venerdì 6 giugno 2014

Commento su Atti 25,21



"Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio di Augusto, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare."
At, 25,21

Come vivere questa parola?

Riportiamo le parole sconcertate di Festo che, arrivato a Cesarea, trova in prigione Paolo senza un'accusa reale e fondata. Da uomo giusto qual era, si confronta con due suoi ospiti illustri sulla questione e cerca una soluzione ragionevole alla situazione di Paolo. Ma Festo non sa che in questo caso la ragionevolezza non ha voce in capitolo... quel Paolo, che ha già viaggiato per tutto il mondo allora conosciuto, arrivando come clandestino in molte città e uscendone sempre fondatore di nuove comunità, deve arrivare al cuore dell'impero, a Roma. Stavolta non in forma clandestina, nascosta ma nella condizione di poter direttamente parlare con Cesare, l'imperatore. L'apparente follia, l'evidente ingiustizia vincono e creeranno la via perché il Vangelo entri nel DNA della storia, del pensiero del tempo e degli spazi di allora. La fortezza di Paolo, lo spirito forte in lui, costruisce quest'unica opportunità a partire da un'evidente situazione di svantaggio.

Oggi, Signore, ti chiedo la fortezza per trasformare quelle che io avverto come potenziali sconfitte o svantaggiose debolezze, in occasioni generative che trasmettano la forza del vangelo per una cultura e una politica più evidentemente a servizio del'umanità e del suo benessere.

La voce di un maestro di spiritualità

"La violenza è... la virtù dei deboli, la fortezza e la forza dei miti e permette allo Spirito di inventare del bene che non c'era, anche in te e in me."
Giuseppe Pollano

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