domenica 23 febbraio 2014

Lectio: Domenica, 23 Febbraio, 2014 … ma io vi dico: amate i vostri nemici


Matteo 5, 38-48
 1. ORAZIONE INIZIALE
Vieni, Signore,
passi il tuo soffio come la brezza primaverile
che fa fiorire la vita e schiude l'amore,
o sia come l'uragano che scatena forze sconosciute
e solleva energie sopite.
Passi il tuo soffio nel nostro sguardo
per portarlo verso orizzonti più lontani e più vasti
disegnati dalla mano del Padre.
Passi il tuo soffio sui nostri volti rattristati
per farvi riapparire il sorriso
e sfiori le nostre mani stanche per rianimarle
e rimetterle gioiosamente all'opera
per realizzare il progetto evangelico.
Passi il tuo soffio fin dall'aurora per portare con sé
tutte le nostre giornate in uno slancio generoso.
Passi il tuo soffio all'avvicinarsi della notte
per conservarci nella tua luce e nel tuo fervore.
Passi e rimanga in tutta la nostra vita
per rinnovarla e donarle le dimensioni
più vere e più profonde:
quelle tratteggiate dal Vangelo di Gesù.
(cfr P. Maior)
 2. LETTURA
 a) Chiave di lettura
La 7a domenica Ordinaria, purtroppo celebrata di rado, in quanto è inserita nel breve periodo che intercorre fra il tempo di Natale e la Quaresima, ci mette a confronto con uno dei passi evangelici più taglienti, provocatori e allo stesso tempo consolanti che un Cristiano possa incontrare: le parole conclusive delle “antitesi” del discorso della montagna.       
La prima lettura, tratta dal Levitico(19,1-2; 17-18), è un brano della “legge di santità”. Si richiama direttamente alla seconda parte del testo evangelico, con il comando di amare “il prossimo” e lo stretto parallelismo con l'ultima frase delle parole del Signore.      
La seconda lettura (1Cor 3,16-23) ci mostra un ulteriore sviluppo del tema evangelico: il cammino della santità cristiana, per quanto umanamente paradossale e difficile da comprendere e praticare, è possibile in forza della nostra reciproca appartenenza a Dio, al quale siamo consacrati e che si è dato interamente a noi nell'amore, rendendoci capaci di amare i fratelli come Lui, a causa di Lui e in Lui.

Il cosiddetto “discorso della montagna”, cui il nostro brano appartiene, è il primo dei grandi discorsi di Gesù che caratterizzano il primo vangelo e ne comprende i capitoli 5-7. Questo lungo discorso che si apre con le celeberrime e sempre provocatorie “beatitudini”, può essere tutto interpretato alla luce dell'affermazione di Gesù sul compimento pieno della Legge: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”, io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (5,17.20).    
Il nostro brano appartiene alla seconda sezione del discorso, quella che espone la “nuova etica” che viene a completare e perfezionare quella basata sulla legge mosaica e che è caratterizzata da affermazioni che, partendo da una parola della Legge o da un modo di applicarla, iniziano con la frase “ma io vi dico” che apre enunciazione una nuova norma etica la quale non abolisce la precedente, ma la reinterpreta alla luce dell’interiorità umana abitata e istruita da Dio stesso e dall'esempio del suo comportamento. In questo modo, Gesù si presenta e viene proposto dall'evangelista come un emulo di Mosè, uno che ha - quanto meno - la stessa autorità del grande condottiero ebraico.

I versetti del vangelo di questa domenica sono proprio gli ultimi di questa serie e contengono le ultime due “anti-tesi” o “iper-tesi”, fra loro strettamente connesse, e vengono a inserirsi quale espressione di una sapienza morale elevatissima e fondata su una fede in Dio, quale Padre e Signore onnipotente e misericordioso, di grande purezza e forza.
Alla luce delle altre letture della celebrazione di questa domenica, le forti richieste etiche di Gesù che oggi ascoltiamo sono da vedere non come il risultato di un atteggiamento eroico, ma piuttosto come il frutto pieno di una vita cristiana di elevata qualità e sempre più pienamente conforme all' “immagine del Figlio” (Rm8,29).

b) Il testo: Matteo 5,38-48
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
3. MOMENTO DI SILENZIO ORANTE
Perché la Parola di Dio entra in noi ed illuminare la nostra vita.
