martedì 10 febbraio 2015

L'ORAZIONE MEDITATA ( P. Roberto Fornara) Prima parte

L'ORAZIONE MEDITATA (P. Roberto Fornara) 1° parte
Formazione OCDS 2015
24 gennaio 2015 – SAVONA *


E' indispensabile poter sperimentare cos'è l'incontro con Dio, che cos'è l'amicizia con Gesù, che cos'è la meditazione di un brano del vangelo. E' l'esperienza come primo livello fondamentale , ma c'è un secondo livello -come scrive Teresa nel Libro della Vita- che è il dono interiore di poter comprendere cos'è l'esperienza. Possiamo vivere molte grazie nell'orazione, possiamo vivere molte esperienze di Dio, ma non renderci conto, non percepire cosa sia quest'esperienza, o non comprendere il senso di quello che viviamo. Teresa scrive il Libro della Vita negli anni della maturità, negli anni sessanta del sedicesimo secolo. Sono gli anni nei quali racconta non solo l'esperienza dell'infanzia e della giovinezza, dell'età matura, ma rimedita su quell'esperienza, la comprende alla luce dell'esperienza successiva, alla luce del cammino interiore che ha fatto. E allora vive la grazia di "comprendere" quell'esperienza, ovvero vive il secondo livello, dove Dio dà il dono di vivere l'esperienza ma dà anche la capacità di comprendere ciò che vive, che cos'è quel dono, per azione dello Spirito Santo. C'è poi un terzo livello, un terzo carisma, una terza grazia che Dio dà a Teresa in questo stesso passo della "Vita", ed è la grazia di raccontare, di comunicare e di testimoniare il dono dell'esperienza. Ci sono professori che sanno tantissime cose, nelle università sono dei geni, ma non hanno il carisma di comunicare quello che hanno studiato, quello che hanno partecipato. Ci sono altri che sanno pochissimo ma che hanno un dono di comunicare, quindi fanno apparire dieci volte di più di quello che sanno in realtà. Quando c'è la sapienza e anche il dono di comunicare, allora si và a nozze.. Parlando sempre dell'esperienza spirituale di cui parla Teresa, quando c'è sia la grazia dell'esperienza, cioè il vivere un incontro, sia la grazia di rendersi conto, di capire in che cosa consiste la grazia di quell'incontro, sia la capacità e la semplicità di comunicare quell'esperienza, allora c'è la pienezza del dono, c'è la pienezza dell'orazione come esperienza da comunicare. Un bel libretto che tratta questo argomento è "L'esperienza di Dio in Teresa di Gesù e Giovanni della Croce". L'esperienza di Dio non è un'idea di Dio, ma è un incontro, il toccare con mano e capire che questo incontro guida, orienta, genera tutta la mia vita spirituale e un pò tutta la mia vita. L'orazione è vita e la vita è orazione. Ma in questo primo incontro sull'orazione vorrei non parlare dell'orazione. Il TITOLO che ho dato a questa prima meditazione è "La preghiera prima della preghiera, la preghiera al di fuori della preghiera" perchè quando leggiamo Teresa ci rendiamo conto che scardina alcuni nostri luoghi comuni di pensare. Quando noi pensiamo "devo fare un'ora di preghiera, devo insegnare a pregare" siamo normalmente attenti a percepire soprattutto i contenuti della preghiera o il metodo della preghiera. Sfogliate le centinaia o migliaia di pagine delle opere di Teresa e chiedetevi quanto parla Teresa del contenuto dell'orazione, constaterete che ci sono pochissime pagine, oppure chiedetevi quanto parla Teresa delle 2 ore di orazione mentale quotidiana: pochissimo! E dall'altro verso: quanto parla della giornata di chi prega, quanto parla delle difficoltà di chi prega, quanto parla delle virtù, della preparazione di chi si avvicina alla preghiera. Tantissimo. La pedagogia della preghiera in Teresa riguarda non il contenuto e il metodo dell'orazione, ma riguarda la persona dell'orante. Diciamolo con il paragone e un'immagine che esula dalla spiritualità teresiana ma ci aiuta a capire di che cosa stiamo parlando. Nella spiritualità monastica del Medio Evo, nel cammino fondamentale di preghiera c'era quella che oggi chiamiamo la "lectio divina", a partire dalla