martedì 22 aprile 2014

Flora Gualdani racconta la sua esperienza sul fronte della vita



Pubblichiamo la prima parte della testimonianza pubblica tenuta da Flora Gualdani nella diocesi di Termoli in occasione della Giornata della donna, l’8 marzo 2014.
Flora sarà premiata il 3 maggio al convegno nazionale per la Vita che si terrà presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, tutto il giorno, con incontri tecnici, testimonianze, relazioni per giovani…

IL MIO OSPEDALE DA CAMPO
SUL FRONTE DELLA VITA


Dentro la grotta di Betlemme, nel 1964 un’ostetrica toscana fu travolta da un’intuizione. Mentre il Concilio Vaticano II discuteva, lei apriva un ospedale da campo usando il suo ettaro di eredità. La storia di “Casa Betlemme”, dove l’Humanae vitae ha trovato attuazione grazie agli insegnamenti di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo. Una straordinaria esperienza pastorale, in cui il genio femminile ha coniugato azione e contemplazione, la carità nella verità. Da mezzo secolo va avanti in silenzio con un suo stile.

Buonasera a tutti. Vi ringrazio di avermi invitato a questo convegno. Per me è un onore. Sono venuta da lontano a raccontarvi cosa è l’opera di “Casa Betlemme”: è una mia esperienza personale che va avanti ormai da cinquant’anni e si pone a servizio delle encicliche Humanae vitae ed Evangelium vitae, come sapete il capitolo più criticato di tutta la dottrina cattolica. Vi racconterò la storia, i frutti e lo stile che ho usato. Usando un’immagine cara all’attuale pontefice, Casa Betlemme possiamo definirla un “ospedale da campo” sul fronte scottante della vita nascente. Da ostetrica, ho passato la vita dentro gli ospedali, però ad un certo punto ho capito che dovevo aprire un ospedale speciale a casa mia, nel mio campo, per aiutare donne ferite e sofferenti. Ma anche per aiutare la mia amata Chiesa a dare attuazione a quelle due encicliche.

Come nacque Casa Betlemme

Feci nascere la prima bambina nel Natale del 1955 a Firenze. Da allora ho condiviso a fianco di migliaia di donne la sofferenza e la gioia di dare la vita. Altre volte i drammi, in troppi casi la solitudine. Da giovane, mentre facevo l’ostetrica, giravo molto per il mondo e rimasi turbata incontrando donne che volavano all’estero per abortire. Percepivo che era urgente fare qualcosa, ne parlai in giro ma i tempi non erano maturi e così m’incamminai da sola. Durante il primo viaggio a Betlemme, nell’agosto 1964, dentro la grotta di Betlemme un’intuizione forte mi travolse. Capii che il futuro sarebbe passato da quella grotta, che la procreatica sarebbe diventata una questione epocale e drammatica. Compresi che l’uomo dovrà tornare a genuflettersi davanti al Creatore, e che il terzo millennio dovrà riscoprire la spiritualità dell’Incarnazione.

Mi sentii interpellata professionalmente e personalmente. Rientrata in Italia trovai in reparto una giovane malata di cancro che non intendeva abortire, nemmeno davanti al consulto di tre specialisti i quali avevano autorizzato l’interruzione della gravidanza in base alla legge Rocco che vigeva allora. Le rimasi accanto, la bambina nacque, era sana e aveva due bellissimi occhi azzurri. Era nato il mio primo amore. Me la portai a casa tenendola con me finché quella madre coraggiosa, lentamente, guarì. E oggi fa la nonna. Perché Dio è regale, restituisce vita per vita.