 4. PER COLORO CHE VOGLIONO APPROFONDIRE IL TESTO
 Partiamo dalla considerazione che il discorso della montagna non è una “legge casistica”, cioè l’enumerazione di “casi etici” con la soluzione che conviene a ciascuno. Al contrario, come ha ben detto lo studioso J. Ernst: «Considerate come norme etiche, tali richieste (del discorso della mon­tagna) sono del tutto prive di senso. Il loro significato risiede piuttosto nella loro funzio­ne di segno e di indicazione. Vogliono infatti richiamare drasticamente l’attenzione sul­la nuova epoca di salvezza iniziata con Gesù. Il comandamento dell’amore ha ora acqui­sito un’ultima radicale accentuazione».
Matteo 5,38: l'esortazione di Gesù parte dalla “legge del taglione”, precetto nato dalla volontà civile di impedire le vendette sregolate, specie se iperboliche, limitando le secondo un criterio di stretta commisurazione fra il male inferto e quello “ricambiato” e, soprattutto, riservandone l'esercizio all'ambito giudiziario.
Matteo 5,39a: L'intento evidente di Gesù non è la condanna dell'antica “legge del taglione” con tutti i suoi rigori. Egli intende suggerirci un orientamento di vita pratica, che si conformi all’infinita bontà e misericordia del Padre celeste come atteggiamento globale di vita, reso possibile dall’ annuncio del regno. I discepoli di Gesù devono regolarsi secondo un criterio che supera, in forza di un amore traboccante, l’inclinazione naturale ad esigere il rispetto assoluto dei propri diritti. Viene chiesto a chi è di Cristo di vivere secondo la generosità, il dono di sé, la dimenticanza dei propri interessi, non lasciandosi andare alla grettezza, ma mostrandosi benevoli, perdonando, dando prova di grandezza d’animo.
Si tratta di un modo pratico, anche se radicalissimo, per interpretare la beatitudine dei miti (Mt 5, 5).
Matteo 5,39b-42: Ecco gli esempi concreti della magnanimità (che è avere unanimus magnus) che deve caratterizzare il Cristiano, chiamato a concedere più di quanto gli è richiesto o viene da lui preteso. Naturalmente, non si tratta di una legge assoluta, che diventerebbe lo sconvolgimento di qualunque vivere sociale civile, ma di un modo per mostrare lo spirito di amore anche verso chi ha fatto del male.     
Il messaggio di fondo contenuto in questi esempi celebri viene a correggere profondamente quello contenuto nella “legge del taglione” e non può essere compreso correttamente, se non alla luce di essa.
Il credente è sollecitato a interpretare ogni situazione, anche di gravissima difficoltà, dal punto di vista dell'amore di Dio che ha già ricevuto, compiendo un salto di qualità radicale nel modo di affrontarle: non più la rappresaglia o la rivalsa, e nemmeno la difesa di se stesso e dei propri diritti, per quanto giusta, ma la ricerca del bene di tutti, anche di chi fa del male. In questo modo si spezza e ci si libera dalla catena, che potrebbe diventare interminabile, della rivalsa o addirittura della violenza per controbattere e farsi giustizia, magari rischiando a propria volta di cadere nella spirale del male sotto la spinta di uno zelo divenuto eccessivo; ci si affida alla giustizia, sempre migliore, di Dio Padre.         
San Paolo esprime benissimo tutto ciò: «Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti. Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, accumulerai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,17-21).      
L'interpretazione vivente di queste norme etiche si trova nell'atteggiamento generale e nei diversi episodi della passione dei Gesù: quando reagisce con pacatezza e fermezza alle percosse durante il processo ebraico (Gv 18,23), quando non fugge dall'arresto e impedisce a Pietro di combattere per lui (Gv18,4-10), quando perdona i crocifissori (Lc 23,34) e accoglie in paradiso il ladro (Lc 23,40-43). E sappiamo che la chiave di lettura della passione di Gesù è l'amore di Dio per gli uomini (Gv 13,1; 15,13).
Un eroe della non-violenza, Martin Luther King, scrisse: «Gli oceani della storia sono resi turbolenti dai flussi sempre insorgenti della vendetta. L'uomo non si è mai sollevato al di sopra del comandamento della lex talionis: “Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”. Ad onta del fatto che la legge della vendetta non risolve alcun problema sociale, gli uomini continuano a seguire la sua disastrosa guida. La storia risuona del frastuono della rovina di nazioni e di individui che hanno seguito questo cammino autodistruttivo.        
Gesù affermò eloquentemente dalla croce una legge più alta. Egli sapeva che l'antica legge dell'occhio per occhio avrebbe reso tutti ciechi, e non cercò di vincere il male col male: vinse il male col bene.        
