sabato 31 gennaio 2015

San Giovanni Bosco: accanto ai giovani e nelle periferie

Duecento anni fa nasceva il santo dei ragazzi. Famiglia Cristiana ha intervistato il rettor maggiore dei Salesiani, don Ángel Fernández Artime: "Siamo nati per stare nelle periferie, come dice papa Francesco"

 di | Annachiara Valle 

da | Famiglia Cristiana

Non smettono di «andare all’incontro con i giovani, soprattutto con quelli più poveri». A duecento anni dalla nascita di don Bosco la Famiglia Salesiana continua la sua missione in 132 Paesi del mondo, dall’Asia all’Europa. Sapendo che «il cuore dei ragazzi è lo stesso ovunque e in ogni tempo, anche se la realtà dei giovani europei e quella dei ragazzi di strada dell’India non hanno nulla in comune. Eppure con il nostro sistema pedagogico preventivo, che è quello sperimentato da don Bosco, ci accorgiamo che sempre, quando un giovane vede che chi gli sta accanto cerca il suo bene, apre il suo cuore nello stesso modo». Don Ángel Fernández Artime, 54 anni, da quasi uno eletto rettor maggiore e decimo successore di don Bosco, ha lo sguardo sereno e i gesti accoglienti. Preoccupato solo di una cosa: che la grande Famiglia Salesiana resti fedele al suo carisma.

Un carisma ancora attuale?

«Papa Francesco dice sempre alla Chiesa di andare verso le periferie. Ecco, noi Salesiani siamo nati in periferia. Pensiamo a cosa è stato Valdocco per la Torino del 1800 o cosa è stato Mornese dove sono nate le Figlie di Maria Ausiliatrice. Le periferie sono nel nostro Dna. Come rettor maggiore, con il mio consiglio, la mia preoccupazione è la fedeltà a questo. E siamo fedeli quando siamo accanto e insieme ai giovani più poveri per educare ed evangelizzare. Tutto il resto viene dopo».

Concretamente cosa significa?

«Voglio fare un esempio. I confratelli della Sierra Leone mi hanno chiesto di rimanere nel Paese per l’emergenza Ebola. Abbiamo trasformato le nostre tre scuole in tre case d’accoglienza per i giovani rimasti senza genitori. Questo può farlo una qualsiasi associazione umanitaria. Ma il di più è farlo per fede, condividendo con la popolazione la sua stessa sorte e il suo stesso cammino».

Il Papa, con il quale lei ha collaborato direttamente quando era Ispettore per l’Argentina del Sud, dice sempre che la Chiesa non è una Ong. Cosa significa per voi? 

«Per noi significa che non dobbiamo andare verso i poveri semplicemente per un motivo assistenziale. Il nostro impegno è di condividere la vita come credenti, fare un percorso insieme, rispettando la persona e la sua coscienza. Poi, certo, esiste sempre il rischio, in una congregazione non piccola, di tentare di occuparsi più delle strutture. Abbiamo certamente bisogno di un coordinamento, essendo 15 mila Salesiani di don Bosco in 132 nazioni. Ma abbiamo anche sempre bisogno di dirci che una cosa è la maniera di organizzarci e un’altra è garantire la nostra fedeltà alle origini».

Ci sono molte vocazioni?

«Abbiamo 500 novizi in tutto il mondo. È un dono molto speciale. Il 65 per cento è nell’Est Europa, in Asia, in Oceania e Africa. In Europa abbiamo una quarantina di novizi. E poi abbiamo tantissimi laici che collaborano con noi. Don Bosco è stato aiutato molto da laici e laiche. Non avrebbe potuto fare ciò che ha fatto senza di loro. E dunque anche la scarsità di vocazioni, e il Concilio, sono un aiuto a tornare alle origini. E a ricordare che il carisma di don Bosco non è proprietà dei Salesiani, ma è un dono dello Spirito di Dio alla Chiesa e di don Bosco al mondo. Noi Salesiani abbiamo il dovere di assicurare la fedeltà, ma non abbiamo la proprietà».

Come vi siete preparati al bicentenario e alla visita del Papa a Torino?

«Ci sono molti eventi. Vorremmo che questa fosse l’occasione per fare un cammino di maggiore autenticità. Abbiamo chiesto che in ciascuna delle nazioni si faccia un’opera, un servizio ai ragazzi di strada. E poi ho invitao, per il 31 gennaio, tutti i superiori e le superiori generali e coordinatori mondiali dei 30 gruppi giuridici della nostra Famiglia Salesiana. Per la prima volta nella storia ci sarà un incontro di tutti i “capi” vicini a don Bosco. Non un congresso, ma un momento per condividere, per pregare insieme, per ritrovarci insieme nello stesso cortile di don Bosco. Per andare alle radici e alle fonti del carisma».

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