Sul momento pensai che la cosa sarebbe finita lì, invece quel bambino diventò il primo di una lunga serie. Il Signore evidentemente aveva un progetto. Ma dato che è un Padre buono, i suoi piani te li fa capire poco a poco, altrimenti ti spaventeresti e scapperesti. A quell’epoca non esistevano i servizi sociali o la rete del volontariato come oggi. Capitava che una mamma morisse di parto, o che una prostituta abbandonasse in ospedale il bambino appena nato. E così un bambino tirava l’altro, come le ciliegie. Tanti bambini in affidamento a casa mia, per qualche mese o per più di vent’anni. Collaboravo con il Tribunale per i Minorenni, il reparto di pediatria, i servizi sociali. E lo facevo gratis.  Intanto il mio vescovo, di ritorno dal Concilio Vaticano II, mi ordinò che finché fossi stata viva avrei dovuto tenere con me l’Eucarestia. Così la vecchia stalla dei miei genitori contadini diventò una cappellina, un cenacolo permanente di preghiera che, oggi come allora, rappresenta il cuore e il motore  di tutta l’opera.

Negli anni settanta, quelli della legge 194, cominciarono a bussare alla mia porta le ragazze madri, in cerca di un sostegno per non abortire. E io le accoglievo. Ad un certo punto la mia abitazione diventò stretta. Il mio babbo era un arguto contadino che, sopravvissuto alla prigionia in Germania, dopo la grande guerra aveva faticato dieci anni da emigrante in America per comprarsi un paio di ettari da coltivare in libertà. Gli chiesi la divisione dell’eredità e usai il mio ettaro di terra per costruirci alcune casette immerse in un grande parco. Le ho tirate su con grossi sacrifici personali e l’aiuto di tanti amici. E’ nata in questo modo Casa Betlemme, il “Santuario della vita umana”. E’ un ospedale da campo perché piazzato in questo ettaro di campo, alle porte di Arezzo. Ci ho consumato la mia esistenza e tutti i miei beni, e sono felice di averlo fatto. I primi reparti che ho aperto sono stati quindi il “pronto soccorso” per le maternità difficili, con l’accoglienza e l’assistenza a donne sole e disperate, che arrivano qui da ogni religione e cultura, tentate dall’aborto.
La cappella di Casa Betlemme
I primi frutti: capitale umano e dolore risolto.

In questi primi cinquant’anni di servizio abbiamo complessivamente tolto dalla pena di morte qualche centinaio di piccoli innocenti, restituendo ad altrettante mamme la libertà di non abortire. Sono frutti di “capitale umano” e di tanto dolore risolto. Non ho mai tenuto i conti: non c’era tempo e poi sono allergica alla burocrazia. L’unica cifra di cui sono sicura è che mai nessuna donna è tornata da me pentita di aver accolto la vita: né la undicenne incinta, né la vittima di violenza, né la prostituta.

L’ambulatorio ostetrico è uno speciale confessionale laico, e dopo mezzo secolo so che la donna è indotta all’aborto non tanto da motivi economici ma soprattutto dalla paura di  sentirsi sola. Quindi ciò che conta è che la donna si senta amata, non lasciata sola. La donna che si sente amata non abortisce. Lo dico per esperienza. Deve sentirsi preziosa a motivo di quel suo stato interessante, che deve essere “interessante” per la società intera, perché l’utero gravido è tabernacolo che dà futuro alla storia. Davanti ad una gestante dovremmo sempre genufletterci riconoscenti! Una volta una donna mi raccontò di aver stracciato il certificato dell’aborto dopo avermi visto attraversare la strada per entrare in un bar. Probabilmente stavo andando a prendere un caffè, ma lei vedendomi si era ricordata di un lungo colloquio che avevamo fatto. Noi non possiamo sapere quanto vale un nostro piccolo gesto, una parola detta.

A Casa Betlemme ho seguito storie indicibili di umana catarsi, ho visto rifiorire l’impensabile grazie a quella faticosa maternità. Anche i famigerati “casi limite”. Ho usato uno stile basato su dedizione personale e sacrificio, cioè condivisione della sofferenza, niente orari o logiche da sportello, tempestività e sostegno concreto. Niente assistenzialismo ma aiutare la donna a recuperare l’autonomia nella società. E non affidarsi ai finanziamenti, come vi spiegherò dopo.

