domenica 21 dicembre 2014

Edith Stein-"Essere finito ed Essere eterno"

5 - "Essere finito ed Essere eterno"
Questo progetto di sintesi è stato attuato da Edith nella sua opera massima che, iniziata prima di entrare al Carmelo di Colonia, fu completata dopo la sua prima professione religiosa, per obbedienza ai suoi superiori. Si intitola: "Essere finito ed Essere eterno". E' un'opera nella quale i problemi della filosofia e i problemi della teologia si accordano.
Edith Stein nel 1925, quando insegnava nell'Istituto delle Domenicane di Spira
Nella pace contemplativa della sua cella di carmelitana, Edith sperimenta personalmente cosa significa afferrare Dio nella fede, senza vederlo né possederlo, in quanto già ne siamo stati afferrati per grazia. Questa profonda "oscurità della fede" le fa intuire, al di là dei sensi e della ragione, la chiarezza di Dio verso il quale è incamminata.
E' l'esperienza della "notte", di cui tratta il dottore mistico San Giovanni della Croce"Ma poiché il cammino nelle tenebre ci diventa difficile, ogni raggio di luce che scende nella notte, come un primo messaggero della chiarezza futura, costituisce un aiuto inestimabile per non smarrirsi. E anche la piccola luce della ragione naturale può rendere dei servizi apprezzabili".
Chiarita la funzione della filosofia, Edith Stein si interroga sull'essere dell'io, cioè l'essere finito, in relazione all'Essere eterno.
"Donde viene questo essere che la persona sperimenta come ricevuto? ll mio essere, per quanto riguarda il modo in cui lo trovo dato e per come vi ritrovo me stesso, è un essere inconsistente. Io non sono da me! Da me sono nulla, in ogni attimo mi trovo di fronte al nulla e devo ricevere in dono, attimo per attimo, nuovamente l'essere. Eppure questo essere inconsistente è essere, e io in ogni istante sono in contatto con la pienezza dell'essere.
Il divenire e il passare rivelano l'idea dell'essere vero, eternamente immutabile [...] In questo mio essere fugace colgo alcunché di duraturo. [...] E' la dolce beata sicurezza del bambino sorretto da un braccio robusto, sicurezza oggettivamente considerata, non meno ragionevole. O sarebbe ragionevole il bambino che vivesse con il timore continuo che la madre lo lasciasse cadere?...
Dio, per bocca dei profeti, mi dice che mi è più fedele del padre e della madre, che egli è lo stesso amore, allora riconosco quanto sia ragionevole la mia fiducia nel braccio che mi sostiene e quanto sia stolto ogni timore di cadere nel nulla, a meno che non mi stacchi io stesso dal braccio che mi sorregge".
Nel trattare dell'immagine della Trinità nella creazione, verso la fine dell'opera, Edith, già carmelitana professa, parla dell'anima nella quale l'io personale è di casa, come di uno spazio al centro di quella totalità che è composta dal corpo, dalla psiche e dallo spirito.

"L'anima in quanto 'castello interiore', come l'ha chiarito la nostra S.Teresa d'Avila, non è puntiforme come l'io puro, ma è uno spazio, un castello con molte abitazioni, dove l'io si può muovere liberamente, andando ora verso l'esterno, ora ritirandosi sempre più verso l'interno. [...] L'anima non può vivere senza ricevere. Essa si nutre infatti dei contenuti che accoglie spiritualmente, vivendoli". ( continua)
da | moscati .it 

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