Parola di Dio. Pensiamo all'immagine del profeta Elia sul Monte Oreb che sperimenta l'esperienza, la violenza e la potenza del fuoco, del terremoto, del vento impetuoso e per tre volte il narratore biblico dice "Il Signore NON era nel vento, NON era nel fuoco, NON era nel terremoto. Gli autori spirituali medioevali, a proposito del cammino di preghiera dicevano "Non in commotione Dominus", cioè interpretavano quelle tre esperienze non come fenomeni metereologici, atmosferici, naturali, ma come esperienza interiore di Elia. Il terremoto era uno scossone interiore, un turbamento interiore, il fuoco la passione disordinata che covava nel cuore di Elia. Ricordate che Elia in quel momento ha appena vinto i 450 profeti di Baal, dimostrando di essere un campione eccezionale perchè li ha ammazzati tutti dal primo all'ultimo, senza l'aiuto di nessuno e ora è in fuga, solitario, desideroso di morire, ma pauroso di fronte alle minacce di morte ed è uno che ha sperimentato il terremoto, il fuoco, il vento impetuoso dell'orgoglio, un pò di auto-considerazione ci sarà certamente stata, un minimo di superbia. Ma sperimenta anche la solitudine, la paura, la fuga, l'incapacità di vivere la propria responsabilità, allora sono viste anche palpitazioni interiori che si muovono nel cuore di Elia: vento impetuoso, terremoto, fuoco e in nessuna delle tre c'è il Signore, cioè il Signore non abita dove c'è un turbamento interiore, dove c'è uno scossone che rischia di impedire la serenità del cuore, la pace del cuore, l'equilibrio delle passioni e dei sensi. Invece il Signore si manifesta lungo la via nella voce di un silenzio sottile, ed Elia deve imparare ad ascoltare Dio anche attraverso la voce del silenzio, perchè è nel SILENZIO, in quel silenzio, che si manifesta la Parola di Dio. Dio parla di più a volte attraverso il silenzio che attraverso la parola, Dio parla di più attraverso la notte oscura -come ci dice Giovanni della Croce- che attraverso la luce del giorno, Dio parla di più attraverso la croce del Figlio che attraverso le vittorie di Elia. Dio parla attraverso la voce di un silenzio sottile. Allora il cammino della preghiera, come quello dell'orante, in che cosa consiste? In un cammino di purificazione, in un cammino di spogliamento interiore. Giovanni della Croce insegna molto da questo punto di vista, e consiste in un cammino di crescita, di cambiamento, di conversione della persona dell'orante. Certo serve il metodo, ma serve di più che io diventi preghiera, come dicevano gli autori medioevali.. Serve di più, come nel primo gradino della lectio divina, piuttosto che scendere nei particolari del testo biblico, scendere nella purificazione del cuore, guarire dalle passioni disordinate, spegnerle ad una ad una, lasciare che lo Spirito spenga il vento impetuoso, il terremoto, il fuoco, perchè in nessuno di questi turbamenti interiori abita il Signore. Tornando a Teresa, e alla questione della preghiera, prima di tutto la preghiera è fatta anche dai "modi" della preghiera, cioè della preghiera prima della preghiera. Che cosa devo fare per poi pregare? C'è da questo punto di vista, l'esperienza di Teresa di Gesù Bambino, che dice in uno dei tanti racconti della sua esperienza "Io faccio molte domande al Signore prima dell'orazione, chiedo molte cose a Lui nella preghiera e Dio molte volte mi risponde, ma il più delle volte non mi risponde in tempo reale, nel dialogo dell'orazione botta e risposta..". Non è un dialogo esplicito in cui Teresa parla, chiede e Dio in quel momento le risponde. Come ci dice Teresina, il più delle volte Dio risponde oltre le 24 ore, cioè nel corso della giornata, magari in una lettura, in una parola ascoltata, in un avvenimento, nelle cose che vanno per un certo verso piuttosto che in un altro, nel fatto che Dio scombussoli i miei piani, i miei programmi.. Qual'è la risposta di Dio? Allora per essere un orante, sintonizzato sul modo di agire, di parlare di Dio, io devo essere un orante