C’è un altro frutto importante: è il tema del trauma post-aborto. In quella che oggi si chiama pastorale della vicinanza, mi sono specializzata nel prendermi cura anche di tutte quelle donne che hanno fatto una scelta diversa e che poi, magari a distanza di vent’anni e con i capelli imbiancati, tornano a portarmi il loro tormento per un dolore che riemerge e non passa. Le aiuto usando lo sguardo della trascendenza. Perché è Gesù l’unico farmaco capace di guarire quella ferita. Lui ama ed è misericordioso: scende con il cuore sopra le nostre miserie. Ci vuole un lungo cammino di recupero, paziente e personalizzato tra spiritualità e psicologia, dove ho accompagnato tante donne (di ogni livello culturale) fino alla guarigione.

A queste donne spiego che generare è più grande che distruggere. Chi genera, genera per l’eternità. Dico loro: «tu hai generato per l’eternità. Se hai ucciso, hai ucciso un corpo: non hai distrutto la persona. Devi capire che anche se hai troncato il futuro alla tua creatura, non hai fatto che restituirla al Mittente. E Lui la porterà comunque a compimento, là dove un giorno o mille anni sono la stessa cosa. Lui è il Dio dell’amore, che ha vinto la morte e non lascia incompiute le sue opere: prima o poi avverrà un incontro, l’abbraccio. Ma la riconciliazione con quel figlio devi cominciarla adesso: sentilo vivo, dagli un nome, sappi che ti sta aspettando e sta pregando per te. Ti ama». Le donne credenti di solito giungono alla confessione, il sacramento che le riconcilia con Dio. Ma è essenziale anche questo secondo passaggio: la riconciliazione con il loro figlio. L’opera del confessionale va completata cioè con questo accompagnamento psicologico e spirituale. Perché il sangue di Cristo cancella il peccato ma non cancella quel figlio, che esisterà per sempre.
 
Flora in Bangladesh, nel 1974
Un servizio alla “maternità senza frontiere”

Usando un’altra espressione che oggi va di moda, nel mio cammino ho cercato di testimoniare una Chiesa in uscita, che va verso le periferie esistenziali. Sono uscita da quell’ettaro di campo per andare ad aiutare le mamme anche ai bordi delle strade del mondo. Casa Betlemme è un servizio alla “maternità senza frontiere”: partivo per servire la vita nascente là dove era più urgente, in mezzo alle guerre e negli angoli più poveri della terra: India, Bangladesh, Africa, Messico, l’inferno della Cambogia, la Cina, e poi la Bosnia che conoscevo frequentando Medugorje. Il Vescovo di Bangkok insisteva perché rimanessi e aprissi una casa là, mi offriva tutto il suo aiuto. Ma io sentivo che la mia missione era qua nel nostro occidente gaudente e disperato. Per trattenermi un pò di più, mandai al lavoro un certificato medico, era scritto in cambogiano e la visita fiscale non arrivò.

Facevo quei viaggi anche per fare confronti, volevo osservare e studiare come viene trattata la maternità in altre culture e contesti geografici. All’ospedale di Pechino, per esempio, nel 1979 il primario ginecologo era una donna che aveva studiato a Parigi: mi spiegava che la ventosa loro l’avevano già messa in bacheca, mentre da noi andava di gran moda.

Tra gli anni sessanta e settanta pensai che, per rispondere meglio a quelle catastrofi umanitarie in cui m’immergevo, nonostante fossi ostetrica avevo bisogno di altre quattro cose: conoscere una lingua, diventare ginecologa, possedere un ambulatorio con le ruote (cioè un’ambulanza) e saper pilotare un elicottero. Così, con quella dose di incoscienza e spirito di avventura che mi hanno sempre aiutato, presi un diploma da interprete, riuscii a frequentare per quattro anni la facoltà di medicina e acquistai i primi strumenti per attrezzare l’ambulanza. Nel frattempo superai i test per il brevetto da elicotterista. Ad un certo punto però dovetti fare delle scelte. Ogni lezione di volo mi portava via mezzo stipendio.

