giovedì 19 giugno 2014

LETTERE DI SANTA TERESA A P. GIROLAMO GRACIAN


CHI È PADRE GRACIAN?
Nato a Valladolid il 5 giugno 1545 da nobili e virtuosi genitori, tredicesimo di venti fratelli, compì gli studi all’università di Alcalà; pensava di entrare tra i gesuiti, quando una particolare circostanza lo orientò ai Carmelitani Scalzi. Ancora giovanissimo fu eletto visitatore apostolico dei calzati di Andalusia: a Beas incontrò la Santa Madre Teresa per la prima volta ed ella si servì di lui anche come elemento portante della Riforma. Morta la Santa Madre che era il suo più valido appoggio, il favore di P. Gracian cadde rapidamente. Il 17 febbraio 1592 veniva espulso dall’Ordine. Egli sostenne la prova come un santo. Andò a Roma per discolparsi innanzi al Papa ed essere ammesso in un altro Ordine religioso. Dopo tante peripezie entrò fra i Calzati e, andato nelle Fiandre, morì santamente a Bruxelles nel 1614, a 69 anni.

REALISMO TERESIANO

 Il rapporto di Teresa con p. Gracian è qualcosa di unico e particolarissimo, tanto da far esplodere schemi comportamentali troppo devoti e aprire spazi a una naturalezza redenta. Si pone nei suoi confronti, come una figlia devotissima, che molte volte promette obbedienza a colui che è divenuto il Padre della sua anima e suo confessore prediletto, ma anche come una madre premurosa e affettuosa. La differenza di età che intercorre tra i due e le particolari circostanze in cui la Madre si trova negli anni del loro più stretto legame, fanno sì che Gracian diventi il suo sostegno nella tribolazione, l’appoggio e la sicurezza, di cui lei, ormai stanca e provata, ha bisogno per compiere la sua opera, per trovare consolazione nella solitudine da cui si sente assalire, per comunicarsi nella sua umanità sempre esuberante e appassionata, nella sua orazione matura e ardente. Arriva a sostenere con lui, la necessità di uno “sbocco” psicologico anche nei vertici più alti della santità e perfezione. Confessa p. Gracian: «Un giorno, rimproverandola perché mi amava tanto e mi dimostrava speciale affetto, mi disse ridendone molto: «Lei non sa che qualsiasi anima, per quanto perfetta, deve avere un suo canale di sbocco. Lasci che io abbia questo, che per quanto mi dica, non penso di cambiare il mio modo di comportarmi con lei»[1][1].
Nella sua corrispondenza con lui, Teresa, dunque, esprime tutta la sua femminilità, la sua umanità, i suoi desideri, le sue pene e le sue paure materne; non ha timore di rimproverargli le sue imprudenze, sul piano spirituale e nella conduzione dell’ordine, ma anche su quello pratico: «per evitare di cadere sarebbe bene che si facesse legare, non capisco che razza di ciuco le abbiano dato, ma poi che bisogno c’è di far dieci leghe al giorno? C’è da morire a star in sella per tanto tempo…temo pure che non abbia pensato a coprirsi di più perché comincia a far freddo»![1][2]
Troviamo qua e là note tipicamente femminili che dimostrano come Teresa conosca bene la psicologia delle sorelle e ne voglia avvertire p. Gracian, divenuto anche loro superiore. Nell’ottobre del 1575 gli scrive: «La prego di pensarci bene e di persuadersi che il debole delle donne io lo conosco meglio di vostra paternità…se ne convinca e lo ricordi anche dopo la mia morte: con persone che vivono in clausura come noi, il demonio non ha di meglio che metterci in testa che una cosa sia possibile»[1][3].  Con benevolenza lo mette in guardia anche riguardo ai presunti fenomeni mistici di qualche sorella, forse particolarmente fragile, e lo esorta con qualche consiglio pratico ad intervenire decisamente (cfr. lett. del 23 ottobre 1576, 11-12).