davanti al S.S. ma devo esserlo anche nel momento del lavoro, nella relazione fraterna, nel modo di accogliere e di accettare di vivere la sofferenza, devo essere un orante anche nel modo di vivere la gioia, nel modo di incarnare, di rispettare in maniera responsabile la vita. E' questo l'orante, "la preghiera al di fuori della preghiera": Devo prepararmi, dispormi con le mie facoltà a pregare e devo vivere tutta la mia giornata, tutta la mia vita come frutto della mia preghiera, come verifica, discernimento della verità del mio incontro con Dio. Questo è di una banalità e ovvietà evidente. Pensiamo alla 1° Lettera di Giovanni che dice "Come possiamo dire di amare Dio che non vediamo, se non amiamo il fratello che vediamo?". E' questo amore fraterno, è questo incontrare l'esperienza del quotidiano, della realtà di ogni giorno, che è nello stesso tempo la preparazione dell'orazione e il criterio di verifica dell'orazione che ho fatto. Cioè la preparazione dell'orazione che vado a fare è il criterio di verifica dell'orazione che ho fatto. Questa è la preghiera prima di quella dell'orazione, secondo Teresa d'Avila. Vorrei partire per questo tipo di riflessione, di meditazione, da alcuni punti sintetizzati sul foglio che vi ho dato, che raccoglie alcune espressioni di Teresa al Cap. 8 del Libro della Vita, Paragr. 5 e che è un pò il cuore, il punto fondamentale dell'esperienza dell'orazione per Teresa. Però non chiudiamo Teresa in un concetto, rispettiamo sempre il criterio dell'esperienza più che della definizione delle fasi della preghiera. Leggiamola nel contesto in cui Teresa la scrive, leggiamola cioè in tutta la ricchezza del Paragrafo 5, e credo sia importante per capire che cosa Teresa vuole dirci in quella definizione così popolare. C'è prima di tutto una frase inizale, la 1° delle tre che ho inserito nel testo, in cui Teresa dice "Chi ancora non si è mosso sul cammino dell'orazione, lo supplico per amore del Signore, di non restare lontano da un bene tanto grande. Qui non c'è da temere, ma da desiderare” Qui c'è la supplica di Teresa, di non rimanere lontani da un bene tanto grande, cioè di fare l'esperienza senza privarsi dell'esperienza della preghiera, perchè lei stessa ha fatto esperienza di quanto la preghiera sia un bene prezioso.I verbi fondamentali in questo paragrafo sono due: desiderare e temere. Che cosa significa "Qui non c'è da temere, ma da desiderare" significa che non c'è soltanto una preparazione prossima e una preparazione remota alla preghiera. Preparazione prossima è non passare dal lavoro, dalla preoccupazione, dalla fatica di ogni giorno direttamente all'orazione, ma vivere un momento di raccoglimento, di silenzio, di distensione, di riposo per entrare più gradualmente in un clima di preghiera e di meditazione. C'è anche una preparazione remota, ma qui Teresa sembra dire "C'è anche una preparazione antropologica", c'è una preparazione personale che riguarda la vita e la persona dell'orante: qui c'è da desiderare, cioè non c'è da insistere sul contenuto e il metodo della preghiera, non c'è da insistere sul "Cosa faccio per pregare bene? Cosa devo fare, cosa devo leggere?". Molte volte la nostra preoccupazione si ferma qui: come posso combattere la distrazione in un momento della preghiera, quale libro mi aiuta di più per pregare? Teresa mi dice chiaramente che la distrazione non è il nemico pubblico n. 1 dell'orante, anzi insegna a combattere la distrazione , o meglio ad accettare e accogliere la distrazione, ad accettare che sia così, che io NON posso vivere un'ora di orazione totalmente concentrato su un argomento particolare. Teresa dà questo consiglio particolare per le distrazioni: non prenderla di petto, non combatterla direttamente, non pensare di vincerla perchè sarà lei a vincere te. Piuttosto vivila serenamente nel momento in cui ti rendi conto che la tua mente vagava nella distrazione, trasforma con umiltà e semplicità quel motivo di distrazione in un motivo di