Crocifisso dall'odio, rispose con amore aggressivo.         
Che magnifica lezione! Generazioni sorgeranno e cadranno; gli uomini continueranno ad adorare il dio della vendetta e a prostrarsi dinanzi all'altare del taglione; ma sempre e poi sempre questa nobile lezione del Calvario sarà un assillante ammonimento che solo la bontà può eliminare il male e solo l'amore può sconfiggere l'odio.» (La forza di amare, Società Editrice Internazionale, Torino, 1994, p. 65).
Matteo 5,43: Il comando veterotestamentario che Gesù cita è il risultato della combinazione di una citazione dal Levitico (19,18) e le parole extrabibliche “e odierai il tuo nemico” che derivano da una diffusa mentalità totalmente negativa verso i pagani, visti come nemici di Dio e, quindi, del Popolo di Dio da respingere in ogni modo per evitare di esserne contagiati dalla loro idolatria e da loro malcostume morale.
Matteo 5,44a: L'evangelista usa, significativamente, il verbo agapào per indicare il dovere cristiano di amare i nemici ben oltre qualsiasi genericità e ben più di ogni tipo di amicizia. Si tratta del verbo più caratteristico dell'atteggiamento di Dio verso gli uomini e degli uomini verso Dio e verso i propri simili: una volontà radicale di bene gratuito e oblativo.     
Questo il precetto, certamente nuovo e per molti versi sconvolgente, completa gli insegnamenti precedenti di Gesù e richiama quella “giustizia sovrabbondante” da cui è iniziato il discorso della montagna. È fino a questa meta altissima che egli voleva portare i suoi discepoli: “Amate i vostri nemici”. 
I nemici di cui si parla sono qui, specificamente, i persecutori, i pagani, gli idolatri, quelli che più direttamente contrastano l’ideale cristiano, venendo a costituire una minaccia per la fede. Comunque, sono il prototipo e il simbolo di ogni nemico. Verso di loro il Cristiano deve usare la stessa benevolenza che si ha con i fratelli nella fede. Non solo la tolleranza, l'amore in genere o l'amicizia, ma quell'amore profondo e disinteressato di sé che il credente può attingere soltanto dal cuore di Dio e imparare del suo esempio, visto nella creazione e nella storia dell'universo.
Matteo 5,44b: « “Amate e pregate, amate fino a pregare”. È il dono supremo che si possa fare al nemico, perché mette in atto la massima energia interiore: la forza della fede. È più facile offrire un gesto esterno di aiuto o di soccorso che non desiderare intimamente, nel cuore e in verità, il bene del nemico tanto da farne il tema e l’intenzione della preghiera davanti a Dio. Se si prega per lui, chiedendo per lui grazie e benedizioni, vuol dire che si desidera e si vuole il suo bene. Si è quindi sinceri nell’amore. La preghiera è la ricompensa del cristiano ai torti del nemico » (OP).
Matteo 5,45: Gesù spiega perché si devono amare i nemici. La figliolanza di cui parla, in questo brano non esclude quella per creazione o per adozione, è primariamente quella della somiglianza dei nostri sentimenti con quelli di Dio.  
Il cristiano deve imitare nel quotidiano la bontà del suo Padre celeste.   
Amare il nemico, così, lo rende figlio del Padre celeste in quanto è frutto del desiderio di amare come Lui.  
Certo, l'identità di figli di Dio non è statica, ma emerge da un processo dinamico. Coloro che sono figli di Dio per il Battesimo, lo diventano pienamente vivendo e crescendo nella stessa logica del Padre, quindi anche compiendo gesti di amore che rivelino la sua somiglianza con Dio. Poiché Dio è buono e imparziale, i suoi figli sono buoni e imparziali, capaci di regolare il proprio amore non sui meriti altrui, ma sull'amore e la cura di cui ciascun essere vivente è oggetto continuamente da parte di Dio.
Più si ci lascia plasmare dalla grazia divina, più si può mettere in pratica questo comandamento, più lo Spirito santo renderà testimonianza allo spirito suo che egli è figlio di Dio (cfr Rm 8,16).
Matteo 5,46-47: la vera differenza fra i Cristiani e gli altri uomini consiste nell'atteggiamento e nella capacità di amare anche chi sarebbe “naturalmente” inamabile.
Matteo 5,48: Perfetto (teleios, completo, compiuto – in questo caso nell’amore).       