Accanto alla psicologia femminile conosce bene anche quella maschile e non esita a fornirne flash di rara acutezza al padre, per renderlo più avveduto.
 Parlando del priore di Siviglia afferma che: «C’è la possibilità che questo rifiuti di dimettersi perché codesti padri non mi sembrano troppo disposti a desiderare di essere poco stimati»[1][4]; e su questo argomento ritorna ancora perché alla gelosia che non è solo femminile, ma anche maschile: «abbia la bontà di presentare i miei ossequi a fra Antonio priore di Siviglia, benché sia meglio non fargli conoscere che a lei scrivo molto e poco a lui»[iv][5], poi si riprende: «ma forse gli manderò qualche rigo». Riguardo alla stessa persona lamenta: «Godo che vostra paternità non sia con fra Antonio, perché egli, a quanto mi dicono, vedendo che io scrivo molto a Vostra Paternità e poco a lui, ne ha vivo dispiacere: Oh! Gesù che gran cosa per un’anima intendersi con un’altra! Eppure ecco che anche questo può essere causa di critica e di turbamento!»[v][6]. Intende così dare consigli di prudenza al giovane superiore che stima moltissimo, ma forse, a volte, si mostra un po’ sconsiderato.
Un’altra debolezza guardata con realismo, sempre riguardo a P. Antonio, Teresa la avverte al momento del Capitolo di Alcalà, quando con p. Gracian tratta di coloro che avrebbero potuto ricoprire qualche carica: «tratti bene quel padre perché è un ottimo soggetto adorno di buone qualità: se egli non la guarda tanto di buon occhio credo sia solo per gelosia non potendo egli sopportare che vostra reverenza ami gli altri più di lui»[1][7].
Intorno al governo dei frati, poi, scende nei particolari della loro vita concreta, mostrando praticità e saggezza: «La prego di dare ordini perché si osservi la massima pulizia nei letti e nella biancheria da tavola malgrado le spese che ne derivassero. È terribile, mancare di pulizia!»[1][8]. Raccomanda a padre Gracian di ordinare ai priori che diano «ai religiosi il necessario che il Signore non mancherà di provvederlo, ma se essi daranno poco, poco pure ne avranno»[viii][9], come pure il divieto di usare titoli altisonanti, come quello di “reverenda”, tra i frati e le monache: «mi pare che tra noi sia inopportuno scambiarsi tali onori con espressioni che si possono sopprimere»[ix] [10].
 Esprime sempre tutta la sua gioia nel ricevere posta da p. Gracian: «Le sue lettere le ho gradite moltissimo, anche se giunte in ritardo»[1][11] e tutta la sua pena nel caso in cui le sue lettere non arrivino: «quando mi consegnarono i plichi di codesta priora ebbi una stretta al cuore non vedendo in nessuno una lettera di vostra paternità può ben immaginare quanto ne abbia sofferto»[xi][12].
Altra caratteristica delle lettere di Teresa è la schiettezza con cui tratta il suo amato Padre, anche davanti al suo desiderio di non essere provinciale né confermato nella sua carica:
«Le dirò Padre mio, che se io desidero vederla libero non era tanto per il bene dell’Ordine, quanto per il grande affetto che le portavo nel Signore, dal quale affetto procede questa mia naturale debolezza che mi fa tanto soffrire quando vedo che qualcuno non riconosce il molto che lei ha fatto per l’Ordine sino a non poter sopportare che si dica a suo carico una sola parola. Ma se ora penso all’avvenire preferisco, per il bene generale, che lei sia ancora superiore…per la prima volta almeno sarebbe preferibile che provinciale fosse lei in ragione della sua esperienza e della cognizione che ha sia dei frati che delle monache»[1][13].