preghiera. Cioè è molto più pacificante, molto più vincente questa strategia di Teresa che dice "Quando mi accorgo che da un quarto d'ora non stavo pensando a Gesù che è lì davanti a me nel Tabernacolo, ma stavo pensando a un lavoro che mi preoccupa, devo dire con semplicità a Gesù: guarda, non sono capace di stare un'ora sola con te, c'è questo lavoro che mi sta preoccupando, che mi prende e mi agita interiormente come un fuoco, un vento, un terremoto, come il profeta Elia. Te lo affido, aiutami Tu, aiutami a discernere, aiutami a portare il peso di quella fatica". E allora il penso di quello che era prima -un'ora prima- il tipo di distrazione diventa immediatamente il contenuto della mia preghiera. E' molto più lineare, meno stancante, perdiamo meno energie e ci aiuta a capire che il vero ostacolo nel cammino della preghiera NON è la distrazione . Il vero problema del cammino dell'orazione non è il libro che devo meditare, quello che mi aiuta di più nel momento dell'orazione, ma partiamo da questa frase fondamentale di Teresa: "Qui non c'è da temere, ma da desiderare". Il vero problema è: "Sono capace di desiderare?", "Sono determinato di una determinazione determinata?" -come ci dice Teresa.. "Ho una volontà forte?". Il vero problema - spiegato nel trattato sul Cammino di Perfezione- è l'amore fraterno, il distacco, l'umiltà. Qui non c'è da combattere la distrazione o l'aridità, non c'è da scegliere quale libro usare per la meditazione, qui c'è da AMARE il fratello che incontri nella tua vita, nella tua giornata, qui c'è da distaccarti da tutte le cose, cioè avere un cuore libero, con povertà di spirito, e avere quell'umiltà che Teresa definisce camminare nella verità. C'è da essere VERI autentici . Allora la preghiera al di fuori della preghiera come si può definire per Santa Teresa d'Avila? Si può definire con "la capacità di DESIDERIO", che non è automatica, non è immediata, non è scontata. Io quando vedo certe volte certi bambini giocare, mi stupisco dell'incapacità di desiderare, dell'incapacità di fantasia, dell'incapacità di stupirsi. Per pregare serve questa condizione spirituale, ma ancor prima antropologica, umana, fondamentale: la capacità di STUPORE , la capacità di desiderio, la capacità di scorgere e di percepire la bellezza, per esempio.. La capacità di sensibilità su ciò che è bello, vero , buono, puro, grande, la capacità di cogliere la presenza di Dio nella mia vita -se l'orazione è la corrispondenza della preghiera alla vita concreta- nasce dalla capacità, dalla sensibilità di percepire anche gli altri piccoli segni della presenza del fratello, per esempio, ovvero l'aiuto al fratello. Se sono incapace di percepire queste presenze umane, sarò anche incapace di percepire la grazia di Dio, la presenza di Dio nella mia vita. Se sono incapace di stupirmi delle cose belle che vedo nella mia giornata -diciamolo pure in termini "banali", ma nella vita non possiamo chiamare niente "banale", neppure il peccato, perchè tutto è dono, tutto è grazia, tutto concorre al bene di coloro che amano Dio- ecco, pensando alle cose scontate, banali, come l'aprire il rubinetto dell'acqua corrente al mattino e vederla scorrere e ricevere questo dono che ci disseta, che ci lava, che ci purifica, che ci aiuta nella vita di ogni giorno, è una cosa scontata, ma se io sono incapace di stupirmi che quel dono c'è ed è possibile che non ci sia, se io sono incapace di stupirmi e incapace di gratitudine, di riconoscenza, di lode, di meraviglia, di dire grazie per quel dono, di dire grazie perchè questa persona o queste persone ci sono, e potrebbero non esserci, non sono “orante”. Queste persone ci sono per me oggi, ma potrebbero essere da un'altra parte e fare un'altra cosa. Se non sono capace di dire "Questa luce c'è quando accendo l'interruttore, facendo un gesto meccanico che faccio mille volte al giorno, e potrebbe non esserci”, io non sono un orante. Non sono orante se faccio una bella riflessione sulla pagina