Carissimi fratelli e sorelle,
il contesto del brano evangelico odierno è la prima parte del
Vangelo di Marco, parte caratterizzata da due elementi, entrambi
emergenti nel nostro brano: la manifestazione potente di Gesù e il “segreto messianico”.
Parliamo prima di questo “segreto messianico”. Esso consistente nel fatto che Gesù impone il silenzio dopo aver operato qualche prodigio, così come oggi ha imposto al demonio di non gridare che Lui era “il santo di Dio”,
cioè il Messia. Gesù non vuole che la gente pensi subito che Lui sia il
Messia, perché sapeva che le loro idee sul Messia erano sbagliate. Il
popolo d’Israele, infatti, era tutto proteso all’attesa di un Messia
potente e glorioso che avrebbe riportato Israele all’antico splendore
davidico e avrebbe umiliato tutti coloro che attualmente li umiliavano e
li opprimevano (i Romani).
La prima parte del Vangelo di Marco si conclude con la duplice domanda di Gesù ai discepoli: “Che dice la gente di me?… Chi dite voi che io sia?”(Mt 8,27-28).
Domanda che trova una sua preparazione già nel brano odierno che ci ha
mostrato la folla di Cafarnao stupita e perplessa che si chiede chi è
mai Costui che insegna con questa autorità e al Quale obbediscono
persino i demoni.
L’altro elemento della prima parte di Marco,
è dato da Gesù che si manifesta al mondo e si fa conoscere come uno che
parla con autorità, che comanda ai demoni, che ha il dominio sulla
natura (tempesta sedata – Mc 4,39) che guarisce dalle malattie, che risuscita dalla stessa morte (risurrezione della figlia di Giario – Mc 5,41). Così facendo Gesù suscita nei cuori una domanda: «Ma chi è mai costui?».
Proprio questo avvenne nella sinagoga di Cafarnao. Gesù insegna con “autorità”. Quelli che Lo ascoltano comprendono che Costui è diverso dai soliti rabbini e scribi del tempo, Egli infatti è quel profeta, unico, che il Padre avrebbe mandato quale nuovo Mosè del Quale ci ha parlato la prima lettura di oggi.
Gesù insegna con “autorità”, Egli è il “Maestro” che parla al cuore. L’“autorità” di
Gesù non risiede in qualche manifestazione esteriore, quale potrebbe
essere un tono autoritario della propria voce o una stile autoritario
dei propri atteggiamenti. La sua è l’“autorità” propria
e unica di Dio che quando parla, parla al cuore e parla dal cuore
dell’uomo. Chi lo ascolta percepisce questa risonanza del cuore e
capisce che la Sua non è una parola dei tanti parolai del mondo che dai
vari pulpiti e cattedre dello scenario di questo mondo riempiono di
vuoto i cuori di chi li ascoltano. Gesù parlando con “autorità” inaugura il “Regno del Padre”che propriamente è il Regno di chi accoglie nella propria vita l’“autorità” di Gesù Cristo, “autorità” che non opprime ma che illumina, è “potere” che non schiavizza, ma libera; è un “dominio” che non schiaccia, ma innalza. E questa “autorità” propria di Gesù di parlare al cuore e dal cuore dell’uomo, Lui l’ha trasmetta tutta quanta, integra, alla sua Chiesa: “Chi ascolta voi, ascolta me!” (Lc10,16)
e attraverso la sua Chiesa, Gesù continua nell’oggi di ogni tempo a
parlare al nostro cuore e dal nostro cuore. Essere cristiano cattolico
implica propriamente questo riconoscimento della voce di Gesù nella voce
della Chiesa, dell’“autorità” di Gesù nell’“autorità” della Chiesa. Rifiutare l’“autorità” della Chiesa significa voler vivere svincolati dall’“autorità” di Gesù e quindi di Dio.
Una domanda, però, affiora spontanea alla nostra mente: ma se Gesù ci parla al cuore e dal cuore, come è possibile non riconoscerne l’“autorità”?
La risposta è molto semplice: quando si vive fuori di se stessi non si
può ascoltare il proprio cuore perché si è tutti presi dalle cose
esteriori che ci fanno vivere proiettati all’esterno, nella
superficialità, tutti impegnati ad apparire quello che veramente non
siamo, nella continua ricerca dell’avere, del potere, del godere
incuranti del proprio “essere”. Occorre rientrare in se stessi (cf Lc 15,17) per poter ascoltare Gesù e quindi la sua portavoce che è la Chiesa.