RAPPORTO DI ANIMA

Abbiamo accennato alla singolarità della relazione che unisce Teresa e Gracian, scambiandosi e compenetrandosi i ruoli di padre e figlia, madre e figlio.
Gracian le apre il cuore e le sottopone il suo modo di pregare, le grazie che riceve nell’orazione. Lei lo conferma, lo incoraggia, lo guida: «Quello che mi stupisce di più è che Paolo possa trattenersi a lungo in dolce riposo conGiuseppe(Nostro Signore) nonostante le sue molte occupazioni, e io ne ringrazio il Signore. Gli dica che della sua orazione può essere contento e che non deve preoccuparsi di quanto può fare l'intelletto quando il Signore gli concede quell'altra grazia. Gli dica inoltre che di quello che ha scritto sono rimasta molto soddisfatta e che in queste cose interiori e di spirito la più alta e sicura è quella che lascia i migliori effetti. Non dico con questo che si debbano subito avere grandi e impetuosi desideri, perché questi, quantunque in sé molto buoni, pure alle volte possono esserci dipinti tali dal nostro amor proprio. Io chiamo buoni soltanto quei desideri che si accompagnano alle opere, perché quando si desidera veramente la gloria di Dio, ci si applica a procurargliela con impegno, impiegando la memoria e l'intelletto per cercare di compiacerlo in ogni cosa e provargli l'amore che gli portiamo. Questa sì che è vera orazione, non già certe dolcezze che danno solo un po' di gusto e nulla più, magari lasciando nell'anima timori e debolezze, con sentimenti di disgusto per coloro che ci mancassero di riguardo. Per conto mio non vorrei altra orazione fuor di quella che fa crescere in virtù. Anche se fosse con grandi tentazioni, aridità e tormenti, purché mi lasciasse più umile, la terrei per migliore. Non si deve credere che non si preghi perché si soffre, quando si offre tutto al Signore. Anzi, spesso questo modo di pregare è più proficuo di quello di colui che si va rompendo la testa in solitudine, immaginandosi di pregare bene perché riesce a spremere qualche lacrima»[1][14].
Non esita poi a rimettersi alle sue decisioni, a ciò che il Signore gli ispirerà riguardo alle sue scelte, così si esprime circa il suo viaggio a Malagon, dove andava come priora: «ne avrei proprio dispiacere perché ormai non sono più fatta per tale incarico e temo di ostacolare il servizio di Dio: Vostra paternità preghi perché mi consumi tutta per suo amore e poi avvenga quel che vuole avvenire perché più si ha da soffrire più guadagni si fanno. La mia solitudine si fa ogni giorno più dura nel vedermi così lontana da Vostra Paternità! Buon per me che Nostro Signore mi par sempre vicino, così passo la vita priva di ogni consolazione terrena e fra continui tormenti»[1][15]
Sono piccoli flash che ci dicono l’apertura d’animo, la fiducia, la consegna, il realismo su se stessa e sulle vicende sofferte della Riforma, ma anche il distacco di fronte a ciò che l’obbedienza le potrebbe domandare: «Andrei in capo al mondo se l’obbedienza me lo comandasse: anzi, più avrei da soffrire più mi sembra che sarei felice potendo in tal modo fare anch’io qualcosa in onore di questo gran Dio a cui tanto devo sapendo che Egli non accetta nulla di più gradito di quanto si fa per obbedienza»[1][16].
Come si vede, ogni lettera contiene un’autobiografia e materiale di formazione iniziale e permanente,  non ex catedra, bensì frutto di esperienza e sofferenza, quanto più conta e aiuta a vivere la sequela di Cristo.