Le opere di misericordia spirituale: istruire gli ignoranti. Il reparto della formazione.

Nel nostro ospedale da campo non c’è solo il reparto di pronto soccorso alla maternità ma anche quello della prevenzione e della formazione. Perché dobbiamo dare una risposta completa. La persona non ha bisogno solo di essere curata nelle sue ferite, va anche educata. La Chiesa, come sapete, è chiamata alle opera di misericordia corporale ma anche a quelle di misericordia spirituale tra cui c’è il compito di istruire gli ignoranti. Insieme agli effetti vanno curate le cause. Non è più tempo di mettere le toppe ad un vestito ormai liso, va ricostruito il tessuto della società, trasmettendo sapere e valori.

Su questi temi mi sono accorta infatti che c’è un’enorme ignoranza: disinformazione grave sull’insegnamento autentico del magistero e sui fondamentali della bioetica. Sono omissioni di preparazione che ho incontrato nelle corsie degli ospedali ma anche dentro le sacrestie, e nelle scuole di teologia. E’ un’ignoranza che colpisce sia la gente comune sia gli ambienti ecclesiastici, dove talvolta si semina confusione sopra l’ignoranza, provocando devastazione. Ed è un disastro. Spesso dipende dalla paura di diventare impopolari, ma è segno che è calata la fede. Secondo me è proprio qui il punto: il livello della fede.

Sul fronte dell’Humanae vitae, nella mia lunga esperienza in giro per l’Italia, ho incontrato due tipi di derive nel mondo ecclesiale: l’angelismo disincarnato e il relativismo disobbediente, che definirei cattoprotestante. E ho toccato con mano i danni di entrambi. A Paolo VI avevo già scritto, ai tempi del Concilio, una lettera di incoraggiamento perché dedicasse una festa solenne alla maternità di Maria: mi ero permessa di far notare che anche dentro gli ospedali, subito dopo aver festeggiato il bambino, si va sempre a rendere omaggio alla mamma. Certe lacune, nella Chiesa, sono frutto di una teologia scritta troppe volte da uomini.
Quando al papa arrivò addosso l’ondata di protesta contro l’Humanae vitae, presi la mia cinquecento e andai nella capitale a suonare il campanello di Padre Häring per capire meglio i motivi della sua posizione: all’inizio mi scambiò per una giornalista di Famiglia Cristiana. Lo stesso feci con Chiavacci. Erano i due illustri teologi che guidavano la grande resistenza contro l’enciclica. Il clima di quei giorni lo racconta bene il bioeticista Renzo Puccetti nel libro “I veleni della contraccezione” (ed. Studio Domenicano, 2013), spiegando che la dottrina sulla procreazione responsabile divenne «un grande campo di battaglia dove si è combattuto uno scontro furibondo». In pochi rimasero fedeli a Pietro e alla Chiesa: i più finirono, anche in buona fede, nella potente «armata regressista» la quale ha dalla sua parte un alleato «che non si stanca mai, che inquina i pozzi, lascia marcire le derrate, intercetta i rifornimenti». Come qualcuno ha scritto, Paolo VI ebbe il coraggio di spiacere a tutti per non mentire a nessuno. Sosteneva che «il peccato nel matrimonio è il cancro della società». E prima di morire disse: «dell’Humanae vitae ringrazierete Dio e me».

Flora con i coniugi Billings e Anna Cappella
L’aggiornamento: a scuola dai giganti”

Agli inizi degli anni ’80, quando mi accorsi che la povertà culturale su questi argomenti sarebbe diventata emergenza, decisi di prepararmi e aprire a Casa Betlemme anche il reparto della formazione. Amavo la mia stupenda professione tanto quanto la Chiesa: mi accorsi che ero a un bivio e scelsi di servire totalmente quella che vedevo messa peggio cioè la Chiesa. La vedevo scivolare nella titubanza dell’annuncio, in silenzi colpevoli che la rendono corresponsabile di certi mali della società. E sentivo che un giorno sarà giudicata severamente su questo. Santa Caterina gridava: «a forza di tacere il mondo è guasto!».

