati, scopriamo con stupore che alcune cose del nostro atteggiamento, del nostro fare, cose interne a noi sono cambiate senza che noi ce ne accorgessimo. Questa è la grazia che è in noi, è il frutto dell'orazione. Per usare una parola più evangelica, parliamo di questa trasformazione come di una trasfigurazione: il volto di Cristo in noi, la persona di Cristo in noi, Cristo che sta prendendo possesso di noi. Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. E' l'immersione nel mistero pasquale di Cristo, nella totalità dell'umanità di Cristo, è il lasciaci abitare da colui che già ci abita, è lasciarci trasformare, trasfigurare nella persona di Cristo, Molte volte questo cambiamento, questa conversione, è più una trasformazione in Lui che una conversione di tipo morale. Ce ne accorgiamo: un Padre carmelitano della Provincia Veneta, mancato a 50 anni negli anni 80, dopo lunga malattia scriveva in una delle sue ultime lettere alla Priora del Monastero della Provincia: " A me sono stati dati molti doni, tra i doni più grandi che ho avuto c'è stato quello di abitare e condividere per molti anni la Terra di Gesù, di studiare e parlare la sua lingua, di approfondire la Sacra Scrittura, la Parola di Dio. Quello che mi mancava era l'identificazione con la sua croce, ma in questi ultimi anni mi è stato dato anche questo dono.". Con la croce, esperienza di molti santi, di molti mistici, la trasfigurazione è completa, perchè il cammino di orazione ortodossa, orientale è presentato come azione dello Spirito Santo, iconografo, che deve scrivere la grande icona, che è l'icona del Volto di Cristo in ciascuno. Elisabetta della Trinità ha attinto molto a questa simbologia, a questa dottrina della spiritualità orientale. Lo Spirito Santo che dà ogni volta, in ogni giornata, in ogni momento della nostra vita, una pennellata che ci configura sempre più all'immagine di Cristo, che dipinge sempre di più il Volto di Cristo in noi. Il cammino della croce è una di queste fasi, di queste ultime fasi della trasformazione, della trasfigurazione, che è già purificazione, perchè ci fa sperimentare la fecondità della croce, che NON è disperazione, che non è solitudine, ma che è il dono dell'amore che si consegna e in questo dono d'amore gratuito, libero, responsabile, divino, è la salvezza per tutta l'umanità.

4° APPROFONDIMENTO:
Sul “dilemma” dell'equilibrio della preghiera, ovvero se la preghiera per gli altri sia mancanza di umiltà, e se pregare tanto per sé e poco per gli altri contenga un difetto di carità, parto dal presupposto che ogni un'esperienza che ciascuno fa è base di partenza e condizione per la presenza di Dio nella nostra vita concreta. La parola equilibrio forse non è stata ancora usata, ma è una parola importante nel linguaggio carmelitano: penso ad alcuni vocaboli, ad alcuni termini usati dai nostri santi e nella nostra Regola carmelitana: la parola "discrezione", moderatrice di tutte le virtù, che significa buon senso, moderazione, non esagerare con le penitenze, con le ascesi, non esagerare con la sensibilità, ma che deriva etimologicamente dal verbo "discernere", dalla parola DISCERNIMENTO e quindi l'equilibrio è soprattutto una discrezione soprattutto nell'accogliere quella che è la Parola di Dio per me oggi, nella mia giornata, in questo contesto. L'orazione non è un correre dietro a un mio progetto, correre dietro alla mia sensibilità, ma è accogliere una presenza dalla quale mi sento guidato e scopro che nelle contraddizioni della mia umanità c'è un filo d'oro che è il filo d'oro della Provvidenza che lega tutti gli incontri, tutte le situazioni, tutte le persone, che mi porta a scoprire un disegno d'amore su di me. Allora l'equilibrio è soprattutto l'equilibrio di questo discernimento, questo scoprire il senso della presenza. E' una parola legata anche a Teresa: discrezione, equilibrio; pensate a tanti consigli pedagogici dati nel Cammino di Perfezione alle sue monache, date contro qualsiasi forma di picchi nell'esaltazione della vita spirituale, nell'intensità di certe forme espressive, nell'intensità di certe espressioni troppo sensibili, di certi entusiasmi che sono fuochi di paglia, passeggeri. Invece è nella quotidianità, nella ripetitività del gesto, nella quotidianità della preghiera che si misura l'equilibrio dell'orante. Non bisogna avere paura nè di pregare per sè nè di pregare per gli altri, non bisogna esaminarsi troppo, perchè la preghiera teresiana non è per nulla introspezione, autoanalisi, è RELAZIONE. Non è un esercizio che io faccio, ma è prima di tutto incontro, e quando tu incontri un amico, uno sposo, un fratello, gli parli a cuore libero, soprattutto ascolti quello che lui ha da dire a te. Condividi la tua esperienza e la sua esperienza. Potremmo dire che è l'incontro delle due umanità: l'umanità di Cristo con la nostra umanità. L'orazione è questa libertà dell'incontro, questa totalità dell'incontro a 360°: Gesù ha pregato per tutti i suoi discepoli, ha pregato per gli altri, ha pregato per i suoi uccisori, per coloro che gli facevano del male, ma ha insegnato anche una preghiera di domanda, ha anche insegnato a pregare per sè stessi. Dunque la preghiera deve essere questa libertà: non ha senso esaminarsi troppo da questo punto di vista o ritenersi poco umile se si prega per se stessi o per gli altri, perchè santa Teresa dice che molte tentazioni possono insinuarsi soprattutto sotto forma di falsa umiltà. Abilissima la tentazione di manifestarsi sotto forma di bene, non di male, perchè il male si conosce apertamente e allora difficilmente si dice di sì coscientemente al male che si riconosce come male, ma il male trasformato da bene, travestito da bene, questo può ingannare molto più facilmente. Allora Teresa stessa tralascia molte volte l'orazione per molto tempo, sotto una finta esigenza di umiltà: "Siccome mi scopro così povera, così peccatrice, non sono degna di andare incontro a Lui, a Gesù". L'umiltà è camminare nella verità e allora devo dire "Siccome sono così povera, ho bisogno di quell'incontro, ho bisogno di lasciarmi salvare, di lasciarmi toccare nella parte malata, ho bisogno di lasciarmi salvare, perdonare, guarire". Incontro tra la misericordia e la miseria, torniamo sempre alla miseria nell'orazione che non è disperazione, ma possibilità per la salvezza, è condizione quasi privilegiata per sperimentare la salvezza, come dicevo quando parlavo di

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