evangelica di oggi, sono un orante se sono capace di stupirmi, sono un orante se sono capace di desiderare, se sono capace di riconoscenza, di lode, di meraviglia, di gratitudine. Allora c'è un allenamento all'orazione, una pratica dell'orazione al di fuori dell'orazione, che consiste soprattutto nell'essere uomini/donne, nell'essere persone in relazione, nell'essere bambini, nell'essere semplici, in una parola nell'essere figli, perchè la filialità, l'essere figli, forse è la condizione che dice meglio di ogni altra (ad esempio l'essere sposi, o l'essere amici o l'essere fratelli) , però l'essere figli è la prima condizione fondamentale che dice la nostra condizione di oranti, perchè dice prima di tutto l'essere in relazione. Un figlio nasce da una relazione d'amore ed è in relazione vitale, cioè dipende per la vita stessa per chi l'ha generato. Simo figli di Dio, e questa è la nostra preghiera fondamentale: l'accettare la nostra filialità che significa stupore, dono , meraviglia per il dono della vita, e poi significa mantenere la relazione con il Padre , significa che siamo fratelli, perchè se sono figlio sono anche fratello, significa che sono obbediente, perchè la mia vita dipende da quello che ricevo, sono in ascolto. Non sono io che ho la prima parola, mentre molte volte la mia orazione è l'orazione di un protagonista, io spesso vorrei manipolare la mia preghiera. Pensate un pò alla nostra esperienza quotidiana soprattutto agli inizi della nostra preghiera.. Vorrei scegliere un posto con determinate caratteristiche, che sia bello per la mia sensibilità e il mio gusto spirituale, vorrei meditare più su una pagina del vangelo rispetto a quell'altra. Vorrei fare “quella” esperienza sensibile di Dio, vorrei avere fenomeni mistici particolari, vorrei, vorrei... Potremo metterci mille esempi più o meno veri, più o meno autentici, in una parola vorrei essere il soggetto, il protagonista, il regista della mia preghiera. Invece la preghiera cristiana ha un "regista" particolare che è lo Spirito Santo e "siamo figli" perchè NON siamo noi i protagonisti della nostra preghiera. La preghiera fondamentale -ci insegna Gesù- è dire "Padre Nostro, che sei nei cieli", cioè "vivi la tua condizione di figlio", come nella parabola del figliol prodigo. Essere figli è una difficoltà enorme: un figlio vuole fuggire da casa vivendo la propria indipendenza, l'altro figlio vorrebbe essere piuttosto "servo" , perchè servire ti dà una ricompensa che ti dice "guarda quanto sei stato bravo, guarda quanto hai meritato". E' meglio per il figlio maggiore poter dire "Io ti servo da tanti anni, perciò merito questo, questo e quest'altro.." e posso anche dire al Padre che non mi ha mai dato un capretto per far festa con gli amici, mentre io lo meritavo. Insomma, mi metto in preghiera, in orazione, come su un piedistallo, vedendo Dio, che è Padre , ma in realtà è padrone, è un "idolo" che mi sono costruito per potergli dire "guarda che cosa è bello, e giusto fare, guarda come avresti dovuto comportarti nei miei confronti e invece come avresti dovuto trattare mio fratello che è fuggito a sperperare tutti i tuoi beni.." E' la preghiera del pubblicano e del fariseo al tempio che mette in luce queste differenze fondamentali. Il fariseo è colui che ha da dire a Dio "Io sono al centro , io mi guardo allo specchio, io sono protagonista assoluto della mia preghiera e questo è quello che tu devi fare a me..". Non è questo il senso della preghiera, non è l'essere figli, invece la filialità è la condizione fondamentale della preghiera. L'essere figli significa anche essere bambini, il che implica la capacità di desiderare, di stupore, di meraviglia, di lode, capacità di scoprire il senso della novità, della bellezza, il senso delle piccole cose. Se non cresciamo in questo, non cresciamo nel momento dell'orazione, anche se facciamo le riflessioni più grandi, perchè nella meditazione non è la riflessione che importa, la riflessione è ancora una