Per buttarmi nell’opera andai in pensione anticipatamente e cominciai ad aggiornarmi frequentando le università romane dove ho conosciuto i miei grandi maestri, figure giganti di scienza e di fede. Il professor Lejeune, uno dei più grandi genetisti del mondo, scopritore della trisomia 21. Wanda Pòltawska, un monumento vivente della bioetica: dopo aver vissuto nella sua carne le sperimentazioni dei medici nazisti, diventata psichiatra, fu amica e consulente di Wojtyla sulla teologia del corpo. I coniugi Billings, medici australiani pionieri dei moderni metodi naturali, la ginecologa Anna Cappella, prima direttrice del centro studi e ricerche all’Università Cattolica. E poi Caffarra e Sgreccia. Ma sopra tutti ho incontrato Giovanni Paolo II, il grande padre della mia fede, il più grande dei giganti, un profeta da cui mi sono sentita sostenuta in modo straordinario con i suoi insegnamenti chiari, davanti a certe contestazioni che ogni tanto ti arrivano come mitragliate. Il “fuoco nemico” ti ferisce, puoi guarire: ma il fuoco amico ti uccide. Il beato Giovanni Paolo II, dopo ogni congresso internazionale, ci riceveva insieme ai miei maestri, per informarsi su come andavano le ricerche della medicina e i progressi della pastorale a livello mondiale. Ci teneva molto a sapere e ci voleva incoraggiare. Diceva che noi portiamo avanti ciò che dovrebbe fare la Chiesa. Una volta, superando l’elenco degli appuntamenti che aveva in agenda, volle riceverci nelle sue stanze fuori protocollo, prima di andare a cena.

Portando con me quelle grandi lezioni, a Casa Betlemme ho potuto aprire una scuola di formazione dove offriamo consulenze qualificate sui temi della procreazione, laboratori e corsi di formazione, serate di sensibilizzazione usando anche il linguaggio artistico (“Wolokita project”). Portiamo in giro l’alfabetizzazione bioetica, la teologia del corpo e insegniamo alla gente la regolazione naturale della fertilità.


Le tre chiavi per trasmettere l’insegnamento dell’Humanae vitae

Per trasmettere alla gente l’insegnamento dell’Humanae vitae ho usato tre chiavi. La prima sta in questo pensiero di Paolo VI che sintetizza tutto l’insegnamento: «l’uomo non può trovare la vera felicità, alla quale aspira con tutto il suo essere, se non nel rispetto delle leggi iscritte da Dio nella sua natura e che egli deve osservare con intelligenza e amore». E’ la conclusione dell’enciclica, il n. 31. Ci dice che le leggi di natura esistono e non sono cattoliche: sono la via per la felicità dell’uomo e la sua pace. Vanno rispettate usando l’intelligenza e l’amore.
La seconda chiave è credere sempre all’educabilità dell’uomo. Giovanni Paolo II insisteva molto su questo concetto: ci crediamo o no che l’uomo è educabile, perché è redento da Cristo? Ogni persona è educabile, e in fondo al cuore avrà sempre la nostalgia del bene e del bello. Il cammino deve essere graduale, ma è alla portata di tutti. Perché la Grazia esiste e aiuta gli umili.
La terza chiave sta nella nostra specialità “betlemita” che è puntare su un messaggio di profonda armonia, di integrazione dei vari piani. Riconciliare cioè la fede con la scienza, la creatura con il Creatore, la madre con il bambino, la donna con la sua corporeità. Ma anche riconciliare la fede con la morale, aiutando la gente a superare una fede che dice “credo in Dio ma la morale modo mio”. Ho visto questo stile capace di ricomporre alcune fratture profonde che procurano sofferenza e disorientamento all’uomo di oggi, e alla Chiesa. Nel mio sentiero sono partita dai marciapiedi passando poi per le sacrestie. Ma oggi mi rendo conto che di questo messaggio forse ne hanno bisogno anche le accademie.
Quali sono i frutti dell’impegno culturale? Tra la nostra diocesi e in giro per l’Italia abbiamo portato più di mille ore di formazione sull’Humanae vitae, muovendoci tra scienza, fede e cultura. Casa Betlemme è diventata una scuola di vita e di promozione umana dove sono passati in tanti: vergini e prostitute, analfabeti e professori, piccoli e anziani, artisti e giornalisti, vescovi e sbandati, famiglie ferite. E tante coppie di innamorati. E’ una piccola ed inedita “Università dell’amore con Facoltà della vita”, l’idea me la ispirò tanti anni fa Teresina di Gesù Bambino.
 