E lì nella sinagoga di Cafarnao un uomo, ascoltato Gesù, si mette a gridare: “Che c’entri con noi, Gesù Nazareno?”. Costui era posseduto da un demonio, ma questo demonio emerge
all’esterno solo di fronte alla parola di Gesù. Nessuno, sembra,
supponeva che fosse indemoniato, che fosse posseduto, schiavo del
demonio, eppure lo era. Vedete – carissimi fratelli e sorelle – quello
che impressiona i più è la possessione diabolica conosciuta come una
presenza del demonio che possiede il corpo di una persona e opera in
quel corpo facendo cose sbalorditive e impossibili alle sole forze
umane. Questo tipo di presenza diabolica fa paura e sconvolge tutti. Ma
in realtà, questi eclatanti possessioni diaboliche, in quanto generano
questa paura, portano le persone a chiedere aiuto a Dio, perciò esse
sono controproducenti al demonio, infatti ogni volta che le persone
capiscono che c’è lui, cercano rifugio in Dio, per questo il furbissimo
demonio cerca sempre di non farsi scoprire.
Non
mi sembra che il nostro uomo della sinagoga fosse affetto da una
possessione diabolica eclatante. Infatti egli era lì con gli altri alla
preghiera, era uno della folla, non era stato portato lì da qualche
parente o amico per essere esorcizzato, come altri casi.
Probabilmente
questo uomo era posseduto dal demonio in quell’altra maniera, più
invisibile e sottile, che viene da questi attuata quando una persona
rifiuta di sottomettersi all’“autorità” di
Dio, quando cioè vive nel peccato. Il peccato opera una vera, reale
anche se invisibile possessione diabolica, la persona che vive nel
peccato appartiene a satana e lui entra e esce dalla sua anima quando
vuole: è proprietà sua! E quanto più la persona è incallita e sommersa
dal peccato, quanto più satana è di casa presso di lei. Si tratta quindi
di un vero possesso, tanto più distruttivo e degradante quanto più
inavvertito. Da questa presenza Gesù è venuto a liberarci, ma questa
liberazione non può avvenire finché la persona non rientra in se stessa e
riconosce il proprio peccato:
«É
necessario prender coscienza della nostra condizione di schiavitù. Una
delle falsificazioni più potenti di satana è quella di far credere
all'uomo di essere più libero quando commette il peccato, mentre invece –
dice Gesù – "chi commette il peccato diventa schiavo del peccato" (Gv
8,34). Gesù ha smascherato questo potere di satana che spinge l'uomo a
sospettare di Dio, a distaccarsi da Lui, fino a essere in balia del suo
potere di menzogna e violenza. Persa la sicurezza che gli deriva da Dio,
l'uomo cerca altre sicurezze nell'avere, nel potere, nell'apparire. Da
qui la crescente insoddisfazione, la disistima di sé, le brame
incolmabili, gli egoismi, le guerre…! Tutto questo male poi si
solidifica e organizza attorno all'uomo strutture moltiplicatrici di
iniquità, di cui l'uomo diviene ingranaggio. Alla fine vi resta
imprigionato come un baco nel bozzolo che lui stesso ha fatto».
Don Romeo Maggioni.
Il
tentativo costante del demonio nella sua opera di tentazione e
istigazione al peccato, è quella di illudere le persone proponendo
felicità e godimenti effimeri e ingannatori e, contemporaneamente, di
far credere Dio come un qualcuno la cui presenza intristisce, ottenebra e
svilisce la propria esistenza: “Che c’entri con noi?”. Ecco l’intento di satana, proporre un Dio che non entri nelle nostre vite, che scivoli via come un estraneo.
Ma
Gesù lo zittisce e lo caccia e l’uomo viene liberato, ma non senza uno
strazio del cuore. Sì, è così, non si può passare dalla possessione di
satana all’appartenenza a Gesù senza uno strazio del cuore, senza una
fortissima sofferenza. Rinunciare ad una vita orientata all’avere, al
godere, al potere per una vita orientata a Dio e quindi all’essere e
all’amore vero, implica un doloroso sconvolgimento interiore, un
rivoluzionamento totale della persona e della sua mentalità, un
abbandono di tutto un mondo di false sicurezze al quale prima era
agganciata per agganciarsi all’unica roccia di salvezza che è Dio.
La Vergine Maria ci accompagni lungo questo nostro cammino dietro al suo Figlio attraverso il Vangelo di Marco.
Ci accompagni soprattutto con quello stupore ricco di fede con cui Lei
visse accanto al suo Gesù e ci comunichi quell’amore tenero e forte con
cui Lei Lo inseguì lungo il suo pellegrinaggio d’amore fin sotto alla
croce. E forse così potremo capire anche quella parola di Paolo,
l’innamorato di Gesù, che oggi nella seconda lettura invitava i Corinzi e noi ad una risposta di amore al Padre quanto più libera, assoluta e radicale.
Amen
j.m.j.
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