mia attività, è ancora il mio essere al centro. Invece la scuola carmelitana, come sapete, è molto attenta a mettere in luce, in chiaro questa verità fondamentale: la meditazione serve al colloquio effettivo, cioè la tua riflessione dev'essere uno strumento propedeutico all'incontro, alla relazione, al dialogo con Dio, con Cristo. Il tuo riflettere non è preghiera, il tuo leggere non è orazione, il tuo meditare non è il cuore della preghiera teresiana. Il cuore della preghiera teresiana è l'incontro, la relazione. Tante pagine di Teresa e tante pagine del vangelo si possono interpretare con questa categoria di relazionalità, che è l'essenza della preghiera. La stessa parabola del figliol prodigo dice questo, non parla neppure del peccato, della compassione, del pentimento, della misericordia: prima di tutto parla di una verità fondamentale, che è una relazione. Ricordate come inizia la parabila? "Un uomo aveva due figli": Quante relazioni ci sono in questa semplice frase iniziale della parabola! C'è una relazione di sponsalità, c'è una relazione di paternità, di maternità, di filialità, c'è una relazione anche di fratellanza, di fraternità, perchè i due figli sono fratelli tra di loro anche se il figlio maggiore non la riconosce... Tutto quello che ci predispone ad essere in relazione -verticale e orizzontale- è preparazione antropologica, preparazione remota alla preghiera. Ecco perchè Teresa ha scoperto l'orazione in qualche modo scoprendo la fraternità, l'amicizia e d'altra parte ha scoperto la fraternità scoprendo la preghiera, facendo esperienza di entrambe, perchè non siamo a compartimenti stagni. Io non offro a Dio nell'orazione la mia ora di preghiera, non timbro il cartellino, altrimenti sono come il figlio maggiore della parabola "Io ti servo da tanti anni e da tanti anni faccio due ore di orazione quotidiana, da tanti anni faccio gli esercizi spirituali, la giornata di ritiro mensile, ecc..”, ma questo NON è l'orazione teresiana! L'orazione teresiana è "Ho scoperto che ci sei, che sei il centro, il fulcro, ma anche l'origine della mia vita e che mi precede e mi accompagna, mi sostiene e che incontrerò al termine della vita, e questa relazione da parte tua è esclusivamente amore, misericordia, gratuità, provvidenza, libertà”. E' questa la preghiera teresiana! E se la mia giornata non mi aiuta ad entrare in relazione, a vivere l'amore fraterno, se la mia giornata non mi aiuta allo stupore, alla meraviglia, alla lode, alla riconoscenza, non solo a Dio, che è la causa prima, ma anche la riconoscenza e lo stupore, la meraviglia di fronte alle cose, alle situazioni, alle persone, io NON sono capace di predispormi alla preghiera. Per assurdo -Teresa l'ha sperimentato e dichiarato molte volte alle sue monache nella sua vita concreta- ci può essere un'ora di orazione che non è preghiera e una relazione fraterna, un lavoro, una sofferenza che è preghiera anche se non lo so.. Teresa stessa dice di sè stessa dell'infanzia "Vivevo questa grazia di orazione, ma non lo sapevo ancora, cioè percepivo, sperimentavo, accoglievo già questa grazia, ma non con la consapevolezza che ho oggi".. Invece posso stare in preghiera, nel tempio, e ci possono essere due persone: una può guardarsi allo specchio, e l'altra può pregare. Una può guardarsi allo specchio tutto il tempo e credere di pregare, ma non preghi se non incontri, se non sai desiderare, non preghi se non sei riconoscente, se non sei figlio. Questa è la condizione fondamentale. Allora sottolineate e riflettete e partite da qui, da questa frase iniziale di Teresa: "Qui non c'è da temere ma da desiderare": è tutto un mondo perchè il mondo del desiderio è il mondo che è al di sopra della volontà, che avvolge la volontà. Il mondo del desiderio è il mondo che ci fa agire e osare molto più della volontà, della ragione, è il mondo dell'affettività, è il mondo del valore, è il mondo della potenzialità della persona umana! *



Nessun commento:

Posta un commento