La scuola di Casa Betlemme
L’attuazione di un’enciclica profetica
In rete con il mondo accademico e con la pastorale della famiglia, promuoviamo una proposta concreta che si chiama regolazione naturale della fertilità: significa essenzialmente imparare a conoscere ed ascoltare il nostro corpo, esercitando la virtù cioè la disciplina del dominio di sé per amore. Giovanni Paolo II diceva che non è altro che «la rilettura del “linguaggio del corpo” nella verità. Bisogna aver presente che il corpo parla». E spiegava che per capirlo dobbiamo anzitutto recuperare uno «sguardo contemplativo» sulla creazione, in particolare sulla creatura umana. Con le sue centotrentaquattro catechesi sull’amore umano, ha dato i fondamenti metafisici e antropologici a questo itinerario.  Dopo tanti anni continuo ad andare in giro perché vedo il volto dei giovani che rimangono affascinati e colpiti al cuore da questo insegnamento. Quando la gente supera la diffidenza e la disinformazione, comprende la saggezza della Chiesa che, come diceva Paolo VI, è «esperta di umanità». La gente scopre che i moderni metodi naturali per la regolazione della fertilità non sono soltanto scientificamente affidabili ma anche praticabili. Non una tecnica ma uno stile di vita che fa bene sia alla salute della donna che alla relazione della coppia: sono un cammino che educa ad un amore più grande, fatto di consapevolezza corporea, maggiore rispetto e dialogo, soddisfazione sessuale e ragionevole apertura alla vita. Nella mia esperienza posso dirvi che sono la strada per costruire famiglie solide, in una società dell’amore liquido. Una volta una coppia tornò a ringraziarmi con queste parole: «ci hai insegnato a spostare una montagna con la punta del mignolo». E’ una conoscenza di sé che dà pace e pienezza alla vita sessuale di coppia ma anche serenità ed equilibrio alla vita delle persone consacrate. Ho portato infatti l’Humanae vitaepure dentro i conventi e i monasteri, e potrei stare ore a raccontarvi i frutti meravigliosi: perché la teologia del corpo di san Giovanni Paolo II è un annuncio liberante per tutti. Il biografo Weigel ha scritto che la sua teologia è una bomba ad orologeria e quando il mondo la scoprirà vedremo effetti spettacolari. Su questo capitolo però, come vi dicevo, c’è di mezzo tanta disinformazione e anche un po’ di censura perché si tratta di una proposta che funziona ed è gratuita e praticabile, e quindi disturba il business colossale della contraccezione. L’Humanae vitae contiene un messaggio di ecologia umana che non ha confini religiosi o culturali e ha già abbattuto molti muri: forse non tutti sapete che Madre Teresa ha portato i metodi naturali tra le bidonville di Calcutta con grande successo, convincendo il governo di Indira Gandhi. Oppure che nella Cina comunista il metodo Billings da anni è stato adottato dal ministero della sanità come alternativa alla contraccezione (e alla sterilizzazione coatta), e lo usano felicemente oltre tre milioni e mezzo di donne. I primi ripensamenti stanno arrivando anche dal mondo femminista. Eppure tanti alti prelati continuano a dire che si tratta di una proposta di nicchia, di un ideale bello ma astratto.
Personalmente, dopo mezzo secolo di confessionale ostetrico, mi sono convinta che la contraccezione è una proposta vecchia e il futuro è dei Metodi Naturali. Dopo la de-medicalizzazione del parto e della gravidanza, e dopo aver riscoperto l’importanza dell’allattamento al seno, la prossima tappa dovrà riguardare la gestione della fertilità: il futuro passa da lì. Mentre la nostra società occidentale e gran parte degli ambienti ecclesiastici vorrebbero elegantemente rottamare l’Humanae vitae per correre dietro alla contraccezionealla scuola di Casa Betlemme questa famigerata enciclica ha trovato attuazione, è stata recepita ed è diventata prassi tra la gente.
Ma c’è di più: diverse famiglie cristiane, dopo essersi formate qui, hanno deciso di fermarsi a collaborare, e alcuni di loro di farsi oblati, spendendo tutta la vita in questa missione moderna perché ne hanno capito l’urgenza. Oggi siamo una fraternità ben assortita: sposati o single, professionisti di genere vario, ognuno vive del proprio lavoro. C’è chi non può avere figli e chi ne ha accolto uno down. I miei collaboratori sono laici che definisco apostoli intelligenti, adatti ai nostri tempi.
Tutte queste cose andrei volentieri a testimoniarle al prossimo Sinodo sulla famiglia ma purtroppo, come ha detto qualcuno, ancora le donne non sono ammesse a parlare: possono entrare solo come uditrici o inservienti.
 