CAPITOLO DI ALCALÀ

L’epistolario riguardante l’epoca del Capitolo di Alcalà, risulta particolarmente intenso, data la preoccupazione di Teresa che in tutto si conservi lo spirito con cui ha iniziato la sua opera e le Costituzioni che vi verranno approvate lo rispecchino fedelmente. Fornisce indicazioni particolari e generali a p. Gracian, perché si faccia portavoce del suo punto di vista.  Umile e decisa allo stesso tempo, ci insegna l’arte del dialogo, sostenendo con forza che: «questi monasteri vanno bene: non c'è bisogno di caricarli di cerimonie. Ogni aggiunta è un peso. Per carità, Padre mio, non se ne dimentichi. Cerchi soltanto di far osservare le Costituzioni e niente più. Se le osservano bene, ne hanno abbastanza. Per le monache Vostra Paternità può stare a quanto le dico io, perché da quello che avviene qui, capisco cosa deve avvenire altrove»[1][17].
Nel rispetto dell’autonomia che rimane tra frati e monache sottolinea una certa reciprocità carismatica, l’unità all’interno della famiglia, che nella complementarietà dei ruoli, si nutre di uguali diritti e responsabilità: «noi faremo per loro quello che essi faranno per noi»[1][18], afferma nello stabilire i suffragi che i frati offriranno alla morte di ogni sorella.
Insiste particolarmente con il Padre sulla libertà per i monasteri e soprattutto circa gli aiuti spirituali perché sa «del gran scontento che regna in molti monasteri per essere troppo stretti in fatto di aiuti spirituali un’anima così inceppata non può servire bene il Signore e il demonio ne ha buon gioco per tentarla», inoltre raccomanda che quanto alle cose di noi monache i frati non vi si devono ingerire»[1] [19]. È categorica: «anche se il Padre Commissario avesse la facoltà di correggere le costituzioni e lasciarcene di migliori, tuttavia vorrei che non togliesse, né aggiungesse nulla fuor di quello che domandiamo»[xviii] [20]. Così sul digiuno: «in questo basta che ci uniformiamo alla legge della Chiesa senza altre prescrizioni, per non rovinare la salute delle monache e creare una sorgente di scrupoli potendo darsi che alcuna creda di non esserne dispensata mentre invece lo sia»[xix][21].
Si premura di mettere in guardia il Padre circa possibili abusi da parte delle Priore: «le Costituzioni vorrebbe che si facessero stampare perché i singoli manoscritti recano troppe differenze e vi è qualche priora che nel trascriverle toglie ed aggiunge quello che le pare senza farsene scrupolo perciò si deve proibire a chiunque sotto precetto formale di togliere o aggiungere anche solo una sillaba, così staranno più attente»[1][22]. E ancora non ha paura di sprecare un altro elogio verso il Padre Gracian: «Mi ha fatto devozione quello che lei dice delle nostre scalze: almeno lei sarà un vero padre a cui esse si mostreranno molto obbligate: se lei non dovesse mai morire e noi l’avessimo sempre a superiore per certe cose  sarebbe inutile far domanda al Capitolo. Oh! come si struggono le nostre Scalze perché lei esca Provinciale! Nessun altra cosa le potrebbe rendere più felici! Dio la protegga!»[xxi][23]

CONCLUSIONE

L’amicizia sincera che la santa Madre nutre nei confronti di p. Gracian si fa particolarmente presente e tenera allorché le difficoltà e le persecuzioni si abbattono su di lui: lo esorta a ricordarsi delle sofferenze del Signore, a rendersi consapevole che è chiamato a percorrere la sua strada, quasi a prevedere, con sensibilità materna, le grandi afflizioni e violenze che lo colpiranno dopo la sua morte. Anche da queste ultime osservazioni possiamo comprendere come per Teresa il fulcro e il motore di ogni relazione debba essere sempre il Signore, amato anche attraverso i suoi rappresentanti siano essi superiori o direttori di anime. L’affetto che la lega a Gracian è umanissimo perché radicato in Cristo, sigillato dal «mediatore dell’unione» (Dio), con un nodo che «si scioglierà solo con la vita;… Questo non arriva a farlo la smania di perfezione, perché anzi il ricordo (di tale amicizia) aiuta a lodare il Signore»[24] (cfr


[i] [1] P. Gracian, Scholias y adiciones al Libro de la Vida de la M. Teresa de Jesus, composto dal p. Ribera, 123.
[ii] [2] ibd, 7
[iii] [3] Al p. G. Gracian, ottobre 1575, 2
[iv] [4] …23 ottobre 1976, 5
[v] [5] …31 ottobre 1576, 3
[vi] [6] …3 gennaio 1577
[vii] [7] …17 febbraio 1581, 1
[viii] [8] …23 febbraio 1581, 5
[ix] [9] …ibd, 4
[x] [10] …ibd, 6
[xi] [11] …13 dicembre 1576, 1
[xii] [12] …23 ottobre 1576, 1
[xiii] [14] …23 ottobre 1576, 6
[xiv] [15] …10 giugno 1579, 4
[xv] [16] …ibd, 8
[xvi] [17] …22 maggio 1578, 13
[xvii] [18] …27 febbraio 1581, 4
[xviii] [19] …21 febbraio 1581, 3
[xix] [20] …ibd, 4
[xx] [21] …ibd, 6
[xxi] [22] …ibd, 7
Fonte: ocarm

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