Di nuovo Gesù collega il comandamento dell’amore al nemico con l'esempio del Padre, con le azioni che Egli compie quotidianamente a beneficio di tutti e che sono frutto del suo cuore pieno di amore, che Egli, il Figlio, conosce profondamente. Questo è il cuore pulsante della morale cristiana che non è norma, legge, osservanza, ma è comunione di vita con questo Padre data dallo Spirito Santo: « la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù » (Rm 8,2).     
In questa comunione, il Cristiano assorbe l’amore stesso del Padre, un amore che mira a far cambiare i nemici in amici; che cambia i cattivi, rendendoli buoni.
Isacco di Ninive, nel commentare il v. 45, afferma: «Presso il Creatore non c’è cambiamento, né intenzione che sia anteriore o posteriore; nella sua natura, non c’è né odio, né risentimento, né posto più grande o più piccolo nel suo amore, né dopo né prima nella sua conoscenza. Infatti se tutti credono che la creazione abbia iniziato come una conseguenza della bontà e dell’amore del Creatore, sappiamo che questo motivo non cambia né diminuisce nel Creatore in seguito al corso disordinato della sua creazione.      
Sarebbe odiosissimo e proprio blasfemo pretendere che esistano in Dio l’odio o il risentimento – nemmeno verso i demoni – o immaginarsi alcun’altra debolezza o passione… Al contrario, Dio agisce sempre con noi attraverso vie che ci sono vantaggiose, siano per noi cause di sofferenza o di sollievo, di gioia o di tristezza, siano insignificanti o gloriose. Tutte sono orientate verso gli stessi beni eterni» (Discorsi, 2a parte, 38,5 e 39,3).
 5. ALCUNE DOMANDE
 Per aiutarci nella meditazione e nell'orazione.
 - Mi fermo: so che queste parole sono per me, in questo mio oggi. Gesù parla a me, nella situazione che vivo in questo specifico momento della mia vita.
- Prendo davvero sul serio queste parole del vangelo?
- Come vivo queste norme etiche altissime eppure ineludibili?    
Io vi dico di non opporvi al malvagio”
“Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra...”
“Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano”
“Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.
- Mi esamino: quali sono i miei modelli di condotta quando sono in situazioni di difficoltà? Quando mi sento aggredito o trattato ingiustamente?
- E quando avverto la mancanza di amore degli altri o la loro avversione verso di me, come reagisco? La mia azione in queste situazioni, secondo quali criteri funziona?
- Nella mia preghiera mi confronto con l'esempio di Gesù? Riesco a guardare, almeno un po', al Padre che è Padre misericordioso di tutti gli esseri dell'universo e tutti mantiene in esistenza?
- È tempo di fare ancora un passo in avanti nel mio modo di agire: invoco lo Spirito santo, affinché mi plasmi interiormente secondo l'immagine di Gesù, rendendomi capace di amare gli altri come Lui e a causa di Lui!
6. ORAZIONE
 La Parola di Dio ci offre un inno magnifico per la nostra preghiera.
La bellezza e l'attualità del famoso “inno alla carità” (1Cor 13,1-9.12b-13) vengono intensificate per noi se, nel pregarlo, proviamo a sostituire la parola “carità” con il nome di Gesù, Colui che è l'amore divino incarnato e che è lo specchio fedele dell'amore del Padre verso tutte le sue creature:
Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.
E se avessi il dono della profezia,
se conoscessi tutti i misteri
e avessi tutta la conoscenza,
se possedessi tanta fede da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità,
non sarei nulla.
E se anche dessi in cibo tutti i miei beni
e consegnassi il mio corpo per averne vanto,
ma non avessi la carità,
a nulla mi servirebbe.
La carità è magnanima,
benevola è la carità;
non è invidiosa,
non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio,
non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità.
Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
Le profezie scompariranno,
il dono delle lingue cesserà
e la conoscenza svanirà.
Adesso conosco in modo imperfetto,
ma allora conoscerò perfettamente,
come anch’io sono conosciuto.
Ora dunque rimangono queste tre cose:
la fede, la speranza e la carità.
Ma la più grande di tutte è la carità!
7. ORAZIONE FINALE
 O Dio, che nel tuo Figlio spogliato e umiliato sulla croce, hai rivelato la forza del tuo amore, apri il nostro cuore al dono del tuo Spirito e fa' che, accogliendolo, si spezzino in noi le catene della violenza e dell'odio che ci legano allo stile di vita di chi non ti conosce, perché nella vittoria del bene sul male manifestiamo la nostra identità di figli di Dio e testimoniamo il tuo vangelo di riconciliazione e di pace.

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