Flora in Cina, nel 1979
La cifra della povertà: stile della follia per rendere concreta l’utopia.

Permettetemi un’ultima parola che per me è essenziale. Se a Casa Betlemme si sono realizzate alcune utopie concrete, è merito di uno stile preciso su cui ho avvitato tutta l’opera. La Regola personale è preghiera, sacrificio, letizia. Quella apostolica è Ora, stude et labora. Lo stude, cioè la preparazione scientifica e l’aggiornamento continuo, sono indispensabili su questi temi bioetici. Lo studio deve diventare servizio agli altri nel sacrificio. Ma tutto parte e si radica davanti al tabernacolo, dove è presente il Dio vivente, Dio in Persona. Si radica in una fede che non è sentimentalismo irrazionale, devozionismo angelico ma è uso di ragione e di preghiera che diventa rivoluzione, perché ti cambia la vita. E’ riconoscimento del Logos della creazione. Qui la fede diventa un’azione che incarna la dottrina della Chiesa. Chiesa che è di Cristo, non dell’uomo. Lo spiegava il cardinale Ratzinger nel 1990: «non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana».
Ho sempre scelto di camminare nell’obbedienza perché fuori da quel sentiero, prima o poi si sbanda. In certi passaggi mi è costata tanta fatica e sofferenza. Una pazienza che solo le donne sanno usare. Ho dovuto attendere quarant’anni e veder passare una serie di vescovi per ottenere finalmente la prima approvazione ufficiale della Chiesa, arrivata soltanto nel Natale del 2005: fu il vescovo Bassetti, ora cardinale, a volerci riconoscere come associazione pubblica di fedeli.
Gli ospedali di solito sono strutture “in convenzione”. Io invece ho fatto tutto gratis e in povertà, che oggi è follia. Facendo risparmiare un mucchio di soldi ai bilanci pubblici o ecclesiastici. Lo diceva Tertulliano delle prime comunità: «i cristiani sono poveri ma arricchiscono molti» (Lettera a Diogneto). Ho voluto così per una radicale scelta evangelica e di libertà. Nel mio ospedale da campo i finanziatori e i protettori non sono politici o potenti ma tre santi che mi sono scelta all’inizio del cammino: Francesco di Assisi, Caterina da Siena e Teresina di Lisieux. Da loro ho imparato la ricchezza della povertà, il fuoco dell’apostolato e la grandezza della piccolezza. Mi hanno insegnato che stai in piedi soltanto se resti in ginocchio, che la Provvidenza provvede se ci credi e per quanto ci credi. Io credo fermamente che se il latore non è un povero, il Mandante non è il protagonista.
Casa Betlemme è nata dal gesto folle di quella donna incinta malata di cancro, e va avanti da cinquant’anni anni grazie allo stile folle di un’ostetrica. In questo ospedale da campo che vi ho raccontato, noi tutti siamo semplici ausiliari e inservienti: il primario si chiama Gesù e l’unica assistente è sua Madre, perfetta regista della storia, di ogni storia. E anche della storia di Casa Betlemme. Alleluja!

