sabato 17 maggio 2014

Commento su At 13, 46-47 "ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani."



Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra».

Atti 13, 46-47
Come vivere questa Parola?
"Ti ho posto per essere luce delle genti". Queste parole di Isaia erano state riprese a modo suo da Gesù quando affermava che non si poteva mettere una lampada sotto un letto bensì sul candelabro perché il suo compito era fare luce non rimanere nascosta (cf Mc 4,21).

Se Dio ci rende luce, riflesso del suo essere la Luce, allora non possiamo smarcarci. Se ci dà delle responsabilità, dei compiti, dei carismi, dei ruoli e ci mette sul candelabro (piccolo o grande che sia) non dobbiamo trovare scuse. Lui non ci illumina per lasciarci spegnere ma per donare luce a nostra volta.

L'importante è che tutto venga da lui, che non sia una nostra ricerca di potere o una nostra ambizione, ma un mettersi solo al servizio accettando il peso che comporta l'essere "luce" per altri. Perché è realmente un peso morale (e fisico anche)! Si tratta di prendere decisioni, di accettare rischi, di guidare persone, di vigilare molto su se stessi per non cadere nell'egocentrismo o in un delirio di onnipotenza. É un peso che però non portiamo da soli.

Gli apostoli lo hanno accettato: conoscevano i loro limiti (di cultura, fisici, caratteriali...) eppure non si sono sottratti alla responsabilità. Mentre chi li ascoltava, come leggiamo oggi, in alcuni casi non si riteneva degno della vita eterna, loro si sono ritenuti in grado di rispondere alla chiamata del Signore.

Non sono caduti nella falsa modestia, non hanno fatto valere le loro possibili e plausibili mille ragioni per ritirarsi dall'impegno.

Ogni nostro sì è impastato di povertà, di timore e preoccupazione all'inizio ma il Signore lo impasta a sua volta di coraggio, di sapienza e anche di una certa dose evangelica di incoscienza, quel tipo di incoscienza che non viene dalla superficialità ma dalla fiducia. Se Dio si fida di noi chi siamo noi per non fidarci di Lui e di quanto può fare dentro un nostro sì?
Grazie Signore perché ti fidi di me. Fa' che la mia scarsa autostima che mi frena o il mio narcisismo che mi inganna non sviliscano mai i tuoi doni. Fa' che possa essere sempre una piccola lampada forte solo dell'olio del tuo amore e della tua sapienza
La voce di un padre nello spirito

Il superbo, che confida solo in se stesso, ha infinite ragioni per non porre mano ad alcuna iniziativa; ma l'umile trova tutto il coraggio nella sua incapacità: più si sente debole e più diventa intraprendente, perché tutta la sua fiducia è riposta in Dio che si compiace di manifestare la sua potenza nella nostra debolezza e far trionfare la sua misericordia, basandola sulla nostra miseria."

S. Francesco di Sales

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