Continua con la seconda parte: Riflessioni ostetriche davanti alla maternità di Maria. Il genio delle donne e il potere del loro corpo per un nuovo femminismo”

CHI E’
Flora Gualdani è nata ad Arezzo nel 1938. In Italia è tra le figure più autorevoli nella divulgazione della dottrina cattolica su maternità e procreazione. Ostetrica dal 1959, ha lavorato nella sanità pubblica fino agli anni ’90, con esperienze all’estero in un personale servizio alla “maternità senza frontiere”. Nel 1964 ha fondato Casa Betlemme ospitando decine di ragazze madri da ogni parte del mondo. Conduce l’opera con una fraternità di laici collaboratori seguendo la Regola “Ora, stude et labora”. Luogo di preghiera, casa di accoglienza e centro di formazione sulla procreazione responsabile, la sua iniziativa fu riconosciuta come associazione pubblica di fedeli nel 2005 con decreto di Mons. Gualtiero Bassetti, oggi cardinale. Questa esperienza pastorale è divenuta oggetto di tesi di laurea, alcune delle quali riguardano l’attuazione dell’enciclica Humanae vitae. Presentata al “Progetto Europeo San Benedetto” organizzato da European Institute for Family Life Education e Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia sul tema «Natural Family Planning. Links between love and trasmission of life» (Milano, gennaio 2010), è annoverata tra le realtà che nel mondo diffondono la teologia del corpo secondo gli insegnamenti di Giovanni Paolo II (Congresso internazionale Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma ottobre 2011). Ha organizzato, in collaborazione con il suo vescovo e l’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI, il convegno regionale «La procreazione responsabile a 40 anni da Humanae vitae: il cammino della scienza e della cultura» (Ospedale di Arezzo, aprile 2009). Ha tenuto la relazione «Autorità e dolore: l’esperienza di Casa Betlemme», al convegno “Autorità femminile” presso l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2013). Riviste di pastorale della famiglia le hanno dedicato alcuni reportage e la sua testimonianza compare su A. Socci, Il genocidio censurato (ed. Piemme 2006), I libri del Foglio, Fate l’amore e non l’aborto (ed. Il Foglio quotidiano 2008), A.M. Cosentino, Testimoni di speranza. Fertilità e infertilità: dai segni ai significati (ed. Cantagalli 2008, Premio “Donna, verità e società”, Pontremoli 2009), G. Galeazzi-F. Grignetti, Karol e Wanda. Giovanni Paolo II e Wanda Poltawska: storia di un’amicizia durata tutta una vita (ed. Sperling & Kupfer, 2010). Il giorno del referendum sulla legge 40 fu intervistata da Marina Corradi per Avvenire, nel 2013 da Ritanna Armeni per l’Osservatore Romano (mensile Donne, Chiesa, Mondo). Nel 1994 la sua città le ha conferito il premio “Chimera d’oro” per l’impegno sociale. Premio alla carriera “Santa Gianna Beretta Molla” per aver difeso la vita con la penna e con le opere (Scienza e vita, Pontremoli 2013), premio “Ruah per l’arte e la cultura” (associazione Le Opere del Padre, Roma 2013), premio “IV Marcia nazionale della vita” (Roma 2014). Il primo libro lo ha pubblicato nel 1994 con lo pseudonimo Letizia di Gesù Bambino. In occasione delle celebrazioni dell’enciclica Evangelium vitae nell’anno della fede, ha pubblicato «Betlemme Betlemme speranza futura, Canto alla vita»una raccolta di scritti spirituali e poetici degli anni 1958-1998, con la prefazione di Claudia Koll (ed. Letizia, giugno 2013).

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